L’era glaciale 2. Comincia il Prodi 2, e l’acqua torna a salire

Sembra “L’era glaciale 2”. Tutti insieme appassionatamente sugli scivoli di ghiaccio della Società Civile. Però anche il disgelo ha i suoi pericoli. Tipo i pesci cattivi e corrotti sempre in agguato (perciò l’intelligenza senile di un Enzo Biagi avrà ancora tanto da scrivere). Tipo che il tepore fa sciogliere i ghiacci, i ghiacci si trasformano in cateratte, l’acqua comincia a salire, la terra inondata minaccia la sopravvivenza della buona e pulita compagnia delle tigri, dei bradipi e dei mammuth.

Tutti nella Ghianda Unica Democratica
Prendendo per buona la metafora dell’esilarante pellicola della 20th Century Fox, di primo abbrivio, con tutte quelle fanfare intorno al giuramento del presidente della “Concordia Nazionale” e la Grande Pace tra le coppiette di aspiranti vicepremier, la storia dello scoiattolo alle prese con la ghianda che gli sfugge proprio nel momento in cui è lì lì per acciuffarla con i denti e artigliarla con le unghie, avrebbe finalmente raggiunto il suo felice epilogo. Sembrerebbe la fine della frenetica corsa di un serio roditore del pleistocene e il sequel dell’avventura della compagnia che girò il primo film nel ’96 e poi lo disfece a partire dall’autunno dei lunghi coltelli (1998). Sarebbe, questa della seconda epoca di Romano Prodi, l’era glaciale 2, il disgelo. Torna presidente del Consiglio, il tenace scoiattolo. E, almeno sui grandi giornali che gli fanno da indirizzo e sponda, si direbbe che l’ora della ghianda è finalmente vicina: il Partito Democratico sarebbe sul punto di sbocciare. Questo almeno giura l’Unione dei bradipi, delle tigri e dei mammuth. Tutti nel paradiso della Ghiandaia Democratica, giura Prodi col suo Cencelli, Rutelli col suo D’Alema, Fassino col suo Veltroni. Però intanto si marcano a vicenda in vista della volata finale, lanciando questo e quel gregario (un Cesare Salvi di qua, un Ciriaco De Mita di là) ad azzannare la ruota della bicicletta di chi tenti di fare politica seria, Giuliano Amato sempre restando il pacemaker del cuore del Timor Nostro reverendissimo di via Solferino, che sul pacemaker ha aperto una pagina fissa di illustri opinioni e di pressanti raccomandazioni. L’impresa sfuggirà loro di mano, come nel ’98? Sarà solo un istante in Paradiso e, finito lo champagnino per il governo serio, già dalle amministrative di fine maggio cominceranno i dolori per le convocazioni nella Grande Ghianda Democratica?
Andiamoci piano. Al sequel del ’98 non ci crede più nessuno. Neanche Berlusconi. Depresso in questi giorni, perché ha capito che «questa volta possono durare». Già, perché puoi dire quel che vuoi sul governo dello 0,6 per mile, dei 24 mila voti striminziti in più alla Camera, del furto con scasso dei Patronati nel voto all’estero. Ma dove vanno, adesso che si sono spartiti millimetricamente il potere, lo sanno. Non rimane che l’uggia, come ha confidato la tessera numero 1 della Grande Ghianda Democratica, Carlo De Benedetti, a un amico: «Che squallore». E cosa succederà dall’altra parte, all’indomani del referendum del 25 giugno? Non sarà che un pezzo di Cdl, assieme agli incantevoli gemelli dell’autogol Follini e Tabacci, finirà sul carro della Grande Ghianda Democratica? Sì, il rischio è questo con l’aria che tira in un’opposizione spompata, che già tratta sul bambino Ogm e già dice quanto è bella l’eugenetica ai fini della balla di una vita immortale, a rischio zero. Il Partito Democratico di là. E un Partito Democratico di qua (solo un po’ meno fanatico e allietato dalle tanto carine Carfagna e Prestigiacomo).

Tutti nel Partito Unico Democratico
Gli avvoltoi intanto volano alto. La preda dev’essere ben frollata prima di infilarci il becco e pasticciarla come si deve. Il predatore festeggia il Presidente di Tutti gli italiani, la fine del fattore K, il tramonto della conventio ad excludendum. Come dice Toni lo Svelto nel fantastico film della 20th Century Fox? «Siore e siori è in arrivo la fine del mondo, comprate kit di sopravvivenza, cannuccia per respirare, presto sarete sott’acqua». Aveva ragione Toni.
Intanto è arrivata un’altra piena di antipolitica. Mannaggia. Di Tangentopoli in Tangentopoli. Dove arriverà l’acqua alta? Siano case, siano banche, siano palloni gonfiati, sempre quella è nel mirino: la politica. Fatela volare bassa. Anzi. Non fatela volare per niente. Fatela vivere di supplenza infinita (e lascia stare storie come Parmalat, una delle vere abbuffate a spese dei risparmiatori, 14 mila miliardi di buco, una finanziaria, una storia che i magistrati di Milano hanno toccato e mollato subito, c’erano cose più importanti, come il Fiorani, che almeno è servito per far fuori il giro dei furbetti antisalotto e convincere gli “oligarchi” ds a piegarsi al Partito Unico Democratico). Adesso, nell’eterno acchiappa Berlusconi, è l’ora del calcio. L’ora della Triade Nera. Fatto sta che appena l’intercettazione filtra sui giornali puoi star sicuro che l’acqua è ricominciata a salire. E ricomincia il film. Figure ircocerve sempre tese a fare la storia della nuova Italia. L’Italia in cui, da quel fatidico 1994, democrazia e Stato di diritto sono diventati un problema sospeso tra le Grandi Manifestazioni di Piazza e le Grandi Intercettazioni sui Giornali. Figure ircocerve. Magistrati giornalisti che, come nel 1994, finiscono in Parlamento con l’Unione; giornalisti magistrati che finiscono a sostenere l’Unione, come i Direttori che vanno da una direzione all’altra, tutti in carriera, tutti per uno, uno per tutti.

E intanto Walter corre
L’era glaciale 2. «Toni lo Svelto aveva ragione, qui si scioglie tutto». Gli avvoltoi volano alto e il bradipo canta: «Se sei felice di non essere estinto, batti le mani». Già. «Il coraggio è stupidità, imparate a scappare». Già. «Imparate a essere due cose, un mammuth e un opossum». Via gli oligarchi? No, via i partiti. Via i Ds e via il Cavaliere dalle sette vite. E, possibilmente, visto che questi continua imperterrito a circondarsi di ineffabili belle statuine, che qualcuno, lì al centro, tra Casini e Fini, almeno gli scippi l’eredità. E così, come in quel giorno di vigilia di fumata bianca per Napolitano, Francesco tornerà a San Giovanni Rotondo, a sciogliere un voto a padre Pio, sentir messa, prendere la comunione e confessarsi dal Segretario di Stato vaticano. Così come di nuovo, rieletto col 63 per cento, Walter tornerà sulla prima pagina del quotidiano torinese della Fiat (dove Caruso tiene la sua rubrica antagonista) a celebrare il riformismo di Marco Biagi ma pur sempre incassando il voto antiriformista del consigliere al letame Nunzio D’Erme. E corre già, Veltroni, a far sapere che lui potrebbe lasciare il Campidoglio se si confermasse l’elezione diretta del premier. E corre, Veltroni, a ribadire al quotidiano di famiglia di Casini e a Famiglia Cristiana l’incredibile storia che raccontò al congresso dopo la caduta del Muro di Berlino (o Mago Merlino, forse per Walter fa lo stesso): che, sì, è vero, lui si iscrisse al Pci a 15 anni, «ma neanche allora ero comunista». Insomma, il messaggio del Prodi bis è quello. Via gli oligarchi. Via i partiti. Avanti i trentenni, i quarantenni, i cinquantenni. Avanti il Partito Unico Democratico.

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