Il Deserto dei Tartari

Libertà di culto per gli islamici non significa costruire una moschea

Di Rodolfo Casadei
23 Maggio 2011
Pisapia vuole erigere una grande moschea a Milano perché «è importante anche in vista dell’Expo 2015. Non si può pensare di avere in città milioni di visitatori senza che ci sia per loro la possibilità di avere un proprio luogo di culto dove pregare». Però le moschee sono una cosa diversa da un luogo di culto e Pisapia lo sa. Ma vuole il voto degli immigrati islamici

Pisapia è noto come uomo che non ha paura di esprimere e difendere le sue idee, anche quando queste prestano il fianco a facili critiche e suscitano dubbi e dissensi fra i suoi stessi simpatizzanti. Ma su un tema sul quale gli avversari hanno cercato di metterlo alle strette un mezzo passo indietro lo ha fatto. Creando la tipica situazione che va sotto il nome: “Peggio la pezza del buco”. È stato quando, per meglio difendere la sua proposta di erigere una grande moschea a Milano, ha affermato che realizzarla «è importante anche in vista dell’Expo 2015. Non si può pensare di avere in città milioni di visitatori senza che ci sia per loro la possibilità di avere un proprio luogo di culto dove pregare, come peraltro sancisce la Costituzione».

A parte che la Costituzione prevede la libertà di culto, non il diritto a costruire o farsi costruire moschee, che sono una cosa molto diversa da un luogo di culto (basti leggere, per esempio, le “Cento domande sull’islam”, intervista al gesuita egiziano padre Samir Khalil Samir opera di Giorgio Paolucci e Camille Eid), stabilire un nesso fra l’Expo e la necessità di costruire una moschea è illogico: l’Expo finisce, la moschea rimane. Gli eventi temporanei a volte necessitano infrastrutture permanenti, ma le strutture funzionali sono, normalmente, temporanee come l’evento.

Nel dicembre 2009 sono stato inviato alla Conferenza di Copenaghen sulle alterazioni del clima. Era stata preceduta da un incredibile battage pubblicitario, era stata fatta passare l’idea che la sopravvivenza climatica del pianeta sarebbe dipesa dai risultati di quella Conferenza Onu. Pertanto erano presenti decine di migliaia di persone. Le autorità danesi hanno forse costruito una moschea, o una chiesa cattolica (il paese, come è noto, è di tradizione luterana evangelica), o una sinagoga? No, hanno semplicemente attrezzato un salone del Centro Conferenze di Copenaghen dove si svolgeva il vertice a luogo di culto temporaneo. Piuttosto squallido, fra l’altro: pareti vuote e moquette verdognola, una scarpiera e qualche pianta; il “format” era palesemente quello di una moschea temporanea.

Luoghi di preghiera islamici a Milano ce ne sono una mezza dozzina, a riprova che la libertà di culto in città è perfettamente rispettata. Il fatto che uno solo di questi luoghi sia una moschea – quella che sorge al confine fra Milano e Segrate – non significa proprio niente: nell’islam non c’è un precetto religioso che obblighi a frequentare le moschee, il fatto che nei paesi musulmani molta gente si raduni in moschea il venerdì per la preghiera di mezzogiorno è soltanto un’usanza. Il precetto delle cinque preghiere quotidiane può essere assolto ovunque, a cominciare da casa propria. Allora perché la leadership islamica di Milano vuole una moschea? Per motivi di prestigio, per motivi politici: una grande moschea a Milano è segno che l’islam sta conquistando anche la cattolica Italia. Una moschea non è un luogo di culto, è molto di più: è una realtà politico-religioso-culturale, e quando i leader islamici di Milano e Giuliano Pisapia – persone colte, persone informate – la definiscono “luogo di culto”, semplicemente mentono sapendo di mentire, cercano di imbrogliare i loro interlocutori.

Per quale ragione gli islamici giochino sull’equivoco si può immaginare, perché lo faccia Pisapia si spiega in due parole: la mossa va vista nel contesto della sua strategia di ottenere l’introduzione del voto amministrativo anche per i residenti stranieri, che spera di trasformare in un bacino di voti da cui attingere; la moschea gli serve per vantare un merito agli occhi degli immigrati di tradizione islamica in forza del quale poi chiedere il loro voto.

Personalmente non sono contrario a priori all’edificazione di una seconda moschea – dopo quella vicina a Segrate – nel territorio milanese, ma sono contrario in questo momento storico e con questi interlocutori musulmani che ci ritroviamo a Milano. Non si può dimenticare che Milano è l’unica città italiana che ha subito un attentato kamikaze islamico (quello di Mohamed Game contro la caserma di via Perrucchetti) e una delle poche dove l’imam del principale luogo di preghiera (quello di viale Jenner) è stato condannato con sentenza definitiva per terrorismo internazionale.

La nuova moschea di Milano verrebbe inevitabilmente egemonizzata dall’Ucoii, l’organizzazione musulmana italiana che è una gemmazione dei Fratelli Musulmani egiziani e di Hamas palestinese. C’è chi dice che i Fratelli Musulmani egiziani stanno cambiando, che non sono più fautori di una repubblica islamica integrale come lo erano fino a pochi anni fa. Bene, diamogli il beneficio del dubbio: a settembre in Egitto si vota e i Fratelli Musulmani entreranno finalmente nell’area di governo. Vediamo come governano per una decina di anni, e poi decidiamo se meritano che gli regaliamo una moschea a Milano. Prima di allora, meglio di no. Molto, molto meglio di no.

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