Lettrice: «Cosa vuol dire essere parente di un detenuto trattato come un animale»

Di Redazione
17 Gennaio 2012
Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di una lettrice di Tempi, parente di una persona oggi reclusa, che racconta la condizione delle carceri vissuta in modo diretto

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una lettrice, parente di una persona oggi reclusa, che racconta la situazione delle carceri vissuta da vicino.

Ritengo giusto denunciare la situazione disumana nella quale i detenuti sono costretti a vivere ogni giorno e su quanto dolore sta causando questa situazione a chiunque abbia una persona cara lì dentro, sapendo che sono trattati peggio degli animali da macello. Perché è nel dolore e nella rabbia che si vive ogni giorno, sapendo che alle persone detenute manca praticamente tutto: acqua calda per lavarsi, detergenti per pulire, letti per dormire; le celle ospitano più detenuti di quanti dovrebbero causando assenza di spazio persino per muoversi, i letti a castello non bastano e c’è chi deve dormire su un materasso buttato per terra, le grate delle reti, poste alle finestre delle celle creano assenza d’aria e di luce. Le condizioni sanitarie sono pessime e il rischio di contrarre malattie è elevato, le medicine mancano.

Per non parlare della situazione della Giustizia. I processi sono arretrati e i tempi di giustizia troppo lunghi (oggi i procedimenti penali pendenti sono circa 5 milioni, con tempi di definizione di un singolo giudizio che possono arrivare a sfiorare anche i 7/8 anni), è persino successo che l’inettitudine burocratica abbia costretto qualche detenuto a rimanere in custodia ben oltre i termini stabiliti nella sentenza, manca addirittura la benzina per portare i detenuti ai processi. Tutto questo è vergognoso. Le carceri italiane hanno una capienza di 45.817 posti, ma sono stipate 68.000 persone. Come potete immaginare la situazione è esasperante per chi lì è recluso, per chi lì lavora e per chi aspetta fuori: i suicidi aumentano di giorno in giorno, le statistiche dicono uno ogni cinque giorni e ad essi si aggiungono i decessi per suicidio degli agenti penitenziari. Non sono più istituti per il reinserimento del cittadino ma lager di morte. Soltanto nel 2011 sono 186 le morti avvenute all’interno dei penitenziari di cui 66 per suicidio, 96 per cause naturali, uno per omicidio e 23 per cause ancora da accertare verso le quali sono in corso indagini giudiziarie, la loro età media è inferiore ai 40 anni, lo rendono noto anche le associazioni Ristretti Orizzonti, Antigone e A Buon Diritto. Gli ultimi due decessi si sono verificati proprio il 31 dicembre. Nel 2012 si contano già 4 morti nelle nostre carceri per suicidio.

Molti edifici penitenziari cadono a pezzi, privi di qualsiasi manutenzione, con tubature e impianti elettrici rovinati e acqua che impregna i soffitti delle celle, alcune sono persino infestate dalle zecche di piccioni. Nel più del 50 per cento degli istituti di pena si registrano casi di scabbia. L’ultima vicenda la rende nota il Sappe, il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria: dall’11 gennaio 2012 nel carcere di Parma, si teme, infatti, che la malattia possa essersi diffusa all’interno dell’istituto. E così anche a Bari, come ha segnalato il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Maria Giuseppina d’Addetta, denunciando quarantaquattro detenuti sistemati in due celle su letti a castello a quattro piani e gravi casi di scabbia. Tutto questo aumenta il dolore e l’angoscia di ogni persona che ha qualcuno detenuto.

Le carceri oggi sono a livelli disumani, la situazione viene denunciata non solo dai cittadini preoccupati per un sistema penitenziario da terzo mondo, ma anche da magistrati, avvocati, psicologi, assistenti sociali, educatori, agenti penitenziari, dottori, insegnanti, anche alcuni politici e dagli altri stati europei e non. Le riforme sulla giustizia proposte sin qui dal governo sono inefficaci a questa situazione di degrado, svuoterebbero le carceri soltanto di qualche posto e la situazione rimarrebbe tale, ritengo quindi sia giusto parlare di provvedimenti più ampi e rapidi accompagnati da nuove riforme che impediscano il riproporsi di questa situazione ad esempio pensare a misure alternative al carcere e misure per il reinserimento dei detenuti, abolire leggi come la Cirelli sulla recidiva e come la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, inoltre ritengo giusto che serva parlarne sui giornali, nelle radio, nelle trasmissioni e nei telegiornali per sensibilizzare l’opinione pubblica, perché l’Italia è formata da noi cittadini e se permettiamo che succedano cose come questa anticostituzionali, ne siamo responsabili anche noi se non proviamo almeno a fare qualcosa. Il nostro governo deve dare una svolta a questa situazione che viola i diritti umani, deve avere il coraggio di prendere una decisione seria e concreta per interrompere questo reato, che ogni giorno è sempre più evidente nei nostri istituti penitenziari, senza aver paura delle varie reazioni, deve rendersi conto di ciò di cui davvero abbiamo bisogno.

Jennifer Bottai, membro del gruppo Carceri e giustizia, associazione radicali Milano Enzo Tortora

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