
La tragedia del Libano, dove ormai si muore per malattie curabili

Grazie al sostegno di Orizzonti e di Romagna Solidale l’inviato di Tempi Rodolfo Casadei si trova in Libano. Qui trovate la terza delle sue corrispondenze per il sito, che lasciamo aperta alla lettura anche dei non abbonati. Il reportage completo potrà essere letto sul prossimo numero di Tempi mensile. Qui la prima puntata. Qui la seconda puntata.
Cinque anni. Amir è morto a cinque anni per una questione che si poteva risolvere con 4 o 5 euro. Quattro o cinque euro, il costo di una confezione di tachipirina… Ma quei soldi la sua famiglia non ce li aveva, e in Libano al giorno d’oggi non c’è pietà per nessuno. Stephanie ti guarda dritto negli occhi e la sua voce è un crescendo: «Gli è venuta la febbre, altissima. Hanno fatto il giro delle farmacie della loro zona, ma sono talmente mal ridotte che nessuna aveva il paracetamolo. Allora sono corsi all’ospedale. Gli hanno detto: “Se non avete da pagare non possiamo darvi niente”. Il bambino ha avuto le convulsioni, è andato in coma e in poco tempo è morto. Come lui sono morte altre tre persone che erano nostri assistiti: non a causa della gravità della malattia, ma perché non si sono potute curare o perché non si sono potute ospedalizzare. Deve credermi: la gente in Libano sta morendo per malattie curabilissime!».
La goccia nel mare di Pro Terra Sancta in Libano
Stephanie, laurea in Farmacia, fa parte dell’équipe di Pro Terra Sancta (la Ong legata ai Francescani di Terra Santa) che da quasi un anno fornisce assistenza medica alle famiglie indigenti di Tripoli, la più povera fra le grandi città libanesi. Sono più di 1.500 gli adulti e i bambini che fino a oggi hanno ricevuto assistenza gratuita. Ma è una goccia nel mare. «In Libano gli ospedali pubblici si occupano di chi non ha una copertura sanitaria, gli ospedali privati di chi ce l’ha. I primi sono un disastro, i secondi funzionano. Ma da quando è cominciata la crisi respingono anche i pazienti coperti dalla previdenza sociale, e chiedono il pagamento in dollari: 8 mila per un parto senza complicazioni, 20 mila per un’operazione al cuore. E li esigono in contanti!».
Padre Michel Abboud, carmelitano presidente della Caritas nazionale, conferma: «Ogni settimana ci arrivano notizie credibili di persone decedute soltanto perché non avevano i soldi per acquistare farmaci salvavita o perché gli ospedali li respingevano in quanto non potevano pagare ricovero e intervento. Nel recente passato i libanesi in posizione di lavoro dipendente andavano nelle cliniche private convenzionate, e la previdenza sociale a cui erano stati fatti i versamenti attraverso i prelievi in busta paga saldava il costo della prestazione. Col crollo del 95 per cento del valore della lira libanese l’importo dei versamenti è diventato risibile, e di conseguenza la previdenza non è più in grado di rimborsare nulla. Allora gli ospedali esigono di essere pagati direttamente e anticipatamente da chi chiede la prestazione, ma costoro non hanno più soldi, perché il valore degli stipendi è crollato insieme a quello dei versamenti previdenziali! Gente che prima guadagnava l’equivalente di 1.500 dollari al mese, adesso in busta paga ne trova l’equivalente di 50. E deve affrontare le stesse spese di prima…».
È crollato anche il sistema giudiziario
Trovare riscontro a queste affermazioni è facilissimo: «Mio padre è un militare, ed è esattamente una di quelle persone che prima del crollo della lira guadagnavano 1.500 dollari: oggi si sono ridotti a 50 appena!», racconta Sally, una bella ragazza di 27 anni laureata in Legge che sta per sposarsi. «Io lavoro da due anni in uno studio di avvocati, e le nostre parcelle si sono disintegrate, perché ormai non si celebrano più processi. I giudici erano persone che prima del tracollo finanziario guadagnavano 6 mila dollari al mese, e adesso ne vedono 200! Perciò non convocano più le udienze, perché si dedicano ad altre attività per poter sopravvivere. Lasciamo stare i soldi, pensi alle conseguenze giudiziarie e umane: i detenuti in attesa di giudizio restano in carcere, i permessi per le visite dei familiari ai detenuti o i provvedimenti per la concessione degli arresti domiciliari non vengono più disposti. E naturalmente gli avvocati non vengono più pagati».
Jimmy il geniaccio e i medici in fuga
I giudici non sono i soli pubblici ufficiali che hanno preso l’abitudine di marcar visita: a Beirut come nel resto del paese la polizia municipale è diventata quasi invisibile. Impegnati in doppi o tripli lavori per portare a casa l’indispensabile, i vigili urbani non si presentano al lavoro più di un giorno o due alla settimana. Nella capitale del Libano non si staccano più multe per divieto di sosta: dopo le proteste dell’ottobre 2019, i parchimetri sono stati divelti o manomessi e mai più aggiustati, i vigili sono quasi scomparsi dalle strade, gli abitanti di Beirut parcheggiano ovunque gratis e senza subire mai alcuna sanzione.

Jimmy è un geniaccio. A 27 anni lavora nella polizia militare e ha già preso o sta per prendere una serie impressionante di lauree e diplomi di alta qualificazione: patologia clinica forense, management dei grandi disastri, gestione degli esplosivi, psicologia clinica. Faceva parte di una delle équipes che hanno eseguito i rilievi dell’esplosione del porto di Beirut dell’agosto 2019, ma è stato allontanato perché considerato un ficcanaso (l’inchiesta è stata ostacolata e virtualmente insabbiata per le pressioni del partito Hezbollah).
«Mia madre ha una bottega di frutta e verdura che faceva profitti per 1.000 dollari al mese, adesso è tanto se arriva a 30. Io avevo uno stipendio da 1.300 dollari, che sono diventati 50. Abbiamo dovuto lasciare la casa nella capitale, che avevamo restaurato dopo i danni per l’esplosione del porto, e trasferirci in campagna. Io vorrei emigrare perché con le mie qualifiche potrei trovare lavoro all’estero, ma essendo militare non mi lasciano andare!». Chi invece se ne va dal paese sono medici e infermieri: lo scorso anno 5 mila dei 16 mila dottori iscritti all’Ordine sono emigrati, e le cifre che riguardano gli infermieri sembrano non essere molto diverse.
Il dilemma dei giovani: partire o restare in Libano?
«I giovani si trovano di fronte a un dilemma morale: partire e aiutare le loro famiglie dall’estero, col rischio di perdere le proprie radici, oppure restare e cercare di costruire qui qualcosa di nuovo, col rischio di fallire e di non potere più assicurare le condizioni della vita materiale a sé e ai propri cari», spiega mons. Mounir Khairallah, vescovo maronita di Batroun.
«Mio nipote ora ha 39 anni, è un ingegnere informatico. Otto anni fa è emigrato in Nigeria dove fra mille difficoltà ambientali ha messo da parte un tesoretto che ha trasferito sul suo conto corrente in una banca libanese, cambiando i dollari in lire per ottenere interessi migliori. Quando è tornato, ha scoperto che il deposito aveva perso il 95 per cento del suo valore, e che in aggiunta c’erano problemi per i prelievi, a causa delle limitazioni che le banche di loro iniziativa hanno imposto. I sacrifici di un decennio di vita sono andati perduti, deve ripartire da zero. Doveva decidere se ripartire da zero in Libano o se ripartire da zero all’estero. Ci siamo parlati a lungo, e alla fine mi ha detto: “Zio, io voglio vivere e costruire qualcosa qui in Libano, le cose devono cambiare”. Il paese è pieno di giovani come lui, più giovani di lui, che stanno comportandosi in modo commovente: mentre prima erano i genitori ad aiutarli economicamente, ora sono loro che cercano di rendere meno dura la vita di loro padre e di loro madre. Fanno sacrifici eroici per non pesare sui genitori. Alcuni di loro emigrano, con l’obiettivo di garantire un futuro migliore a se stessi e ai loro cari che restano in Libano, ai quali invieranno rimesse come emigranti. Io dico loro: “Andate, non esitate. Ma tornate, un giorno! Grazie al vostro aiuto da fuori qui comincerà una società nuova, con un sistema politico diverso e uno Stato più efficiente. Insieme, voi all’estero e noi qui, ce la faremo”».
Il progetto “Work in Progress” di Pro Terra Sancta
Intenzionati a restare sono i giovani e meno giovani che hanno preso parte al progetto in tre tappe per la microimprenditoria in Libano “Work in Progress”, promosso da Pro Terra Sancta. Si sono presentati 100 candidati, ai quali è stata data la possibilità di frequentare un corso di sei settimane sui fondamentali del business e del management. Fra loro ne sono stati poi selezionati 30 che hanno dimostrato le migliori capacità imprenditoriali e che hanno avuto diritto al “coaching” indispensabile per mettere a punto il loro business plan (idea, piano finanziario e analisi di mercato) da parte di un gruppo di esperti italiani e libanesi. Fra questi 30 verranno infine scelti i 5 progetti mertitevoli di diventare realtà da un comitato di imprenditori e accademici universitari di facoltà economico-finanziarie: i loro promotori riceveranno 5 mila euro a testa per avviare la loro startup.
Ma che ne sarà dei 25 perdenti, chiediamo a Peter Hayek, un giovane dirigente del team di Pro Terra Sancta, che ha lasciato un lavoro ben remunerato nell’ambito del merchandising per operare nel settore dell’umanitario? «A causa della crisi tanti giovani e meno giovani sono caduti in depressione, si sono chiusi in casa, alcuni si sono suicidati: hanno visto il loro mondo quotidiano scomparire nel giro di poco tempo, il loro stile di vita normale diventare impossibile, amici e parenti che partivano per l’estero e li lasciavano soli. Il nostro progetto ha tirato fuori da casa e dal pozzo della depressione tanti che avevano perduto la fiducia in se stessi e nel prossimo. Anche chi non vincerà il premio di 5 mila euro potrà cercare di realizzare il progetto che è stato aiutato a formulare in termini corretti; avrà comunque scoperto che esiste ancora la possibilità di relazionarsi ad altri e di fare leva sulle proprie personali qualità».
«Come definirei quello che stiamo facendo in questo periodo noi che partecipiamo a “Work in Progress”?», risponde Jimmy il geniaccio, il cui progetto per la creazione di orti urbani su balconi e terrazze è stato selezionato fra i 30 dell’ultima scrematura. «Lo spettacolo delle fenici che risorgono dalla cenere». Non si fa in tempo a chiedere a Jimmy se ha letto Erodoto o Ovidio, perché sta già parlando col professor Paolo Fumagalli che insegna scienze bancarie, finanziarie e assicurative all’Università Cattolica di Milano. La fenice ha preso il volo (3.fine).
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