
Il Deserto dei Tartari
Le religioni non sono tutte uguali
Non ricordo e non riesco a ricostruire se i papi che negli ultimi cinquant’anni hanno visitato l’Africa o sono stati visitati da ambasciatori e capi di Stato africani abbiano mai ricevuto in dono oggetti sacri delle religioni tradizionali del continente, come è accaduto lunedì mattina a papa Francesco. Dalle mani del presidente della Guinea Conakry Alpha Condé il pontefice ha ricevuto una maschera di Nimba, la dea Baga (un’etnia del sud-ovest del paese) della fertilità. Ricordo bene che il primo papa che ha fatto entrare i tamburi africani in San Pietro è stato Giovanni Paolo II, al tempo della prima assemblea sinodale dedicata all’Africa nel 1994, ma non ricordo proprio regali così impegnativi come una maschera africana. I commenti al fatto sono stati variegati: alcuni divertiti, altri perplessi, altri contrariati, altri ancora – forse la maggioranza relativa – compiaciuti. Per costoro il dono del presidente al Papa è stato un bell’esempio di dialogo interreligioso. Personalmente mi iscrivo al partito dei perplessi, e non solo perché donare a un’autorità religiosa un’immagine simbolica di una religione differente dalla sua mi sembra improprio. Immaginiamoci quali reazioni ci sarebbero se un cardinale di Santa Romana Chiesa in visita al Cairo omaggiasse il rettore di Al Azhar con un bel crocifisso ligneo copia di qualche opera d’arte medievale o rinascimentale italiano: lo sceicco avrebbe tutto il diritto di risentirsi. Gli oggetti sacri figurativi non sono semplici ritratti di personaggi ed entità care a una certa religione: esprimono concetti e Misteri ben precisi, normalmente incompatibili con quelli di altre religioni. Per i musulmani Gesù non è morto in croce, pertanto regalare un crocefisso, per quanto artisticamente splendido, a un’autorità islamica può essere catalogato come un’offesa. Il dono di una maschera di una divinità africana al Papa non è un caso molto diverso.
Nel 1998 ho fatto il mio primo reportage in Nigeria, alla vigilia della visita di Giovanni Paolo II che andava là per beatificare il padre Cyprian Michael Iwene Tansi (di cui domani 20 gennaio ricorre l’anniversario della morte, avvenuta nel 1964). Si trattava di un parroco nigeriano ibo, che divenne monaco trappista in Inghilterra negli ultimi anni della sua vita, noto per la fede cristallina, lo stile di vita austero in un’epoca in cui missionari e primi preti africani vivevano in condizioni materiali molto migliori del loro gregge, la dedizione assoluta alla promozione della donna e del matrimonio cristiano e la sua irriducibile opposizione alle maschere e ai mascherati. Le maschere africane, infatti, non sono soltanto soprammobili di altari o arredi di cerimonie: sono fatte soprattutto per essere indossate da esseri umani nel corso di processioni, celebrazioni, azioni disciplinari. Padre Tansi sfidava i mascherati presentandosi alle loro processioni e mostrando ostentato disprezzo per loro e nessuna paura. Una volta addirittura colpì sulla testa una delle persone che indossavano le maschere per dimostrare ai presenti che non si trattava di uno spirito, cioè di un ente immateriale, ma di un essere umano in carne ed ossa, che come tale non doveva essere temuto o obbedito acriticamente. Il punto di tutta la faccenda infatti è proprio questo: le maschere sono supporti fisici di spiriti metafisici; quando vengono indossate da un essere umano, quella persona viene invasata dallo spirito e va considerata come la sua incarnazione. Di conseguenza quella che si ha di fronte non è più una persona, ma lo spirito stesso. Responsi, ordini e azioni del mascherato non sono suoi, ma opera dello spirito. Rivestono pertanto natura soprannaturale e sono insindacabili. Chi si oppone alle maschere pertanto si oppone alla divinità, e merita le punizioni più gravi. Il comportamento di padre Tansi testimonia l’inaudito coraggio cristiano di un sacerdote che desiderava liberare i suoi fratelli africani dalla schiavitù della superstizione e della sottomissione ad esseri umani che pretendevano di incarnare le volontà divine. Un’altra persona al suo posto sarebbe stata trucidata. Il suo abito sacerdotale gli procurava una parziale protezione: i suoi nemici temevano contemporaneamente la reazione degli spiriti di cui lo consideravano rappresentante (quelli della religione cristiana) e l’intervento dei bianchi, che governavano il paese e avevano importato il cristianesimo.
Molto spesso le maschere della tradizione sono indossate da affiliati di società segrete, altra istituzione delle culture e delle religioni africane (nell’Africa tradizionale cultura e religione coincidono, non possono essere separate). Le società segrete sono composte da “anziani” della tribù (non necessariamente anziani di età, ma anziani per essere passati attraverso i riti di iniziazione e perché appartenenti alle famiglie dei capivillaggio) e rappresentano contemporaneamente il ministero della Pubblica Istruzione e quello degli Interni. I principali compiti delle società segrete riguardano la trasmissione delle norme di comportamento sociale ai membri della tribù, la regolazione dei comportamenti sessuali, la supervisione degli affari politici ed economici, trattamenti medici, momenti ricreativi. Le società segrete sono state (e in alcune aree sono ancora) una vera e propria polizia dei costumi.
Della maschera donata al papa esiste una versione maggiorata, dotata di un supporto per poterla appoggiare sulle spalle del portatore. A portarla così erano e sono tuttora membri della società segreta Simo, una delle più temute in tutta la fascia dell’Africa occidentale che va dalla Sierra Leone alla Guinea Bissau passando per la Guinea Conakry. Come scrive Lorraine Bangoura nel suo articolo The Baga and the inscrutable Nimba, apparso su Black World, la più prestigiosa rivista afro-americana degli anni Sessanta e Settanta, «le società segrete risolvevano liti domestiche, riconciliavano parti in conflitto e punivano le trasgressioni gravi. È per questa ragione che si verificavano visite notturne, specialmente da parte di membri della Simo, una società segreta. A costoro erano attribuiti poteri soprannaturali coi quali riuscivano a individuare i ladri e le donne adultere, che poi venivano puniti severamente». Un brivido corre lungo la schiena a immaginare questi uomini investiti di un potere sacrale riconosciuto dalla società di cui erano espressione, mentre pronunciano i loro responsi indicando a dito i colpevoli di furto, adulterio o stregoneria. Responsi arbitrari ma indiscutibili, che condannavano all’ostracismo sociale o a cose peggiori persone che non potevano difendersi o dimostrare la loro innocenza: gli spiriti avevano parlato. L’ostilità di padre Tansi alle maschere e il suo impegno in difesa della dignità delle donne (difese le sue parrocchiane da aggressioni sessuali e pagò loro le spese processuali dopo averle convinte a intentare una causa per tentato stupro contro maggiorenti del villaggio, causa che fu vinta e comportò il pagamento di una forte multa da parte dei condannati) si spiega proprio con un elemento drammatico della sua biografia: sua madre era stata assassinata dopo essere stata accusata di stregoneria da parte di mascherati affiliati a una società segreta.
Nella cultura occidentale odierna si manifestano, a mo’ di opposti estremismi, due attitudini nei confronti del pluralismo religioso, entrambe afflitte da pregiudizio e ignoranza. La prima attitudine vede nel grande numero delle religioni, ciascuna aspirante al riconoscimento di migliore espressione delle verità del sacro e del Mistero, la prova della falsità di tutte le religioni e quindi della convenienza di tenersi alla larga da esse. La seconda attitudine vede nel pluralismo delle religioni la ricchezza rappresentata dalla loro diversità, accolta acriticamente come gioiosa manifestazione della creatività di Dio e degli uomini. La seconda attitudine non è meno sbagliata della prima: insieme a valori positivi e a norme rituali e morali che hanno saputo strutturare la vita delle società in cui sono apparse, le religioni tradizionali contengono molti elementi radicati nell’ignoranza superstiziosa e nell’attrazione che il potere esercita sugli esseri umani. Due cose che non hanno nulla a che fare con un genuino rapporto col divino. La religione non è per forza una cosa sempre buona, in tutto e per tutto. E non è nemmeno vero che tutte le religioni sono buone e la colpa dei loro aspetti negativi ricade solo sugli affiliati, che non sanno viverle nel modo giusto. In molte dottrine e prassi religiose pre-cristiane il male è presente in modo intrinseco. Il diavolo ci ha messo la coda sin dall’inizio.
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