Lettere al direttore

Le “sviste” giornalistiche sulla Siria e quelle politiche su Beppe Sala

Di Emanuele Boffi
13 Marzo 2025
Solo ora i grandi giornali si accorgono che il terrorista Al-Jolani non è il leader "moderato" e "pragmatico" che ci avevano presentato. Sul Salva Milano il sindaco fa lo struzzo
Uomini delle forze armate siriane durante gli scontri nella zona di Latakia, Siria, 9 marzo 2025 (foto Ansa)
Uomini delle forze armate siriane durante gli scontri nella zona di Latakia, Siria, 9 marzo 2025 (foto Ansa)

Gentile direttore, sono un cristiano siriano residente a Milano ormai da molti anni. Da una settimana leggo con sgomento le notizie sul massacro di alawiti e cristiani nel mio paese, accuratamente studiato e realizzato dai terroristi islamici di Al-Jolani. Non avevo dubbi che qualcosa di simile sarebbe accaduto prima o poi: l’attuale leader siriano è lo stesso che combatteva con la bandiera dell’Isis e di Al-Qaeda, i suoi uomini sono gli stessi che hanno compiuto la strage di Maloula, il suo stile di governo è il medesimo imposto a Idlib: terrore per le minoranze e sharia per tutti. Solo qui in Occidente qualcuno poteva pensare che un jihadista diventasse all’improvviso un sincero democratico. Eppure tanti ci hanno creduto. Quando gli islamisti di Hts hanno preso il potere l’anno scorso, sono rimasto esterrefatto dagli articoli di Andrea Nicastro sul Corriere della Sera. L’inviato parlava di «rivoluzione della misericordia», descriveva Al-Jolani come uno statista che «non dorme nel palazzo del dittatore» anche se «avrebbe potuto farlo». E interpretava questi fatti come «segno di moderazione». Citando il discorso alla moschea di Al-Jolani, ha preso le sue parole («è la vittoria della Umma») e le ha commentate così: «Avrebbe potuto dire è una vittoria sunnita». Pensa se avesse detto: è la vittoria della Siria! Nicastro parlava di cittadini “rassicurati” perché «non è stato pestato neppure un fiorellino delle aiuole» tanto la rivoluzione sarebbe stata “pacifica”. Non so con che cittadini parlasse: tutti i miei amici a Damasco, Aleppo, Homs, Hama erano terrorizzati e cercavano di fuggire. Nei giorni successivi il Corriere ha addirittura intervistato delle donne, una delle quali alawita (chissà se è ancora viva), che magnificavano le stesse persone che in quei giorni giravano per le strade con i megafoni a ricordare che il velo era da considerarsi un obbligo e che fermavano ai posti di blocco le ragazze per spiegare che non potevano più uscire di casa senza un familiare. Come in Afghanistan! Ma non vi faceva schifo il patriarcato? Ora che Al-Jolani ha ripreso a fare il suo mestiere, il sanguinario jihadista, dopo una pausa di qualche settimana, il Corriere titola: “La festa è finita”. Perché, era mai cominciata? Tutti noi siriani abbiamo esultato per la fine del regime di Bashar al-Assad, ma allo stesso tempo abbiamo tremato per l’arrivo della galassia di jihadisti che si riconosce nella sigla Hts. Meno male che c’è Tempi: anche se Al-Jolani si è tagliato la barba e si è messo la cravatta, voi non vi siete mai fatti fregare.

Boulos

Caro Boulos, vediamo anche noi la retromarcia dei grandi giornali che, chissà quanto inconsapevolmente, si erano fatti “fregare” dal “moderato” Al-Jolani (il «miliziano pragmatico» lo definì Repubblica). Per fortuna, oltre a Tempi, anche bravi giornalisti come Gian Micalessin e Fausto Biloslavo ci hanno aiutati a chiamare le cose con il loro nome.

* * *

Sulla vicenda del Salva Milano, il sindaco Beppe Sala e alcuni esponenti della maggioranza mancano totalmente di sano realismo. Parlano come se al governo della città ci fossero stati altri, come se le regole del gioco, le delibere, gli atti, i piani siano stati scritti e approvati da forze misteriose. Durante il Consiglio comunale hanno ripetuto più volte che «ci vuole discontinuità». Discontinuità da chi? Ricordo sommessamente che da 15 anni il Pd governa a Milano. In fondo hanno ragione: è necessaria una discontinuità! L’amministrazione guidata dal Pd si è dimostrata priva di una visione politica capace di rispondere alle sfide sociali di Milano. Il modello di sviluppo perseguito è quello di una città vetrina, attrattiva per il capitale e per i grandi eventi, ma poco inclusiva per chi la vive quotidianamente. Le periferie continuano a essere trascurate, con servizi inadeguati, trasporti insufficienti e spazi pubblici degradati. Negli ultimi anni, la distanza tra il sindaco e i reali bisogni dei cittadini si è fatta sempre più evidente. La città sta affrontando una crisi profonda sul fronte abitativo, con affitti e prezzi delle case alle stelle, che hanno spinto fuori dal tessuto urbano intere fasce di popolazione. Le famiglie, i giovani e i lavoratori si trovano schiacciati da una città sempre meno attenta al tema dell’abitare. La mancanza di una strategia politica efficace da parte del Pd e dell’amministrazione comunale ha portato a una gestione frammentaria delle questioni sociali ed economiche. Le politiche abitative non sono riuscite a garantire alloggi accessibili per le famiglie a basso reddito, ma anche a quelle della cosiddetta classe media. L’attuale amministrazione sembra invece più impegnata a gestire il presente senza una strategia chiara per il futuro, mentre la città si allontana sempre più dalla sua identità popolare e lavoratrice per trasformarsi in un laboratorio di gentrificazione e disuguaglianze crescenti. Le dimissioni dell’assessore alla Casa del Comune di Milano, Guido Bardelli, hanno scosso l’amministrazione comunale e sollevato interrogativi sulla gestione politica della città. La divulgazione di comunicazioni private e le conseguenti dimissioni di un assessore sollevano interrogativi sulla coesione della giunta e sulla capacità di affrontare le sfide che la città si trova ad affrontare. Le vicende urbanistiche recenti, con il cosiddetto “Salva Milano” hanno reso ancora più evidente la fragilità di un’amministrazione incapace di regolare lo sviluppo urbano nell’interesse della collettività. Lo ribadisco: il Salva Milano deve essere approvato in tempi brevi per dare certezza alle famiglie che hanno acquistato la casa, alle imprese e ai lavoratori e per arginare gli ingenti danni economici alla città. Sala se ne lava le mani come un Ponzio Pilato qualunque. Una politica morta deve guidare ancora Milano per i prossimi due anni, con sfide enormi da affrontare, questo è il dato preoccupante da tenere in conto per leggere tutte le vicende: con la resa di Sala al tintinnar di manette, l’esperienza politica di governo della città è conclusa.

Deborah Giovanati

Sull’indagine noi abbiamo molti dubbi. Questa idea che siano stati gli indagati a “dettare” la norma ai loro referenti politici in parlamento (si veda l’articolo di Ermes Antonucci sul Foglio) non ci convince. Per quanto riguarda l’aspetto “politico” ha già scritto bene Pietro Piccinini su Tempi: «O il Salva Milano è una legge buona e giusta, l’unica possibilità per far ripartire un settore trainante dell’economia della città, come ha sostenuto allo sfinimento Sala, e allora il sindaco dovrebbe chiarire perché ha deciso di abbandonarla per strada, visto che una buona legge resta tale a prescindere da qualunque cosa la procura riuscirà a dimostrare su Oggioni; oppure il Salva Milano è una legge corrotta come corrotto è – secondo i pm – chi l’ha concepita, e allora il sindaco avrebbe un problema ancora più grave, visto che l’ha difesa per mesi. Altro che vittima e parte civile».

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