
Lega, nessun complotto esterno. «Lo scandalo nasce da lotte intestine»
«La Lega, storicamente, ha tratto la sua legittimazione negli anni Novanta, all’alba di Tangentopoli. La Lega rappresentava l’altra faccia della medaglia, urlando slogan contro “Roma ladrona”, giustificati dalla corruzione dei partiti. Oggi, dopo vent’anni, il terremoto ha come epicentro la Lega stessa». Francesco Cundari, giornalista dell’Unità, commenta così le dimissioni del leader Umberto Bossi. «È un “colpo d’incontro”, come si dice in gergo: nel momento in cui il partito si stava riposizionando, in cui voleva ricostruirsi una verginità passando dalla maggioranza al ruolo dell’opposizione dura e pura. Che poi dura lo era di sicuro, ma pura mica tanto».
Ieri a Bergamo il Senatur ha abdicato formalmente davanti al suo popolo. E non sono mancati e fischi verso Roberto Maroni. La Lega è divisa?
L’impressione che ho è che la Lega si trovi in una situazione particolarmente difficile da cui farà molta fatica a rialzarsi. La slavina non è finita, e gli scandali hanno dato il via a una serie di piccole vendette, di piccole accuse. Questo è il segno più grave di debolezza. Mille rivalità e rancori sotterranei, regolamenti di conti. Vere delinquenze si confondono a questioni personali.
Senza fare i complottisti, a lei sembra credibile l’ipotesi che sia stato qualcuno all’interno del partito “a dare il là” allo scandalo?
L’inchiesta è cominciata dagli investimenti di Francesco Belsito, tesoriere della Lega, in Tanzania. La denuncia all’autorità giudiziaria e la richiesta di indagini è venuta dalla Lega stessa. Perché proprio adesso? Perché c’erano gli investimenti in Tanzania. La tesi di un complotto esterno al partito mi sembra debole. Ma è chiaro che ci siano tensioni interne, e una parte del Carroccio ha denunciato i comportamenti disinvolti di altri componenti.
Crede che sia utile rivedere le dinamiche di sostegno pubblico dei partiti?
Sì. Si sta già discutendo nel merito. È necessario che si mettano dei meccanismi di controllo e vincoli più stringenti, in modo che le risorse pubbliche non possano essere utilizzate a discrezione di tesorieri. Fino ad arrivare, nei casi più gravi, al taglio del finanziamento. Bisogna fare in modo, come si sta discutendo, che ci siano autorità terze, come la Corte dei conti, che vigilino sui bilanci. Certo, non risolve tutto. C’è sempre la possibilità che spese improprie riescano a eludere i controlli. Ma piantare dei paletti renderà tutto un po’ più difficile. Non esiste la norma a prova di imbroglio. Ma si deve evitare l’esistenza di una zona grigia così ampia in cui è facile agire nell’illegalità.
Come uscirà la Lega dalle prossime elezioni amministrative?
Non so fare previsioni. Ma non la vedo molto bene. Neanche per il Pdl. A oggi mi sentirei di prevedere un successo di tutti gli altri, ma è facile sbagliarsi. Comunque, sarei molto stupito di vedere un buon risultato per la destra.
Che elementi di somiglianza ci sono tra lo scandalo di Belsito e quello di Luigi Lusi della Margherita?
Nel caso di Lusi i dirigenti della Margherita hanno accusato il tesoriere di averli ingannati. E, per adesso, nulla li smentisce. Ciò che è emerso fino ad ora riguarda acquisti, con fondi pubblici, che Lusi faceva per sé e per i suoi familiari. Invece, nel caso di Belsito, si parla di fondi destinati ai familiari più stretti di Umberto Bossi, il leader del partito. E infatti, né Bossi né suo figlio Renzo hanno presentato esposti contro il loro ex tesoriere.
twitter: @DanieleCiacci
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