
Libia e Al Jazeera: rivoluzione catodica
Continuano a chiamarla Al Jazeera ma ormai non è più televisione. È la stella che non c’è, la lampada d’Aladino delle rivoluzioni, l’antenna magica capace di trasformare sogni e illusioni in realtà. Peccato soltanto che, una volta cambiato canale, una volta esauritosi il sogno catodico la realtà, si riappropri di se stessa trascinandoci nel caos e nel vuoto. L’ultimo sogno alimentato dall’antenna magica nasce in Cirenaica a metà febbraio. Sulle prime persino quelli di Bengasi ci credono poco. «Quando la data del 17 febbraio incomincia a circolare su Facebook io e tanti altri ci crediamo poco, abbiamo paura, pensiamo di non partecipare» racconta Mohammed Muftah, 21 anni, militante del movimento dei giovani per il cambiamento. Quella data è l’anniversario delle dimostrazioni del 2006 davanti al consolato italiano di Bengasi.
«Allora eravamo scesi in piazza per protestare contro le caricature del Profeta e contro quel vostro politico che se le era fatte disegnare su una maglietta. Ma fu una tragedia. La polizia sparò e uccise una decina dei nostri, uno cadde davanti casa mia con la testa aperta in due da un colpo di kalashnikov. Andrà allo stesso modo, ci dicevamo, e così io e molti altri decidemmo di non partecipare».
La differenza la fa Al Jazeera. Quando la tv riprende l’annuncio comparso su Facebook e diffonde la notizia delle manifestazioni, gli organizzatori decidono di scendere in piazza con due giorni d’anticipo. Sperano di prendere di sorpresa il governo e in parte ci riescono, ma il giorno dopo vengono praticamente decimati. La strage è la conseguenza di un corto circuito mediatico. Il gruppo dei dimostranti più determinati, incoraggiati dagli annunci di Al Jazeera si convincono di poter sfidare il regime, mentre le forze di sicurezza temono dall’altra parte di aver a che fare con una rivolta assai più vasta. La spietata reazione delle milizie di Gheddafi, che il 16 aprono il fuoco sui dimostranti, è il vero catalizzatore della rivolta.
Da quel momento, rabbia e indignazione spingono anche chi voleva starsene a casa a scendere in piazza. L’effetto è sorprendente. «Quando abbiamo visto i soldati gettare le armi e fuggire siamo rimasti di stucco, nessuno di noi ci credeva. Ancora adesso non capiamo come sia potuto succedere». Quel sortilegio è l’effetto di un altro corto circuito mediatico generato da una parte dalla decisione del governo libico di tener lontana la stampa internazionale e dall’altra dall’uso spregiudicato di internet, Twitter e antenne televisive. Il passaggio cruciale si registra il 20 febbraio. Quel giorno la guarnigione di Bengasi abbandona la città, mentre i dimostranti conquistano il pieno controllo di quasi tutte le altre città della Cirenaica. In quelle ore concitate all’interno della Libia non vi sono giornalisti.
L’unica fonte d’informazione sono le voci dei residenti raccolte al telefono e i messaggi di Twitter diffusi dai gruppi di fuoriusciti libici che vivono all’estero. In quei messaggi le voci si mescolano alla propaganda, le frammentarie informazioni passate di bocca in bocca senza alcuna verifica diventano fatti. Ma Twitter da solo poco potrebbe. La realtà artificiosa creata da quel flusso inverificabile d’informazione, finché resta limitata al ristretto circolo di fruitori di Twitter, non diventa notizia. Chi lo usa e lo frequenta sa che leggere i suoi messaggi equivale a orecchiare una voce al mercato. Talvolta è vera, talvolta è solo fantasia, talvolta è il frutto di un malinteso passato di bocca in bocca.
Il sortilegio capace di plasmare quel ventaglio di voci e trasformarlo in notizia lo realizza Al Jazeera. Al pari degli altri grandi canali internazionali non ha inviati sul posto, nessuno in grado di verificare quanto sta succedendo. Poco importa. Mentre Cnn, Bbc e gli altri grandi canali internazionali decidono di restare un passo indietro pur di non diffondere notizie inesatte o semplicemente inventate, Al Jazeera mette in onda tutto quel che le passa sotto mano. I messaggi di Twitter diventano notizia, i filmati girati con i telefonini e caricati su YouTube si trasformano in reportage.
Informazioni fantasiose
A tre settimane da allora, non esiste ancora un testimone in grado di confermare il racconto degli aerei scesi in picchiata per bombardare e mitragliare i dimostranti nelle strade di Tripoli. Nessuno dei giornalisti arrivati a Tripoli ha scoperto le fosse comuni dove sarebbero state sepolte le vittime di quei bombardamenti. Nessuno è ancora in grado di spiegare da dove siano arrivate le armi utilizzate dai dimostranti di Bengasi per dare l’assalto alla guarnigione governativa. Poco importa. Grazie a quel flusso fantasioso d’informazioni il mondo s’illude che Gheddafi sia con un piede nella fossa.
Ad alimentare il fuoco delle illusioni contribuiscono le defezioni di diplomatici ed esponenti del regime. Molti di loro sono membri di clan tribali, da sempre in lotta con il gruppo di potere del colonnello, cooptati dal regime per contribuire all’idea di una felice convivenza. Dopo la caduta di Bengasi sanno di non aver più nulla da perdere e che, da quel momento in poi, il colonnello si circonderà soltanto di fedelissimi e metterà da parte chiunque non sia perfettamente allineato. La loro defezione, alimentata anche dalle notizie di Al Jazeera, viene però interpretata come il segnale di un imminente crollo del regime.
Per giorni, il mondo s’illude che il colonnello stia per fuggire all’estero. Spronati da Al Jazeera, ci illudiamo che la rivolta di una Cirenaica da sempre in lotta con il regime di Tripoli e più sensibile al richiamo dell’islam tradizionalista e fondamentalista possa estendersi al resto del paese.
Alla fine quel sogno contagia anche i rivoltosi di Bengasi. Persuasi di aver davanti un
Gheddafi ormai alle corde, si gettano all’assalto dei campi petroliferi di Ras Lanuf, cercano di forzare le difese di Ben Jawwad per poi puntare su Tripoli. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Quell’armata Brancaleone corsa al fronte dopo le razzie degli arsenali governativi è già in rotta, stremata e decimata dalla controffensiva delle forze leali al colonnello. E così, mentre il sogno si dissolve, il mondo comincia a capire quanto sia pericoloso inseguire le illusioni catodiche generate dalla moderna lampada d’Aladino chiamata Al Jazeera.
Dopo aver creduto alla fola di un imminente caduta del rais, aver mosso la diplomazia internazionale per garantire il sostegno ai ribelli, aver creato le premesse per accelerare un cambio di regime, il mondo incomincia a stropicciarsi gli occhi e a guardare in faccia la realtà. Inizia a comprendere che in Libia non esiste, per ora, una forza capace di sostituirsi al colonnello e tantomeno un’organizzazione armata capace di conquistare la capitale. Ma il danno è fatto e ora è assai difficile tornare indietro. E quel colonnello, messo all’angolo come una bestia ferità, rischia di farci pagare cara la sua agonia. Che non sarà né veloce né indolore.
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