L’Europa ideale

Di Mario Mauro
18 Agosto 2005
LA CRISI COMUNITARIA NON E' SOLO FIGLIA DELLE BIZZE E DEGLI EGOISMI MA DELLA MANCANZA DI POLITICI CORAGGIOSI E REALMENTE RIFORMISTI. A BLAIR LA SFIDA DI INVERTIRE ROTTA

«Gli ideali sopravvivono attraverso il cambiamento, muoiono con l’inerzia di fronte alle sfide». Così, pochi giorni dopo il fallimento del Consiglio europeo del giugno scorso, Tony Blair ha voluto aprire il semestre di presidenza britannica dell’Ue. Il Leader britannico non immaginava ancora l’immane tragedia che stava per abbattersi sul proprio paese e sull’Europa intera, ma una volta di più, la risposta in termini operativi ed in termini ideali agli attentati di Londra passa attraverso la soluzione che l’Europa saprà dare alla propria crisi.
La situazione di impasse in cui naviga l’Europa deve portarci ad una profonda riflessione. Al di là della capacità di giungere ad un accordo sul bilancio, il vecchio continente sta perdendo il proprio orizzonte, la propria dimensione. Dopo l’era Kohl l’Europa è stata dominata da politici senza il coraggio necessario per poter generare il domani e senza la forza per poter mantener fede alla costruzione politica creata poco più di cinquant’anni fa da Adenauer, De Gasperi e Schumann. Una generazione di politici giunta ad un’idea di Europa, bocciata dai referendum francese ed olandese, per cui l’integrazione sempre più stretta è diventata un valore in se stessa.

LA SFIDA LANCIATA DA BLAIR
La sfida di Blair è la “modernizzazione” dell’Ue, con un bilancio adeguato al mondo di oggi e con stimoli alla competitività. L’inerzia di Chirac è il non voler cambiare la Politica agricola comune (Pac) né il vecchio modello sociale europeo, oltre alla tentazione di bloccare l’allargamento.
Vogliamo un’economia dinamica la cui dimensione sociale è fondata sulla capacità di creare ricchezza, incrementare la competitività, per affrontare la globalizzazione? O preferiamo continuare a mantenere venti milioni di disoccupati, avere una produttività inferiore a quelli degli Stati Uniti; creare meno laureati in materie scientifiche dell’India?
Non cadiamo nel cliché della vecchia sfida tra “Europa del libero mercato” ed “Europa sociale”, tra mercato comune e progetto politico. L’Europa sociale e l’Europa economica devono sostenersi reciprocamente, attraverso politiche adatte al mondo di oggi. La vera sfida a cui l’Europa è chiamata risiede nella modernizzazione, nella globalizzazione, nella sicurezza del posto di lavoro, nelle pensioni, nella formazione, nella ricerca, nella qualità della vita. Tutti punti su cui fino ad ora i nostri progressi non si sono neanche lontanamente avvicinati agli standard definiti cinque anni fa a Lisbona.
Evitare questa grande sfida, nella speranza di poter evitare la globalizzazione e fuggire dalle trasformazioni che ci circondano, rifugiandosi nello status quo ci porterà al fallimento. Come ha sottolineato Blair «non è tempo di accusare di tradimento chi desidera il cambiamento dell’Europa. È il momento di riconoscere che, solo cambiando, l’Europa ritroverà la propria forza, il proprio ruolo, i propri ideali e, quindi, il sostegno popolare».

BILANCIO
Il dibattito sul bilancio per il periodo 2007/2013 rappresenta il momento della verità per l’Unione europea. è proprio in quest’occasione che l’Europa deve dimostrare di essere veramente pronta ad affrontare con successo le sfide che ci attendono. Al Consiglio europeo di giugno i capi di Stato e di governo non ne sono stati capaci. Blair ha la grande occasione per confermare che l’Europa è decisa a investire nel futuro, dimenticando un passato fatto di egoismi nazionali e dagli esorbitanti contributi destinati alla politica agricola. Un moderno bilancio europeo non può infatti continuare per i prossimi dieci anni a destinare il 40 per cento del denaro alla Politica agricola comune.

ALLARGAMENTO
Il capro espiatorio della crisi europea sembra essere l’allargamento. Un allargamento da sempre apparso come un puro calcolo e quindi considerato da tutti come ulteriore giustificazione per gli opportunismi che da sempre caratterizzano chi fa parte dell’Unione.
Se interrompiamo l’allargamento o ne ostacoliamo le naturali conseguenze, questo, non salverà certo le sorti dell’economia europea. Dopo aver vissuto il più grande allargamento della sua storia, l’Ue deve inoltre mantenere fra le sue priorità il processo di stabilizzazione e di associazione con i Balcani. Se i serbi di Bosnia dovessero perdere di vista la concreta possibilità di poter “stare da serbi” in Europa non avrebbero certo remore a riprendere la strada della secessione, facendo piombare l’intero continente in una crisi ben più grave di quella legata alle ratifiche della Costituzione europea. L’Europa ha fatto delle promesse che, per quanto forzate o premature, non può disattendere. Solo tenendo aperta la porta verso i Balcani e passando dall’era degli accordi di Dayton all’era degli accordi di Bruxelles, l’Europa potrà mantenere fede al suo originario, vincente, programma politico e dare una speranza di pace al continente.
A questo dobbiamo poi agganciare la politica estera e di sicurezza comune europea. Vogliamo che l’Europa punti a rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti, fondandola sui comuni valori di libertà e democrazia dell’Occidente? O preferiamo contrapporci agli Stati Uniti per “bilanciarne” la potenza?
Un’Europa forte ed attiva in politica estera, sarebbe di certo un buon partner per gli Usa ed un soggetto in grado di dimostrare la propria capacità di spingere il mondo in avanti, intervenendo in maniera rapida ed efficace nella soluzione dei conflitti. Insieme alla Nato o, nel caso in cui questa non desideri essere coinvolta, fuori dalla Nato.

COSTITUZIONE
L’entrata in vigore della Costituzione è stata rinviata al 2007, senza trovare il coraggio di entrare nel merito di un brutto testo che ha sancito un pessimo accordo. Il problema non è l’allargamento dell’Unione. Il problema è la Costituzione ed in che cosa l’Europa crede. Il problema è il cemento su cui costruire l’allargamento. Il problema è una costituzione figlia di una generazione di politici che temono tutto ed il contrario di tutto, perché piegati alla logica del consenso e dell’esercizio del potere fine a se stesso, privo di grandi ideali.
Nella maggior parte dei Paesi membri oggi sarebbe difficile assicurare un “sì” referendario alla Costituzione. Mentre prima sembrava che tutto il bene possibile provenisse dall’Europa, oggi ci appare il contrario. Segno evidente del fatto che il problema più grande consiste nell’incapacità di restituire dignità all’Europa dei popoli. Per troppo tempo tutto è stato sacrificato all’Europa di burocrazie molto più diffuse e pervasive che non la sola burocrazia di Buxelles. Burocrazie perverse che poggiano su stati malati di sovranismo ed allo stesso tempo inguaribilmente nemici dei propri popoli, tanto da tollerarne la desertificazione culturale e morale attraverso l’approvazione di leggi inique, come nel caso di Zapatero in Spagna.
è da poco iniziato il semestre britannico di presidenza dell’Unione europea. Chissà che Blair non lo colga come occasione per passare alla storia, non solo come il laburista più longevo al governo della Gran Bretagna, ma anche come l’uomo capace di ridare fiato alla speranza d’Europa.
*vice presidente
del Parlamento Europeo

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