
Lezione bengalese
Gli attentati di New York e Washington e il loro seguito hanno sorpreso padre Piero Gheddo in Bangladesh, dove è rimasto tutto il mese di settembre per partecipare alle manifestazioni per i 150 anni della missione del Pime in quel paese e per raccogliere materiale storico in vista della pubblicazione di un libro. La conversazione con lui è una preziosa occasione per scoprire quali sono state le reazioni di fronte ai recenti avvenimenti in un paese musulmano (a questa religione appartiene l’87 per cento dei 130 milioni di abitanti) non arabo poverissimo, e più in generale cosa bolle in pentola dal punto di vista politico, sociale e religioso in una di quelle società che rappresentano il potenziale bacino di reclutamento dell’estremismo islamico.
Padre Gheddo, come hai avuto la notizia degli attentati negli Usa mentre eri in Bangladesh?
L’ho saputa con un giorno di ritardo, perché mi trovavo in un villaggio dell’interno privo di tivù, e quella sera non avevamo ascoltato il notiziario. La sera dopo ho visto il primo servizio televisivo mentro ero a Dinajpur, in una casa di missionari. Ma non ho potuto capire la portata dell’avvenimento fino a quando non sono tornato a Dacca, la capitale, una settimana dopo, e ho visto i notiziari della Bbc.
C’è stata emozione a livello di opinione pubblica?
Pochissima. In un paese poverissimo come il Bangladesh, dove la priorità della grande maggioranza è sopravvivere giorno dopo giorno, la notizia è sfrecciata come un aereo ad alta quota. Non ci sono state né veglie di solidarietà con gli Usa, né manifestazioni anti-americane coi ritratti di Bin Laden come in Pakistan.
Com’é l’islam bengalese? Tranquillo o militante?
È un islam tranquillo, perché la religione non è arrivata con la spada come in Pakistan, con gli imperatori moghul, ma attraverso i commercianti e i sufi, i mistici musulmani. È un islam un po’ superstizioso e un po’ sincretista, mischiato con l’induismo preesistente, lontano dagli apparati ideologici e gerarchici dell’islam arabo-iraniano. Ma negli ultimi trenta-quarant’anni si è un po’ radicalizzato da quando arabi e iraniani hanno cominciato a mandare lì i loro missionari.
Da dove arrivano e che cosa fanno?
Arrivano da Libia, Iran, Irak, Siria, Egitto, emirati. Hanno molti soldi, fondano “madrasse” (scuole coraniche) e costruiscono moschee. Diffondono una predicazione estremista. Da qualche anno, non molti, hanno cominciato anche a creare opere sociali, ma con un criterio molto particolare: le sistemano sempre nei pressi di qualche istituzione socio-sanitaria creata dalle missioni. In molte località ho visto la sede dell’Islamic Relief Service (una Ong islamica – ndr) proprio a fianco di ambulatori, scuole, lebbrosari, ecc. della missione cattolica. A Bodi Boghur, dove nel giro di 50 km l’unico dispensario esistente era quello delle Missionarie dell’Immacolata, conosciutissimo e apprezzatissimo, non hanno trovato di meglio che costruire un dispensario concorrente a meno di 500 metri da quello delle suore!
È forte la presenza cristiana in Bangladesh?
Appena l’1 per cento della popolazione. Ma le opere sociali missionarie sono molto visibili. Le scuole professionali, per esempio, sono tutte cristiane: 5 cattoliche e 1 protestante. Esistono due politecnici statali, ma gli studenti imparano solo la teoria: se vuoi un elettricista o un operatore per i computer, devi andare a cercarlo fra i diplomati delle scuole cristiane. Che sono superaffollate e soffocate da un numero di richieste enorme. Tanto che i missionari devono preoccuparsi di riservare qualche posto ai cristiani, altrimenti tutti gli iscritti sarebbero musulmani.
I musulmani non temono un’azione di proselitismo cristiano fra quelli di loro che frequentano ambulatori e scuole dei missionari?
Assolutamente no, perché nessun missionario in Bangladesh si sognerebbe di battezzare un musulmano. Le sole conversioni al cristianesimo si hanno fra le minoranze tribali non islamiche e fra gli indù. I musulmani usufruiscono delle opere sociali cristiane, rispettano il cristianesimo ma restano musulmani. Ci sono alcune situazioni molto speciali, gruppi marginali che si dichiarano “musulmano-cristiani”. Per esempio nella zona di Maimensing, nel nord-est, c’è una popolazione musulmana che afferma di essere cristiana: vanno alla moschea, ma leggono il Vangelo e riconoscono Gesù come Signore. Dicono che Maometto non è venuto per portare una nuova religione, ma per fare in modo che i popoli cristiani decadenti tornassero alla fede. Naturalmente per l’islam queste sono posizioni eretiche, ma in Bangladesh sono tollerate.
Ci sarà almeno un po’ di spirito anti-americano e anti-occidentale…
In parte sì, ma non è come si pensa qua. Per tradizione culturale, i bengalesi non sono fanatici: sono cordiali, aperti, sorridenti e soprattutto flessibili. La flessibilità è la principale caratteristica dei bengalesi, anche a causa della povertà. Le stesse persone che gridano “abbasso gli americani” in manifestazioni organizzate con soldi arabi, quando ti incontrano da soli all’angolo della strada attaccano discorso per chiederti se ci sarebbe lavoro per loro negli Stati Uniti! In condizioni normali, non ci sono sentimenti anti-americani o anti-occidentali nella popolazione, soprattutto perché sono consapevoli di dipendere, economicamente, dall’Occidente, dai suoi aiuti e dai suoi investimenti. L’ostilità si manifesta in particolari situazioni.
Quali?
Durante la guerra del Golfo la gente, mi hanno detto i missionari che vivono lì, era tutta per Saddam Hussein, anche se il governo aveva inviato un corpo di spedizione a fianco degli americani e dei sauditi. Nei taxi, nei pulman e nei ristoranti veniva esposta la foto del rais ornata di fiori. Senza riflettere sui risvolti politici, la gente simpatizzava col paese musulmano in guerra con una coalizione dominata da non musulmani. «Speriamo che gli americani non facciano un’altra guerra come quella contro l’Irak dieci anni fa», mi hanno detto i missionari. In quei giorni, infatti, ai “bianchi” era sconsigliato uscire di casa, al mercato si veniva insultati con la tipica espressione anglo-bengalese: «Bush, scimmia rossa!». Anch’io l’ho sentita, qualche giorno fa, mentre attraversavo un mercato della capitale, ma per adesso non è pronunciata con cattiveria.
Ma non c’è il rancore dei poveri verso i ricchi, non c’è la denuncia di un asserito sfruttamento economico?
Assolutamente no. In Bangladesh tutto è finanziato dagli occidentali: il bilancio statale, le scuole con gli insegnanti stipendiati dall’Unicef, la costruzione delle infrastrutture. Molte imprese, anche italiane, hanno decentrato là le loro produzioni. Ho incontrato un dirigente della Benetton che mi ha spiegato: «La prima industrializzazione del Bangladesh la stiamo facendo noi, e sono lavoratori formidabili. Questo paese merita di crescere». Già adesso il Bangladesh esporta dai 2,5 ai 3 milioni di capi di vestiario al giorno in Europa e negli Usa. Certo, i salari sono molto bassi se confrontati a quelli occidentali, la Benetton e gli altri vanno lì per interesse e non certo per beneficenza, ma se domani le nostre industrie se ne andassero, milioni di persone risprofonderebbero nella miseria più nera. E non dimentichiamo le centinaia di Ong cristiane e laiche che si occupano di tutto: sanità, sviluppo rurale, cooperative, promozione della donna.
Non è un tema un po’ troppo delicato, la promozione della donna?
No, il Bangladesh è un paese musulmano, ma le donne lavorano anche fuori di casa. Nell’industria tessile, a casa o negli stabilimenti, lavorano più di un milione di donne. Moltissime sono attive nelle cooperative rurali. In Bangladesh da vent’anni a questa parte è in corso una vera rivoluzione nel mondo femminile. Del resto i candidati dei due principali partiti alle elezioni che si sono svolte all’inizio di questa settimana erano due donne, il presidente uscente Sheikh Hasina dell’Awami League e Khaleda Zia del Bnp, il partito nazionalista bengalese.
Beh, un bell’ostacolo sulla strada dell’integralismo islamico…
Sì, ma l’islam radicale per ora non ha influito sui comportamenti sociali, si concentra sulla politicizzazione dell’identità islamica. L’ostilità a certi costumi occidentali, d’altra parte, è già parte del senso comune dei bengalesi.
Allora non sono tanto le relazioni economiche a creare il sentimento anti-occidentale, ma il nostro stile di vita?
Sì, disprezzano l’Occidente in quanto lo giudicano moralmente corrotto, licenzioso e irreligioso. Un missionario mi ha raccontato un episodio istruttivo. Stava cenando in un ristorante con alcuni conoscenti bengalesi, e la tivù trasmetteva un telefilm americano. A un certo punto una delle attrici ha cominciato a spogliarsi per andare a dormire. È successo il finimondo: gli avventori hanno preso a gridare per far interrompere lo spettacolo. Dicevano: «Spegnete queste scene indecenti che i cani infedeli ci impongono per corromperci». Il confratello missionario mi spiegava: «Scene come quelle sono scandalosissime per una società religiosa e contadina come quella bengalese, che ha i costumi che potevano esserci da noi qualche secolo fa. Sarebbe come sa da noi uomini e donne andassero in giro nudi per la città».
Ma la moralità dei bengalesi è molto migliore della nostra?
Certamente no. Molta della loro devozione religiosa è puramente formale. I Dieci comandamenti li vìolano quanto noi. Poi quando sono anziani diventano molto pii: spendono tutto quello che hanno per andare in pellegrinaggio alla Mecca. Vivono gli ultimi anni della vita nel digiuno e nella penitenza.
Dall’indignazione per l’immoralità occidentale al sostegno a Bin Laden il passo è lungo…
E infatti lo compiono in pochi. Nella zona di Barisal e Chittagong ci sono alcuni centri sospetti, che formano i cosiddetti “guerrieri dell’islam”. Sono centri di studi, ma alcuni dei loro studenti poi vanno in Afghanistan e si uniscono ai talebani.
Tornare in Italia dal Bangladesh e scoprire che qua c’è una polemica circa la superiorità della civiltà occidentale che impressione ti fa?
Distinguerei fra l’intervento della Fallaci e quello di Berlusconi. Col primo sono abbastanza d’accordo sui contenuti, con molti distinguo, ma il tono e l’aggressività sono negativi. Cosa penseranno i musulmani moderati, che secondo me sono il 90 per cento dei musulmani, quando leggeranno la sintesi dell’articolo sui loro giornali? È errato l’atteggiamento terzomondista, ma è ugualmente errato il furore anti-islamico della Fallaci. I popoli debbono incontrarsi, non demonizzarsi reciprocamente. Quanto all’intervento di Berlusconi, può essere considerato inopportuno sulla bocca di un uomo di governo, ma la sostanza di quello che ha detto mi trova d’accordo. Ai cattolici che se ne sono lamentati dico: Gesù Cristo ha portato nel mondo un’umanizzazione o no? Se non ha portato niente in termini di umanizzazione, allora non si può dire che il Regno di Dio comincia qui.
E ai non credenti cosa diresti?
Che la nostra civiltà ha portato nel mondo tutti quei valori, quelle tecniche e quei mezzi a cui tutti oggi, nei paesi poveri, aspirano. Andateci e lo constaterete.
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