Le troppe “bolle” che si raccontano sulla scarsità d’acqua sulla Terra

Di Riccardo Cascioli
05 Gennaio 2013
Non è la scarsità di risorse idriche ma l’impossibilità di accedervi ad alimentare la crisi dell’oro blu. Un problema di sottosviluppo

Esiste un problema acqua, soprattutto per gli anni a venire? Certo che esiste, ma la sua natura e la sua soluzione sono ben lontane da quanto ormai tutti i media ripetono acriticamente. «La crisi globale dell’acqua sarà la sfida più grande del XXI secolo»; «Se molte guerre del XX secolo si sono combattute per il petrolio, nel XXI secolo si combatteranno per l’acqua», sono certamente tra le frasi più usate ogni volta che si parla di questo argomento. Insomma si dà l’idea che il mondo abbia a che fare con la scarsità d’acqua, e siccome il 70 per cento circa del consumo globale di acqua lo si deve all’agricoltura, le conseguenze sono facili da intuire. Le cose però non stanno così.

Cominciamo dalla reale disponibilità di acqua: l’acqua dolce usabile per le esigenze umane è di poco più di 10 milioni e mezzo di km cubi. È poca? È abbastanza? E per quante persone? In realtà la risposta non è semplice, anzitutto perché – contrariamente a quel che siamo portati a pensare – la disponibilità di acqua dipende primariamente dall’uomo e non dalla natura, sia per la quantità sia per la qualità. Ai primordi della civiltà umana l’acqua serviva soltanto per dissetare, sia gli uomini sia le bestie. Successivamente è diventata importante per l’agricoltura, poi per migliorare le condizioni igienico-sanitarie, quindi è diventato elemento importante per cuocere i cibi, per lavarsi, infine anche per lo sviluppo industriale. Gli usi dell’acqua, nel corso dei millenni, sono andati dunque diversificandosi e moltiplicandosi nella quantità richiesta. La sua disponibilità è andata ampliandosi man mano che ne crescevano anche i consumi. Il motivo è facilmente intuibile: nessuno di noi infatti beve l’acqua alla sorgente, ci arriva comodamente nelle nostre case. E questo grazie agli acquedotti, agli impianti di depurazione e potabilizzazione, ai sistemi idraulici moderni e così via. Vale a dire che l’ingegno dell’uomo ha fatto sì che nei secoli si sviluppassero tecnologie in grado di soddisfare le necessità della comunità umana. Ogni tecnologia, a sua volta, ha dato la possibilità di moltiplicare la risorsa.

Ad ogni modo oggi dobbiamo fare i conti con circa un miliardo di persone al mondo che non hanno accesso ai 50-100 litri quotidiani che le Nazioni Unite considerano come il livello minimo di acqua per bere, lavarsi, cucinare e servizi igienico-sanitari. Il Rapporto 2008 sugli Obiettivi del Millennio afferma giustamente che «attualmente non c’è ancora una penuria globale d’acqua». Il motivo è semplice: l’acqua rinnova la sua disponibilità attraverso le precipitazioni, che in un anno sono pari mediamente a 113 mila km cubi che, al netto di tutti i fenomeni naturali di dispersione, significano una disponibilità globale pro capite di 5.700 litri al giorno: nell’Unione Europea il consumo medio pro capite è attualmente di poco meno di 600 litri, negli Usa è di 1.400 litri.

Da questi dati capiamo che non esiste una scarsità d’acqua in quanto tale. Vale a dire che il problema allora non sta nella finitezza della risorsa acqua – e quindi nell’aumento della popolazione che la rende ancora più ridotta – ma nei motivi che ne impediscono il godimento da parte di ampi strati della popolazione. Detto in parole povere, il problema non è la scarsità ma l’accesso all’acqua. Alcune barriere che impediscono l’accesso all’acqua sono naturali. Le precipitazioni non si distribuiscono uniformemente sulla superficie della terra: tanto per fare un esempio, l’Islanda può contare su una disponibilità di circa 2 milioni di litri pro capite al giorno, mentre il Kuwait si deve accontentare di appena 30 litri. E le precipitazioni neanche si distribuiscono uniformemente durante l’anno. Inoltre ci sono aree molto ricche d’acqua (vedi i Grandi laghi in Africa e il bacino del Rio delle Amazzoni) e altre che sono decisamente aride (vedi il Medio Oriente).

Non è poi secondaria la distribuzione per settore dei consumi d’acqua: globalmente l’uso domestico assorbe appena l’8 per cento dei consumi, mentre il 22 per cento è usato dall’industria e il 70 per cento dell’acqua globalmente consumata va per le attività agricole. Si pone dunque una “questione agricoltura”, a maggior ragione se si considera che nei paesi poveri questa percentuale arriva al 95 per cento.

Ma qui entra in gioco il fattore umano, ovvero la capacità degli uomini di rispondere con il proprio ingegno e creatività ai bisogni che via via si presentano. Un esempio sono le biotecnologie, che permettono lo sviluppo di specie vegetali in grado di crescere con poca acqua, ma anche lo sviluppo di tecnologie che riducono la necessità di acqua a parità di produttività agricola: è il caso del sistema di irrigazione a goccia e anche degli impianti di desalinizzazione, tecnologie che non a caso si sono sviluppate in paesi poveri d’acqua.

Se, ad esempio, prendiamo il caso di Israele, che ha una disponibilità di appena 969 litri di acqua pro capite al giorno, dovremmo trovare che sperimenta una assoluta scarsità d’acqua. Il che invece non è vero: Israele non ha problemi di accesso all’acqua e anzi, giardini sono nati dove c’era il deserto. Come mai? La estrema limitatezza nella disponibilità di acqua ha fatto sì che si usasse l’acqua in modo molto più efficiente, al punto che oggi Israele non solo ha risolto i suoi problemi interni in materia, ma ha sviluppato una tecnologia per la gestione dell’acqua che a sua volta – vendendola ad altri paesi – è diventata fonte di ricchezza essa stessa. Ad esempio il 60 per cento dell’acqua fognaria è riciclata e usata per l’irrigazione; l’invenzione del sistema di irrigazione a goccia ha permesso risparmi di acqua nell’ordine del 30 per cento – accompagnato da un aumento della resa dei terreni – e oggi oltre il 60 per cento dei terreni agricoli in Israele è irrigato con questo sistema; lo sviluppo degli impianti di desalinizzazione fornisce un ulteriore contributo all’efficienza nell’uso dell’acqua. In questo modo Israele non soltanto ha risolto i problemi interni di accesso all’acqua, ma è diventato leader mondiale nella tecnologia idraulica e nella gestione delle acque.

Il vero problema nell’accesso all’acqua è dunque il sottosviluppo, perché la povertà – economica, ma anche di conoscenze e di capacità manageriali – non mette gli uomini in condizione di usare il loro ingegno e lavoro, o di sviluppare attività economiche che diano la possibilità di acquistare i servizi di cui hanno bisogno. Più che delle guerre per l’acqua, dunque, dobbiamo preoccuparci delle guerre che impediscono l’accesso all’acqua. In Africa si sono registrati negli ultimi 15 anni qualcosa come 23 conflitti, e secondo un Rapporto pubblicato nel 2007 dalle organizzazioni non governative Oxfam, Safeworld e Iansa, ogni anno l’Africa perde «almeno 18 miliardi di dollari a causa di guerre, guerre civili e insorgenze». Dal 1990 al 2006 sono stati “persi” circa 300 miliardi di dollari, una cifra folle «equivalente all’ammontare nello stesso periodo degli aiuti internazionali dai principali paesi donatori». È per questo motivo che paradossalmente il problema dell’accesso all’acqua è particolarmente acuto nella zona dei Grandi laghi africani, che pure è uno dei bacini di acqua dolce più grande al mondo.

Se si vuole dunque affrontare seriamente il problema dell’acqua, è necessario intervenire anzitutto sulle cause del sottosviluppo.

Articolo tratto dallo speciale Più Mese di Tempi di dicembre

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