Lettere al direttore

Le scuse del direttore a se stesso e a chi si è offeso. Il bisogno di dare i numeri

tempi-settimanale

Pubblichiamo la rubrica delle “lettere al direttore” contenuta in Tempi n. 21 (vai alla pagina degli abbonamenti). Per scrivere ad Alessandro Giuli: [email protected]

Caro direttore, ma quella vignetta di Natangelo? Lei è uscito pazzo? È stato un colpo di calore? O cosa?[Alessandro Giuli]

O cosa. È già capitato, qui e altrove, che il direttore di Tempi non fosse d’accordo con se stesso. Ma stavolta bisogna dare spiegazioni e porgere scuse: alcuni lettori si sono sentiti profondamente offesi da un esercizio di satira che ha inciso in modo pesante nella carne viva del mondo cattolico ed ecclesiale.

Non appena l’ho avuta sotto gli occhi, sono stato io il primo a volermi risparmiare quella vignetta, reputandola sconveniente per Tempi. Ho dovuto scegliere se lasciare un buco in pagina dal vago sapore censorio oppure correre il rischio di produrre una ferita rimarginabile, ma della quale mi sarei inevitabilmente dovuto far carico nei giorni a venire. Eccomi, dunque, a scusarmi con me stesso e con ciascuno fra voi che abbia trovato intollerabile la vignetta in questione.

Considerazione secondaria. Bello o brutto, raffinato o volgare, ogni tentativo di satira può dare un tono (o una stonatura) al proprio contenitore, ma non certo la linea. La linea maestra di Tempi, dacché lo dirigo, non ha tradito (e non tradirà) le aspettative di cura e interesse verso le battaglie fondamentali che hanno animato il settimanale fin dalle origini. Il che, concedetemelo, è sotto gli occhi di tutti i lettori.

Obiezione: perché hai ingaggiato un provocatore “allogeno” come Natangelo? Risposta: perché lo reputo un ottimo vignettista, dotato di congrua autoironia, capace di riconoscere quando una sua vignetta non è azzeccata e disponibilissimo – d’ora in poi – a rispettare i canoni del committente. Altrimenti, altro che censura: lo corco la metà di quanto alcuni di voi hanno corcato me, e temo non sopravvivrebbe (satira).

«Un giorno in più che mi risveglio alla vita. Un giorno in più verso la morte. Il tempo mi porta impassibile… non posso dibattermi. Con il suo silenzio mi circonda ed è lì inflessibile. C’è un tempo che ci porta verso la morte. È silenzioso, vuoto. È morto. È inesorabile. Ci fa invecchiare. Come posso riscattare il tempo? Come posso fare perché la sua compagnia mi conforti ? Tempo amico. Hai racchiuso nel tuo segreto il senso dell’essere, dello stare, dell’esistere, dell’andare verso la morte. C’è una chiave che ti apre, ti trasforma e ti rende amico e compagno… e questa chiave sei Tu. Signore Dio mio. Mi hai tratto fuori dalla morte e mi hai stretto a te, nel tuo amore. Vivo per sempre in Te. Il tempo è avvicinarmi a Te, è il desiderio di Te, Signore Gesù, Dio mio. La tua volontà e il tempo… L’Inferno del non sapere. E le cose continuano impassibili. E ce ne andiamo verso il niente… E Tu non mi lasciare. Abbi pietà, aiutami! “Se questa coppa non può passare senza che io la beva, sia fatta la tua volontà, Padre”… “E gli apparve un angelo venuto dal cielo che lo confortava” (cfr Mt 26,42, Lc 22,43)». Da Kiko Argüello, Annotazioni (1988-2014), pag. 234, Cantagalli 2016.

Credo che queste parole esprimano l’esigenza di una risposta adeguata alla domanda sul senso della vita, in mancanza della quale l’uomo non si sposa, non forma una famiglia, non si apre alla vita e rinuncia così a costruire la società umana. Le parole di Kiko, che con Carmen Hernández è stato spettatore della nascita di un Kerigma potente capace di generare comunità diffuse in tutto il mondo con un numero impressionante di vocazioni al matrimonio, al presbiterato, alla vita religiosa e a varie forme di missione in forza del Battesimo, riscoperto all’interno del Cammino neocatecumenale, rappresentano un invito a guardare alle uniche, urgenti risposte che gli uomini attendono dalla Chiesa. Che se non si pone su questo piano rischia di divenire il sale senza sapore che serve solo a essere calpestato dagli uomini.
[Alessandro Pacini via email]

Gentile direttore, mi è appena venuto in mente che sarebbe molto utile una rubrica dal titolo “Diamo i numeri”, perché qui i numeri volano come i lapilli a Pompei o come i moscerini sulla frutta marcia o come le «ombre portate da la detta briga» nel V canto dell’Inferno eccetera. Per esempio, una simile rubrica sarebbe utile per comprendere che, quando diminuisce la disoccupazione, ciò non vuol dir niente se insieme non mi viene detto che cos’altro è salito: occupazione o inattività? I comunicati Istat sono quasi ermetici, da questo punto di vista (o magari sono io che ci vedo troppa matematica). Non sarebbe anche un bel modo per dare lavoro a qualche giovane statistico?
[Umberta Mesina via email]

Non è una cattiva idea. Ai tempi del Foglio, dicevamo sempre con Ferrara che sui numeri in Italia si combattono battaglie massimamente antiveritative. Ne riparleremo di certo. 

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