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Mustafà Berjawi guarda le macerie della casa della sua famiglia. Quattro razzi hanno perforato il tetto dell’edificio, attraversato quattro piani e sono esplosi al piano terra, polverizzando in una nube di luce e calore suo padre, Hussein, sua madre Amal, due sorelle, Amani e Zeina, un nipotino di dieci anni, Mahmud, la zia Fatima e la cugina Tahrid.
Erano le otto e 41 di sera a Nabatiye, venticinque chilometri a Nord del confine israeliano. Una zona considerata relativamente sicura, finora risparmiata dai raid dell'aviazione israeliana.
«A quanto abbiamo saputo - dice Mustafa mostrando i resti di un razzo - due miliziani hezbollah che erano a bordo di un'auto hanno capito che in qualche modo gli israeliani stavano cercando di colpirli. Erano nel mirino del drone, hanno cercato di rifugiarsi nella palazzina. Sono partiti i razzi. Missili intelligenti li chiamano: ecco il risultato. Un quarto d’ora prima ero uscito di casa con mia moglie e mio figlio, noi ci siamo salvati così. Ho un ne...
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