Tentar (un giudizio) non nuoce

L’Europa fragile e il potere secondo Trump

Di Raffaele Cattaneo
01 Marzo 2025
Il modo di esercitare il suo ruolo da parte del presidente degli Stati Uniti è il futuro del potere? L'Europa è il vaso di coccio tra vasi di ferro?
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto Ansa)
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto Ansa)

Le prime settimane della presidenza Trump stanno sconvolgendo gli equilibri di potere e le consuetudini istituzionali che tradizionalmente regolano la funzione del presidente degli Stati Uniti. Devo fare ammenda: in un pezzo su questa rubrica, scritto il 9 novembre, avevo ipotizzato che Trump, all’inizio del suo mandato, avrebbe adottato un atteggiamento più istituzionale e meno pirotecnico. I fatti mi smentiscono.

Le sue esagerazioni, talvolta apertamente trash, ne sono una testimonianza. Un esempio su tutti: il recente video pubblicato sull’account ufficiale della Presidenza degli Stati Uniti dedicato a “Trump Gaza” e realizzato dall’intelligenza artificiale. Un susseguirsi di immagini kitsch: palloncini dorati con il volto di Trump, statue colossali che lo ritraggono, e persino una scena in cui sorseggia un drink con Netanyahu, comodamente sdraiati lungo quella che dovrebbe essere la nuova riviera di Gaza.

Trump l’imperatore

Secondo alcuni, questa ostentazione rientra in una precisa strategia: esasperare ogni posizione per guadagnare margini di negoziazione. Ma non c’è dubbio che questa visione del potere nasconda insidie profonde. Perché, se è vero che Trump esercita la sua funzione con una modalità che alcuni non esitano a definire “imperiale”, ciò significa che il suo obiettivo non è il dialogo, bensì la vittoria a tutti i costi. Dettare l’agenda, spiazzare gli avversari, lanciare proposte iperboliche: tutto segue la logica spietata dell’uomo d’affari, per il quale il mondo è solo un gioco a somma zero.

Angela Merkel lo aveva ben chiaro quando dichiarò che la buona politica è quella in grado di far vincere entrambe le parti. Trump, invece, non fa nulla per nascondere che la vittoria della sua parte implica necessariamente la sconfitta dell’altra. In questo momento, la “prima altra parte” che vuole vedere soccombere è l’Europa.

Lo dimostra il recente invito agli europei a farsi carico del mantenimento della pace in Ucraina, inviando truppe senza però avere alcuna voce in capitolo nelle trattative. Ne è ulteriore prova una politica estera in cui l’Europa, per sue colpe, appare sempre più marginale, incapace di esprimere una posizione autorevole su Ucraina, Israele-Palestina, dazi, nuovi equilibri globali. Oggi il Vecchio Continente sembra ridotto a un comitato debole, senza voce né potere.

E l’Europa?

La domanda allora è inevitabile: il modello Trump rappresenta il futuro del potere? Sarà sempre più iperbolico, assertivo fino all’insolenza, impermeabile alle ragioni altrui? Questa visione è esattamente il contrario dell’eredità della civiltà cristiana, greca e giudaica, che hanno posto il rispetto e il riconoscimento dell’altro, anche quando avversario, così come l’accettazione di regole comuni come basi della convivenza politica e del diritto internazionale.

L’Europa si fonda, appunto, sui principi generati da questa eredità culturale e di civiltà: il potere, per essere legittimo, richiede consenso e riconoscimento delle ragioni dell’altro. Anche un avversario non è un nemico da abbattere, ma un interlocutore da rispettare e con cui dialogare. Questo è il grande portato della nostra civiltà. L’Europa, o saprà ritornare alle proprie radici e ridare voce e valore alla sua civiltà giuridica, politica, diplomatica e istituzionale, oppure sarà destinata a diventare il vaso di coccio tra i vasi di ferro americani, cinesi, russi e in prospettiva anche di altri Paesi, che concepiscono il potere esclusivamente in termini di rapporti di forza.

Una mutazione della democrazia

Per questo dobbiamo riflettere sull’intervento del vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, a Monaco. La sua tesi è che la vera minaccia per l’Europa non proviene dall’esterno, ma dalla sua stessa debolezza interna, dalla rinuncia ai suoi principi e valori fondativi e dalla distanza tra i suoi leader e i cittadini.

Vance ha citato l’esempio della Romania, dove le elezioni sono state annullate perché il risultato non piaceva. Una riflessione inquietante, che ci ricorda quanto la democrazia possa essere manipolata e piegata alla volontà del più forte. E pur tuttavia la storia europea insegna che abbiamo eletto democraticamente persino Hitler e Mussolini. Negli Stati Uniti questo non è mai successo.

Forse il vero rischio introdotto da Trump non è solo un nuovo modo di esercitare il potere, ma una mutazione profonda della democrazia. E di questo, oggi, dovremmo preoccuparci seriamente.

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