L’Eco del “mah”

Di Giulio Meotti
07 Ottobre 2004
è un romanziere senza passioni, è uno studioso senza idee, è un giornalista senza autoironia. Eco-grafia di Sua Eminenza il Collezionista

Sono diventati sempre più rari i lettori che prendono in mano un libro alla ricerca di un sentimento o un emozione, che leggono per appassionarsi o divertirsi o innamorarsi o per lenire un dolore o per sapere che non siamo soli. Lo fanno piuttosto per “istruirsi”, per sapere, vogliono diventare più colti. è questo il motivo della fortuna letteraria di Sua Eminenza il Decostruzionista più acuto d’Italia, Umberto Eco. C’è l’Eco letterato, l’Eco giornalista e l’Eco studioso. Partiamo dal primo. I suoi romanzi sono solo un pallido specchio dell’immensa, bonacciona ed enciclopedica Cultura del loro stimatissimo autore. Niente Vita, Meraviglia, Angoscia, Disperazione, Dubbio, Desiderio, Passione o Dolore, solo carta, quintalate di carta e fiumi di inchiostro, tanti rimandi, oh per carità, dottissimi rimandi, ma mai un fremito o un sussulto né un insulto o un moto di vergogna. Niente Uomini, solo Templari, Massoni, Gesuiti o Frati cosiddetti, i protagonisti di quella Zuppa medievale (titolo della più bella stroncatura de Il nome della Rosa, a firma di Piergiorgio Bellocchio) che tutti sanno non avere niente a che spartire col monachesimo benedettino né tanto meno col cristianesimo. Perché Umberto Eco è un uggioso professore, bravissimo a miscelare con scolastica sapienza e oleoso olezzo barzellette e lezioni, epigrammi e nozioni. Prima della pausa estiva ha sfornato La misteriosa fiamma della regina Loana, scegliendo un titolo così evocativo che il romanzo, quando parla di se stesso, ci sbatte in faccia solo una sorta di fenomenologia del cartoon (non me ne voglia Husserl se prendo in prestito il termine), tra “marachelle” e “memoria di carta”. Ha ragione Pietrangelo Buttafuoco, è una specie di Pippo Baudo, noi aggiungiamo il simbolo di quella che T.S. Eliot chiamava “cultura impegnata ad ammucchiare frammenti”. Diremo di più, Eco è una matricola invecchiata. Lo sapevate infatti che nel frattempo, tra una siesta a Capalbio e un florilegio di recensioni, tra cui quella commovente del filosofo in provetta Eugenio Scalfari, Eco è riuscito a tirare fuori dal cappello del suo vasto genio compilatore e secchione nientepopodimenoche una Storia della bellezza? C’era proprio bisogno di un libro simile, eh sì, non bastavano il Fedro platonico, Baumgarten, Leon Battista Alberti, Shaftesbury, Bacone, Kant, Hegel, Heidegger, Dewey, Goldmann, Wittgenstein e Harold Bloom. Più concisi sull’Eco studioso: sebbene in vita sua non abbia mai partorito un’idea originale, scopiazzando senza farsi beccare Saussure e Jakobson, Eco è il padre-padrone della “Scuola superiore di studi umanistici” di Bologna. Ha invitato anche George Steiner, il talmudista della cultura contemporanea. In Vere presenze Steiner scrisse pagine furenti e feroci sui de-confusionari alla Eco, contro i sacerdoti del “Leviatano cartaceo”, i periodici dell’estetica formale e le società erudite, “la pazzia mandarinesca del discorso secondario” e la “grigia palude” dei dottorandi che pensano di avere qualcosa da dire su Balzac o su Le preziose ridicole di Molière, i marginalisti e i glossatori, i “chierici di mercato” e i “poeti che vivono nei campus”. Perbacco, ma è proprio il ritratto di Sua Eminenza, il Dottor Eco. Infine c’è l’Eco giornalista, il mostro di dotte e goliardiche presenze, da L’Espresso a Repubblica, l’ideatore del politicamente corretto e dell’ideologia sinistresca, di cui ricordiamo un episodio emblematico. Quindici era una delle riviste del famoso Gruppo ’63. Vi scrivevano, oltre ad Eco, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Alberto Arbasino, Andrea Barbato ed Elio Pagliarani, ed era diretto da Alfredo Giuliani. Nel 1968 Balestrini, il meno dotato del gruppo, tentò di trasformare Quindici nel contenitore della produzione spontanea di Potere Operaio dei vari Piperno e Scalzone, con i poster del Che e Fidel, i manifesti operai e i volantini, insomma, via James Joyce e dentro Marcuse. Fu così che Quindici si trasformò in un bollettino ideologico insulso. Il direttore Giuliani tentò di resistere a Balestrini, ma il giornale chiuse. Ed Eco che c’entra? C’entra, perché scrisse una lettera a Giuliani in cui diceva: «Caro direttore sbagli, la Rivoluzione è vicina, viva i barricaderi». Ecco chi è Umberto Eco, l’uomo libresco, il divulgatore e giocoliere di pensieri altrui, l’uomo di carta. Su Eco ha ragione lo scrittore Ruggero Guarini: «Opera aperta, opera chiusa sempre scolastica è la tua Musa». Il nostro assomiglia a uno di quei giudici che russano nelle caricature di Honoré Daumier: visto che sono anni che dice che siccome ha vinto Berlusconi un uomo di cultura se ne deve andare, aspettiamo quel momento con trepida emozione. Perché caro Eco, «la carta è triste», come diceva Mallarmé. Verremo al molo a salutarla.

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