
Lettere al direttore
Le sparate di Caltagirone sull’intolleranza cristiana e la mostra “Da solo non basto”

Leggo sul Corriere la cronaca di un incontro al festival dell’economia di Trento sul declino dell’impero romano. Partecipano all’incontro Francesco Gaetano Caltagirone e Aldo Cazzullo. Modera: il direttore del Sole 24 Ore Fabio Tamburini.
Or dunque, sor Caltagirone (re dei palazzinari de’ Roma, fra i 1000 più ricchi del mondo) traccia un vertiginoso excursus storico che fissa nei secoli tre tappe del declino dell’impero romano. Lasciamo perdere le prime due in cui già sor Gaetano chiama in causa il cristianesimo e soffermiamoci sulla terza: «La capitale si è nel frattempo spostata a Milano e a reggere l’impero è il 16enne Graziano che ha il vescovo Ambrogio ispiratore delle scelte politiche. Fra queste – come sottolinea la cronaca del Corriere – la graduale sottrazione dei diritti ai pagani: nasceva così l’intolleranza». Minchia, ecco finalmente scoperto come è nata l’intolleranza. Ecco che finalmente sappiamo che l’intolleranza si è affacciata nel mondo grazie a papà sant’Ambrogio.
Ora, vorrei sapere, oltre che a appiccicare fiocchi rosa per la nascita dell’intolleranza, essere tra i più ricchi al mondo, aver avuto qualche guaio giudiziario ed essere rincorso da voci che lo danno molto vicino alla massoneria, quali titoli accademici ha il sor Caltagirone per insegnare dalla cattedra di Trento? Quali pubblicazioni scientifiche? Quale corrente storiografica lo annovera tra i suoi più insigni rappresentanti? La storiografia marxista, Les Annales, la Microstoria, la New cultural history, la World history? Chi i suoi maestri? Lowitt, Bloch, Von Ranke, Braudel, Croce, Ginzburg, Benjamin, Chabod, Burke, Lukacs? Ma guarda un po’ se in un giorno qualsiasi di una settimana qualsiasi mi deve pure capitare di leggere di ste minchiate sul Corriere della Sera.
Emiliano Ronzoni
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Egr. direttore, ho partecipato come guida assieme a tanti amici alla mostra “Da solo non basto”, organizzata e esposta a Varese da diverse realtà educative presenti sul territorio ed è stata una grande occasione di crescita e riflessione per me. Mi ha colpito lo sguardo dei ragazzi e anche degli adulti che hanno visitato la mostra, soprattutto guardando il video e ascoltando le testimonianze dei giovani delle tre realtà presentate, Portofranco, Piazza dei Mestieri e Kayros. Hanno visto una umanità accolta, una umanità cambiata, la rinascita della libertà, della vera amicizia e il desiderio di incidere nel mondo e nella storia dei giovani protagonisti. Questo “miracolo” è stato reso possibile dalla presenza e dall’incontro con adulti che hanno messo in gioco la loro umanità, i loro desideri e le loro domande nel rapporto coi ragazzi, certi di poter imparare e di poter crescere grazie a quei rapporti. La bellezza e la verità delle esperienze presentate hanno colpito i giovani visitatori della mostra perché hanno colto la corrispondenza fra i loro desideri, le loro domande e quanto, grazie soprattutto alle testimonianze del video, accadeva davanti ai loro occhi, ne sono documentazione le decine e decine di bigliettini appesi dopo la visita che documentano il desiderio di poter vivere così; uno ha scritto, se ben ricordo: “Voglio andare a Kayros”.
Questa esperienza si è ripetuta nella visita e nella realizzazione di alcune visite guidate alla mostra sui “Promessi Sposi” proposta dalle realtà e associazioni di “Insieme per la vita” di Varese: le persone che vi hanno partecipato, sia giovani che adulti, si sono dimostrate desiderose di incontrare testimonianze del bello e del vero che facessero riassaporare e approfondire la certezza del valore e del destino infinito di ogni uomo. Questo accade sempre se in chi propone un aspetto del reale, come ad esempio la lettura dei “I Promessi Sposi”, è presente e viva una ipotesi esplicativa unitaria, ragionevole della realtà, capace di abbracciare e dare un senso a tutti gli aspetti e i fattori del reale. Nella mia storia, nella mia esperienza questa ipotesi è che tutto , in primis l’uomo, appartiene al Mistero fatto uomo in Cristo ed è la coscienza di questa appartenenza che rivela alla persona chi è e qual è il suo valore. Giocare questa ipotesi nella presentazione e spiegazione di un particolare emozione, attrae e affascina la mente e il cuore di chi ascolta.
Tutto questo è la documentazione che l’educazione è l’incontro di due umanità, di persone che hanno lo stesso desiderio di felicità e vogliono che si realizzi. Malgrado i tentativi provenienti da ogni parte di ridurre, di limitare, addirittura di cancellare i grandi desideri del cuore umano, appena si incontra la bellezza e la verità di una testimonianza come quella dei ragazzi della mostra “Da solo non basto” o dei personaggi dei “Promessi Sposi” questi desideri rinascono e attendono, ricercano una risposta. Questa è anche la mia esperienza educativa vissuta in 40 anni di insegnamento nella scuola e ora a Portofranco. I ragazzi hanno bisogno di incontrare adulti che consapevoli del valore grandissimo della loro persona e della loro vita lo testimonino in modo libero e gratuito ai giovani, facendo emergere e facendo crescere in loro il valore e la stima di sé. Se avviene questo incontro l’esperienza educativa e di insegnamento diventa affascinante, perché è l’avventura di una scoperta del bello e del vero che non finisce mai, che mantiene giovani. A questo proposito mi viene in mente il “grido” degli studenti del liceo di Catania dopo l’omicidio dell’ispettore di polizia Raciti: “Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e verità”. Perché avvenga una esperienza educativa così occorrono giovani leali con questa domanda e adulti che la vivano e la giochino nel rapporto coi ragazzi, in quel che propongono e insegnano. Questa è l’urgenza educativa di oggi e di sempre!
Allora ogni giorno, entrando in classe o nell’aula di Portofranco, diventa l’occasione per mettere in gioco la propria umanità, la propria storia fatta di incontri che ci hanno rivelato il senso della vita, una ipotesi di significato del reale, dentro ciò che si sta vivendo, insegnando e studiando ( può essere ad esempio uno scrittore, una poesia, un brano di storia), tenendo sempre viva la domanda: “Quel che studio cosa c’entra con la mia vita?”. Così la lezione diventa un dialogo su tutto ciò che interessa davvero e un invito ai ragazzi a mettere in gioco la loro umanità. Esperienze educative come questa esistono e sono possibili, sono quelle che anche i giovani di oggi desiderano e attendono. Penso che sia importantissimo farle conoscere, diffondere metodi e contenuti che si sperimentano, offrire esempi concreti di lavoro educativo quotidiano e di insegnamento fondato sull’ incontro fra lo studio e la vita, riflettere sulle basi antropologiche di una esperienza educativa vera, attenta all’umanità di chi si incontra, coinvolgendo più educatori possibile. Da queste esperienze possono nascere indicazioni e suggerimenti che cerchino di rispondere alla grave emergenza educativa in atto e offrano un contributo per il cambiamento di tutto il sistema educativo e della scuola.
L’esperienza in atto nelle realtà che hanno proposto la mostra “Da solo non basto”, o la mostra su Manzoni e i “Promessi Sposi”, in altre realtà associative e educative del decanato di Varese e di altri luoghi, il dialogo e il confronto fra di esse, soprattutto la creazione di luoghi di incontro e confronto fra educatori desiderosi di educarsi continuamente per educare i più giovani è un lavoro molto importante anche per offrire un contributo al raggiungimento di un obiettivo decisivo e urgente come quello del ritrovamento della centralità e del valore della persona nella società italiana e europea, oggi in crisi, dimenticato, spesso combattuto.
Franco Bruschi, Varese
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