Lenoci: «Basta parole, cambiamo il modo di assumere gli insegnanti»

Di Leone Grotti
12 Settembre 2011
Michele Lenoci, preside della Facoltà di Scienze della formazione dell'università Cattolica di Milano, è tra i primi firmatari dell'appello "L'Italia è un paese per vecchi". A Tempi.it spiega perché: «Apprezzo il tentativo del ministro Gelmini, ma se vuole davvero aiutare i giovani deve porre fine alla trentennale stagione dei buoni propositi e modificare le modalità di assunzione»

«Io apprezzo il tentativo del ministro Gelmini, ma se vuole davvero aiutare i giovani deve porre fine alla stagione delle parole e dei buoni propositi, che dura da 30 anni circa, e aprire quella dei fatti, approvando un disegno di legge che modifichi le modalità di assunzione». Michele Lenoci, preside della Facoltà di Scienze della formazione all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha firmato l’appello “L’Italia è un paese per vecchi”. Il documento si oppone alla decisione del ministro di firmare il decreto “che avrà l’effetto di escludere per diversi anni le giovani generazioni dall’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado”. A Tempi.itspiega i motivi della sua adesione.

Preside Lenoci, lei è tra i primisssimi firmatari dell’appello. Perché?
Per due motivi: non si può rendere impossibile, o quasi impraticabile, il percorso dell’insegnamento ai giovani che vogliono seguire la strada dell’insegnamento e privilegiare solo i precari, di cui bisogna tenere conto ovviamente. Si rischia di danneggiare un’intera generazione e creare un’interruzione pericolosa nel personale, un divario troppo grande tra docenti anziani e giovani, con ricadute pericolose sulla qualità dell’insegnamento stesso.

Il secondo motivo?
Uno dei punti che mi piace di più dell’appello è la richiesta di sganciare i criteri dell’abilitazione da quelli dell’assunzione. Tra i tanti che si laureano, è giusto che molti abbiano la possibilità di abilitarsi, che alcuni riescano a farlo e che solo i migliori, i più adeguati, vengano assunti. Prima si assumeva tramite concorsi, poi si è deciso di passare alle graduatorie. Ora si trovino forme nuove, si dia la possibilità ai presidi di scegliere. L’abilitazione non può coincidere con l’assunzione come adesso. Perché in teoria, come ha detto anche il ministro Gelmini, sono due cose separate, e così devono rimanere le cose, ma in pratica viene assunto chi è nato prima e chi entra prima in graduatoria. Ma questo sistema non assicura né eccellenza né garantisce l’adeguatezza dell’insegnante. Io infatti sono a favore della selezione e del merito, anche perché i danni di un ingegnere si vedono subito, quelli di un insegnante no e sono molto più pericolosi.

Il ministro Gelmini, in un’intervista ad Avvenire, ha detto però che con questo decreto lei lavora per i giovani e che ha riservato il 50% dei nuovi posti ai precari e il restante 50% ai nuovi laureati.

Io apprezzo le parole della Gelmini, i suoi tentativi di non aprire solo ai precari e sono d’accordo che i posti non sono infiniti e che non dobbiamo illudere nessuno. Però, se vuole davvero aiutare i giovani, deve porre fine alla stagione delle parole e dei buoni propositi, che dura da 30 anni circa, e aprire quella dei fatti approvando un disegno di legge che modifichi le modalità di assunzione. Questo provvedimento è fondamentale perché la missione educativa dell’insegnante, e non lo dico per essere retorico, è una risorsa chiave per la società.

Siamo sicuri che i numeri raccolti dal Ministero sul fabbisogno nazionale di insegnanti corrispondano davvero alla realtà delle scuole sul territorio?
Questo è un altro bel problema. Ho parlato con alti funzionari del Ministero, gente bravissima, che dubita che i dati raccolti siano effettivamente corretti. C’è ad esempio il problema delle scuole paritarie, che necessitano di insegnanti abilitati, e che non sarebbero del tutto contemplate. Io non faccio parte del Ministero, ma da quel che mi hanno detto c’è più bisogno di quanto non si pensi. Ora, anche il fatto che il ministro abbia detto ad Avvenire che ha aumentato i posti del 30 per cento, significa che il governo ha rivisto i numeri. Ritengo quindi che ci voglia un censimento vero, svolto in modo molto accurato perché per prendere decisioni critiche, ci vogliono basi molto solide. E non mi sembra che in questo momento, stando a quanto mi dicono, il ministro le abbia.

Nell’appello si paventa che per i prossimi 7-10 anni non ci sarà ricambio generazionale. Cosa succederà a quelle facoltà che annoverano l’insegnamento come lo sbocco professionale più naturale?
Bisogna avviare una riflessione. Facoltà come lettere, lingue o matematica sarebbero in difficoltà. Se non devono più preparare all’insegnamento, a che cosa devono preparare? Onestamente, bisogna pensarci. Ci vorrebbe una revisione drastica, guidata dalla domanda: se le nozioni che diamo servivano a quella professione, ora quali nozioni dobbiamo trasmettere? E poi, di seguito: ma quello che insegnavamo non era un valore per la società e non sarebbe una perdita non tramandarlo più? A lettere e filosofia si è sempre stati abituati a preparare la persona in modo globale ma le ultime disposizioni mettono a rischio questa impostazione.

Quali?
Probabilmente tra un anno entrerà in vigore la laurea magistrale per l’insegnamento alle medie. Questa settorializzazione, secondo me, e parlo come Michele Lenoci, non in quanto preside di Facoltà, rappresenta un impoverimento sia dal punto di vista culturale sia da quello degli sbocchi professionali. Non facciamo altro che dire che serve flessibilità e che tra dieci anni non riconosceremo più il nostro mondo. E allora, perché vogliamo imbalsamarci in scomparti sempre più settoriali? Così uno potrà insegnare solo alle medie o solo al liceo, solo italiano o solo filosofia. Hai meno sbocchi professionali. Non dico che dobbiamo tornare indietro nel tempo. Solo mi sembra strano che non si risponda a questa grande richiesta di flessibilità che c’è. Senza contare che una volta un professore aveva una cultura e una preparazione globale, tale da poter insegnare dovunque. Adesso sarà sempre meno così.

Stupisce che ci sia così tanta richiesta da parte dei giovani di posti da insegnante. In Italia si sta riscoprendo il valore dell’educazione oppure si cerca solo un comodo posto fisso?

L’insegnamento mi sembra un lavoro sempre più difficile da raggiungere, quindi opterei per la prima ipotesi. Una volta erano le università a scrivere nei foglietti illustrativi che con la laurea in Lettere o Filosofia si potevano fare tanti lavori oltre a quello dell’insegnante. Ed erano pochi gli studenti che dicevano di volere intraprendere la strada educativa. Oggi invece sono i giovani a spingere per avere più possibilità, perché vogliono insegnare. Che siano loro a riscoprire questa vocazione, questa missione, è una cosa molto bella e molto positiva. Anni fa non era una prospettiva appetibile, ora sembra di sì e questo è bello perché l’educazione è un compito sempre più importante all’interno della società.

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