
Lega Pro, il presidente Macalli: «I fallimenti sono disastri del territorio, non del calcio»
I club che erano in sospeso sono stati ammessi ieri, e il passaggio da 4 gironi tra Prima e Seconda Divisione ad un’unica Serie a 3 gironi è stato rimandato, per lo meno di un anno. «Io l’avrei fatto già quest’anno, ma il consiglio federale me l’ha proibito». Mario Macalli, presidente della Lega Pro, è uno che il calcio di provincia lo conosce bene, e da sempre lo vive. Per anni è stato vice-presidente del Pergocrema, e dal ’97 è a capo invece della Lega di Serie C, un mondo che difende a spada tratta dagli abusi che spesso si trova a subire dalle divisioni maggiori. Con lui abbiamo analizzato i problemi del calcio di Lega Pro, anche quest’anno investito da una nuova ondata di fallimenti e mancate iscrizioni.
Presidente, in Serie C saltano altri otto club e si calcola che circa un milione di tifosi rimane senza squadra. Sono i numeri di un disastro, dove neanche le piazze più prestigiose come Foggia e Ferrara vengono risparmiate.
È vero, ma non è un disastro del calcio, bensì del territorio, delle istituzioni territoriali, della pochezza d’imprenditorie locali. Chi vuole fare calcio ha delle regole, e queste prevedono che un presidente come minimo paghi i suoi dipendenti, osservi le normative fiscali e previdenziali, osservi l’etica sportiva. Faccia caso ai club falliti, due erano retrocessi dalla Serie B appena un anno fa. Là giocavano, mentre quando arrivano da noi falliscono.
Già, perché?
Quando si arriva in Lega Pro c’è molto più controllo. Dieci milioni di debito non li accumuli in un mese dopo la retrocessione, te li porti dietro. Queste sono società già fallite, mantenute in piedi da proventi che noi non abbiamo mai preso. Le difficoltà che ci sono da noi sono quelle dei nostri presidenti, gente vera che ha problemi abituali nelle proprie aziende. Poi succede che in alcune società arrivino persone di “moneta cattiva”, e quindi non c’è futuro. Ma non è vero che un milione di tifosi resta senza squadra, sono molti meno. Vada a vedere l’affluenza di queste squadre: è questa che conta. Il bacino d’utenza rifiuta il club locale e non va allo stadio, le istituzioni comunali si disinteressano… È il territorio che manda a casa queste squadre, e quando arrivano poi da fuori presidenti dalla moneta cattiva il rischio è di ritrovarsi falliti nel giro di poco tempo. Non ci sono più i dirigenti del territorio.
E quindi sono sempre di più quelli che invece speculano su questo sport, come dice lei “dalla moneta cattiva”.
Quando ero dirigente del club della mia città coi colleghi parlavo in dialetto, e ci capivamo tutti. Ora vedo il Pergocrema che è fallito. Ma i presidenti veri di Serie C non sono così. Vada a vedere chi sono i dirigenti di Lega Pro oggi: troverà i più grandi industriali italiani. Poi vada a vedere tra Serie A e B qualcuno di simile: non lo trova. Un conto è fare il presidente imprenditore, un altro fare il presidente “prenditore”. Uno mette i soldi, l’altro li prende.
Ci sono allora degli spiragli per ripartire?
Ci sono, e molto buoni. Dall’anno prossimo vorremmo chiudere le iscrizioni al 30 giugno, evitando il prolungamento di 16 giorni, per dare la possibilità alle città di fare la colletta di 300, 400, 600 mila euro. Se non hai subito quei soldi d’affidamento non puoi gestire una società di Prima Divisione, dove ti serve un budget di 3 milioni di euro. Il giorno dopo sei un uomo fallito. Noi controlleremo tutti i pagamenti fino al mese di maggio, tutte le fideiussioni rilasciate non a fine anno, ma su dei business plan ogni mese. Perché ci sono, ad esempio, club in Serie B che non pagano gli stipendi di aprile e maggio? Poi passano giugno, luglio e agosto dove non hanno neppure un euro di ricavo. Sono solo costi: ecco sono 5 mesi di costo del lavoro senza un centesimo di ricavo. In Serie B sono qualcosa come 7-8 milioni di euro l’anno. Ecco noi controlleremo subito, se li hai giochi, altrimenti no. Di spiragli ce ne sono moltissimi: di gente capace ce n’è, e hanno pure i mezzi. Se vado a Prato, a Cremona, al Feralpisalò di grandi imprenditori ce ne sono, gente vera che vuole ripartire, e vuole fare calcio con imprenditori veri, non coi banditi.
Insomma, andrà in pensione un vero e proprio sistema.
Sì, deve andare in pensione il sistema calcio. La Serie A dovrebbe essere a 16 squadre, ed è inutile andare avanti a fare i megalomani in Serie B con squadre piene di debiti. La Lega Pro invece deve arrivare ad essere con tre gironi di 18 squadre, e ai club deve essere data la possibilità di avere solo 3 over 26 e il resto solo giovani. Questo è quello che serve al calcio italiano.
Quanto influisce sui problemi della Lega Pro la crisi generale del calcio italiano?
Sa che in Italia ci sono 1200 giocatori extra-comunitari che risultano non aver mai giocato nel loro paese? Come mai nessuno compra un giocatore italiano? Guardi Verratti: quattro anni fa giocava già nella rappresentativa di Lega Pro, e nessuno lo conosceva. Insigne uguale, e ha dovuto girare l’Italia per giocare. Un altro è Parolo… Insomma di giocatori validi ce ne sono tanti, ma nessuno li compra. Perché bisogna spendere soldi all’estero? In Lega Pro non c’è più mercato, e i nostri prodotti buoni non trovano opportunità. E non è vero che sono troppo cari. Questi comportamenti viziati incidono poi sull’ultimo anello della filiera, la Serie C, che paga per tutti. Altra vicenda è quella dei finanziamenti: io, ogni anno, per prendere i miei diritti dalla Legge Melandri devo fare i salti mortali. La B dice che sono tutti loro: ma alla fine l’anno scorso sono riuscito ad ottenere 42 milioni di euro.
Ma quali sarebbero i vantaggi per un presidente nell’investire in un club di Lega Pro?
Nessuno, tranne uno. Il riconoscimento verso il proprio territorio. A me personalmente il territorio non ha mai dato niente, sono stato io a dare a loro. Ma parecchi presidenti hanno un grande rapporto con la propria città, ed è giusto che esprimano questo amore. E poi c’è un altro fattore: è un orgoglio vedere squadre di ragazzini della tua società venire a giocare, crescere e divertirsi tutte le settimane. Anche quello è un servizio alla gente e al territorio.
Però di gente che si vuole impegnare a questo livello, aprendo così il portafoglio, ce n’è sempre di meno.
È vero, e la crisi economica non aiuta. Ma neanche quella etica: c’è l’idea che chi mette soldi nel calcio debba per forza vincere. Non è così nello sport: si gioca cercando di vincere, ma c’è un limite a tutto.
L’anno prossimo dovremmo andare incontro allora all’accorpamento tra Prima e Seconda Divisione. Questa scelta è dettata solo dal calo del numero di club, o sarebbe motivata anche da altri vantaggi?
Guardi, se avessi 90 squadre sarei solo contento, perché avrei tanti club pronti a saldare ogni lira di debito, invece questo non succede. Dobbiamo cercare di trovare la quadratura su squadre virtuose, e abbiamo immaginato che questa si possa raggiungere con 60 squadre. Ma sono cifre che vanno poi verificate coi fatti, non ci basta riformare i campionati per avere meno squadre professioniste (che sarebbe anche giusto in un momento come questo). Dobbiamo pensare a normative più rigide e selettive, che tutelino quelle squadre che possono essere in grado di gestirsi, e di ostacolare invece quelle squadre che impropriamente stanno giocando a calcio per portarsi via qualcosa.
Quest’anno rischiamo però di vedere una Prima Divisione abbastanza noiosa e una Seconda che invece sarà un inferno.
Assolutamente no, il sistema delle retrocessioni dalla Prima divisione sarà come sempre, non cambia nulla. Queste sono solo barzellette che qualcuno ha messo in giro. Anzi, sarà ancora peggio: se retrocedi dalla Prima Divisione vai nei Dilettanti. Poi sicuramente ci saranno squadre che non s’iscriveranno perché non avranno un euro.
Nelle ultime settimane si è applaudito al modello Udinese, che con Watford e Granada riesce ad avere delle società satellite dove poter valorizzare alcuni suoi giocatori. Questo si è fatto, più o meno direttamente, tante volte anche in Serie C. Se questo sistema pare tanto vantaggioso, perché non lo si sostiene anche in Lega Pro?
Di esempi simili alle spalle ce ne sono tanti tra i nostri club, però bisogna dire una cosa: di queste piccole squadre nessuno ha mai fatto un euro. Diventano vassalli solo dei grandi club, invece dovrebbero esserci più tutele: se tu vuoi venire a casa mia a far maturare i salami mi paghi la maturazione, se no li appendi in casa tua. Anche perché di società satellite in Italia ce ne sono state, eccome, ed è stata uno di quei fatti che ha portato i piccoli club al fallimento. Io sono anche disposto a togliere la norma che vieta ai club di controllare squadre satellite in Lega Pro, ma pretendo tre paletti: in primo luogo, il presidente di un club di Serie A che controlla anche una squadra di Lega Pro non può utilizzare i fondi della legge Melandri; sarebbero proprio loro a produrre quei soldi, e di conseguenza a raccoglierli; secondo, a chi fa queste scelte non daremmo un centesimo per il minutaggio dei giovani, perché non è giusto darli a loro per toglierli a club che fanno altre politiche; e terzo, questi presidenti non voglio vederli nella governance di Lega. Rispettato questo, possono venire da noi a impegnare i loro soldi.
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