L’ideologia dei media progressisti americani su Biden

Di Leone Grotti
05 Luglio 2024
Tutti sapevano che il presidente democratico era troppo vecchio per un secondo mandato, ma nessuno l’ha detto fino all’ultimo per non favorire Trump. Anche per Nyt e Cnn, la verità va raccontata solo se fa comodo
Il board editoriale del New York Times scarica Joe Biden
L'articolo del 28 giugno con cui il board editoriale del New York Times ha scaricato Joe Biden

Ma come è possibile che i giornali progressisti americani (ed europei al traino), che da sempre si vantano con grande prosopopea di essere i “cani da guardia” della democrazia, non si siano accorti delle difficoltà fisiche e mentali di Joe Biden?

Prima del disastro televisivo di una settimana fa, ogni sussurro, ogni spiffero sulla tenuta del presidente veniva messo a tacere. Poi, dopo l’imbarazzante prova nel confronto tv contro Donald Trump, è venuto giù il diluvio di critiche e la pressante (anche troppo) richiesta di ritirarsi dalla corsa elettorale e di lasciare spazio a un nuovo candidato.

I media americani si autoassolvono

Il sasso nello stagno l’ha lanciato Jill Abramson, ex direttrice esecutiva del New York Times, che a Semafor ha definito «sorprendente» il fatto che i grandi media siano caduti dal pero. L’Associated Press ha lanciato apertamente il dibattito, adducendo varie motivazioni, tutte molto fragili, a difesa della categoria dei giornalisti.

Accusare Biden di essere troppo vecchio per un secondo mandato, scrive l’Ap, era «durissima» soprattutto perché lo staff della Casa Bianca ha protetto il presidente centellinando le sue uscite pubbliche, le conferenze stampa e le interviste.

Tutti sapevano che Biden era troppo vecchio

Ma siamo davanti a un castello di carte di scuse che non può reggere. Se infatti i media americani hanno fatto quadrato attorno a Biden, i cittadini non se la sono mai bevuta.

In un sondaggio promosso dall’Ap già un anno fa, il 77 per cento degli americani giudicava Biden «troppo vecchio» per un secondo mandato. Alla richiesta di associare liberamente un termine al presidente, la maggioranza dei democratici ha utilizzato la parola “vecchio”, altri “lento” e “confuso”.

Insomma, se n’erano accorti tutti, ma proprio tutti, compresi gli elettori che avrebbero ugualmente votato per il presidente, tranne i media progressisti, che hanno volutamente scelto di ignorare la realtà.

Impedire a Trump di vincere, a ogni costo

L’articolo dell’Ap è autoassolutorio, come anche i servizi e gli editoriali sull’inadeguatezza di Biden che ora impazzano su tutti i giornali. La parola d’ordine è: laviamoci la coscienza, dimostriamo la nostra imparzialità infierendo sul presidente senza pietà, ora che gli argini hanno ceduto.

Ma la verità è che gli articoli senza peli sulla lingua di oggi, come gli ottusi silenzi di ieri, seguono lo stesso criterio, hanno lo stesso obiettivo e assolvono lo stesso scopo: impedire che Trump vinca.

L’ideologia fa danni

Il tycoon è l’ossessione dei media americani ed europei. Nonostante la democrazia statunitense abbia retto senza grandi scossoni ai quattro anni del leader repubblicano – l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 è stato grave, certo, ma il reale coinvolgimento e le responsabilità dell’ex presidente verranno valutate dai giudici – Trump è ancora dipinto come il male assoluto, l’autocrate, il tiranno che demolirà dall’interno gli Stati Uniti.

La demonizzazione dell’avversario politico, per via mediatica e giudiziaria, è un impegno H24 per i giornalisti che si sentono dalla parte giusta della storia. E che sono più preoccupati, come da feroce critica di James Bennet al New York Times, di portare avanti una ideologia piuttosto che di raccontare la realtà dei fatti.

Com’era il motto del Washington Post?

È proprio l’ideologia – che vede in Trump un nemico sistemico da abbattere con ogni mezzo – che ha impedito per anni ai media progressisti americani di parlare delle difficoltà di Biden, che erano sotto gli occhi di tutti, avvantaggiando di conseguenza Trump. Ed è quella stessa ideologia che li spinge a invocare ora il ritiro del presidente dalla corsa elettorale con decine di editoriali allarmati, mentre fino a ieri il leader democratico veniva descritto come «più sveglio che mai».

Il 22 febbraio 2017, un mese dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il Washington Post decise di stampare un motto efficace (anche se un po’ da fine del mondo) in bella vista sotto la testata: «La democrazia muore nell’oscurità». “Fare luce” sempre e comunque, pensava allora il giornale di proprietà di Jeff Bezos, aiuta la democrazia a restare in buona salute.

Ma al di là della retorica sulla penna che ferisce più della spada e sulla schiena dritta davanti ai poteri forti, si scopre che anche l’oscurità è bene accetta tanto a Washington quanto a New York quando serve a “salvare” la democrazia.

Aveva ragione Bennet, l’ex direttore della sezione Opinion del Nyt cacciato per aver fatto pubblicare un articolo troppo favorevole a Trump. La sua magistrale critica nei confronti del quotidiano americano si applica perfettamente a tutti i media progressisti: «La realtà è che il Times sta diventando un giornale attraverso cui le élite progressiste americane parlano a loro stesse di un’America che non esiste».

@LeoneGrotti

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