
Leadership mondiali in caduta, politici intercambiabili, disumanità in arrivo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – È lunedì mattina, giornata di chiusura del settimanale. Mentre scrivo l’editoriale mi domando se non dovremmo, da qui a giovedì (giorno d’uscita settimanale di Tempi), preoccuparci di scovare il più vicino rifugio antiatomico; sempre se ne esistano ancora, sempre se la Corea di Ciccio Kim e gli Stati Uniti di Ciccio Trump stiano facendo sul serio con le loro schermaglie di guerra nucleare, con le loro scazzottate all’idrogeno dalle conseguenze imprevedibili. Pensiero ozioso, dettato dalla confusione delle leadership mondiali.
Sono appena stato in televisione, sempre con il nostro caro giornaluzzo nel sottopancia, a disquisire sulla sopraggiunta normalizzazione ideologica inscenata da Matteo Salvini e Luigi Di Maio nell’ex santuario di Cernobbio, là dove un tempo c’era l’erba rorida dei poteri forti e oggi non resta che una città esangue svuotata di quattrini e idee guida. Il leader leghista e il capoclasse grillino indossavano il vestito buono della domenica paesana, espettorando parole in linea col dì di festa degli ultimi arrivati nella pancia del neo moderatismo: piano con la fuga dall’euro, diamo un’altra possibilità all’Europa, vogliamo un’Italia “smart nation” e così via lungo il sentiero oleoso del riposizionamento. Nulla di scandaloso, molto di proto-renziano, e dunque paleoberlusconiano, sin nel linguaggio americanomorfo. E proprio mentre Renzi – cattivo carattere ma furbizia inarrivabile – da tutt’altra latitudine si accaparrava la nuova narrazione della “forza tranquilla” di mitterrandiana memoria oggi resuscitata dal mite premier Gentiloni e dal romantico sbirro Minniti, fresco di conversione allo ius soli, pronubo naturalmente il presidente Mattarella. Strana inversione di ruoli: i populisti apocalittici (Salvini e Di Maio) inseguono parole d’ordine care all’establishment, senza molto convincerlo peraltro; il populista integrato (Renzi) scivola dalla rottamazione alla manutenzione. E intanto su di loro svetta l’occhio acuto del sovrano di Arcore, quel Silvio Berlusconi che si prepara a vendemmiare voti con Meloni e Salvini (dalla Sicilia in su) per poi ubriacarsi con i sopravvissuti del renzismo alla mensa del governissimo in allestimento per l’anno prossimo. Pensieri confusi, forse, ma meno oziosi di quanto possa apparire. E occhio al pragmatismo dei sovranisti: come si noterà leggendo l’intervista a Giancarlo Giorgetti pubblicata nelle pagine che seguono, Salvini non è intenzionato a disertare il tavolo negoziale per un possibile accordo di sistema post elettorale; e anche Meloni sarà al centro della partita al grido di “mai con Renzi ma poi chissà”.
Per ultimo, ma non da ultimo, c’è il senso di una copertina che una volta ancora sfida la duttilità intellettuale del nostro lettore tradizionale. Et pour cause. La chiesa sul limitare dell’abisso non sarà forse la Chiesa in quanto tale, ma i suoi credenti in caduta libera verso il martirio planetario, l’estinzione, l’oblio o la psicanalisi, sono comunque i muti testimoni di un percorso che conduce alla «confusione nel caos invece della fusione nell’Unità principiale», tanto per rianimare una definizione del reazionario René Guénon (Il regno della quantità e i segni dei tempi, in Italia tradotto da Adelphi). Immaginare un mondo post-atomico, post-politico e post-religioso è un esercizio ascetico al quale abbiamo già dedicato qualche sparsa fatica, qui a Tempi. Ripetersi giova, fintantoché saranno alcuni uomini a farlo e non qualche forma d’intelligenza artificiale in loro vece. Perché presto faremo i conti con loro, le macchine pensanti e agenti, e con la spettacolare transizione dall’homo faber all’homo inutilis.
Foto Ansa
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