
L’Europa che finanzia i palestinesi resta un nano politico
Sarebbero già 125 i voti sicuri sui quali l’Autorità nazionale palestinese può contare per veder passare la sua richiesta di riconoscimento di uno Stato sovrano di Palestina all’Assemblea delle Nazioni Unite, che sarà presentata martedì prossimo 20 settembre al segretario Ban Ki Moon. Un bel capitale, considerato che i paesi aventi diritto al voto sono 193. Ma c’è un particolare di non poco conto: i paesi che finora mancano all’appello sono proprio quelli che negli ultimi 18 anni hanno pagato lo stipendio dei funzionari dell’Anp, colmato le voragini nel bilancio della loro deficitaria amministrazione e fornito gli aiuti d’emergenza nelle ripetute crisi umanitarie della regione. Cioè gliStati Uniti e i paesi dell’Unione Europea. I primi sono decisissimi a opporre ilveto in sede di Consiglio di Sicurezza alla candidatura palestinese, mentre invece all’interno della Ue si segnalano profonde divisioni fra paesi indisponibili al riconoscimento (Germania, Italia, Olanda, Danimarca) e paesi possibilisti (Francia, Spagna, Regno Unito). Ma la sostanza della faccenda non cambia, perché la Ue ha promesso di presentarsi al Palazzo di Vetro con una posizione unitaria, e questa non potrà mai coincidere con il tipo di riconoscimento che ipalestinesi hanno finora domandato. Se insistono, rischiano di perdere il supporto materiale al tentativo di costruzione di uno stato palestinese che si sta compiendo da diciotto anni.
Dopo gli accordi di Oslo del 1993, che misero in moto il processo di pace israelo-palestinese, gli Usa hanno versato oltre 4 miliardi di dollari di aiuti bilaterali alle istituzioni egemonizzate dall’Olp, più almeno altri 2,2 miliardi di aiuti multilaterali attraverso l’Unrwa, l’ente delle Nazioni Unite che assiste i profughi palestinesi delle guerre con Israele; nello stesso periodo l’Unione Europea afferma di avere messo a bilancio 4,36 miliardi di euro per i palestinesi attraverso vari strumenti comunitari, sia tematici che geografici, a cui andrebbero aggiunti gli aiuti bilaterali e multilaterali dei 27 paesi.
Se per esempio si analizzano gli aiuti effettivamente erogati nel biennio 2008-09 all’Amministrazione palestinese, gli Usa risultano in testa con una media annuale di 667 milioni di dollari, seguiti dalle istituzioni dell’Unione Europea con 601 milioni e dalla somma di tutti i paesi arabi con circa 500 milioni di dollari (in grandissima parte provenienti da Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti). I paesi europei, però, erogano aiuti ai palestinesi anche a titolo di cooperazione nazionale in aggiunta a quanto già spendono attraverso la Ue: nel biennio 2008-09 Germania, Regno Unito, Francia e Svezia hanno erogato annualmente cifre fra i 70 e i 90 milioni di dollari oltre a quanto versato attraverso l’Unione Europea, la Spagna addirittura 101. Secondo il New York Times, sommando gli aiuti Ue a quelli che i 27 paesi aderenti forniscono ai palestinesi a titolo di cooperazione nazionale, si arriva alla cifra di 1,36 miliardi di dollari di aiuti europei, che è quasi il triplo di quanto i fratelli arabi spendono annualmente per la Palestina.
Nel caso degli Stati Uniti gli aiuti all’Autorità nazionale palestinese (550 milioni di dollari stanziati nell’anno fiscale 2011, più 237 destinati all’Unrwa) sono ampiamente riequilibrati dai 3 miliardi di dollari annui di aiuti (in gran parte militari) ad Israele, ma nel caso dell’Europa assolutamente no. Gli europei hanno addirittura studiato uno schema che permette loro di aiutare gli abitanti di Gaza senza passare attraverso il governo locale di Hamas. Esistono insomma le condizioni ideali affinché la Ue possa condizionare in misura decisiva le scelte strategiche dei soggetti politici palestinesi. Se non fosse per un paradosso che si aggiunge a quello iniziale (la Palestina sul punto di essere riconosciuta come Stato solo da quei paesi che la aiutano economicamente poco o per niente): l’Unione Europea non ha ancora deciso la linea da tenere all’Onu dal 20 settembre prossimo in avanti. A conferma che il vecchio adagio secondo cui l’Europa è un gigante economico e un nano politico comincia a non essere più vero per quanto riguarda la prima parte della definizione. Non la seconda.
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