
Le ragioni del “no” al referendum sul taglio dei parlamentari

Diversi osservatori hanno notato la singolare tempistica con cui è stato dato in pasto ai giornali il cosiddetto scandalo dei furbetti del bonus Iva. Tra circa un mese, infatti, saremo chiamati ad esprimerci in un referendum confermativo per il quale non è previsto il raggiungimento del quorum.
Il 20 e 21 settembre, in concomitanza con le elezioni regionali, si svolgerà dunque la consultazione il cui quesito recita così:
«Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente “Modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?».
Chi vota “sì” sostiene il taglio del numero dei parlamentari, chi vota “no” è per mantenere il numero attuale. Nel dettaglio significa che i deputati alla Camera si ridurranno da 630 a 400, i senatori da 315 a 200. In percentuale significa un taglio del 36,5 per cento dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: 345 politici in meno.
Quali risparmi?
La riforma è uno dei cavalli di battaglia dei grillini che della “lotta alla casta” e ai “costi della politica” hanno sempre fatto un loro cavallo di battaglia. Da anni si parla di questo taglio e tutti i maggiori partiti si sono pronunciati a favore. Anche per il clima che c’è oggi nel Paese il risultato pare scontato con una netta vittoria del “sì”.
Se è senz’altro vero che la nostra classe politica lascia molto a desiderare, è anche vero che non è riducendone il numero che, automaticamente, si innalzerà il loro livello qualitativo. Così come irrisori sono i cosiddetti “risparmi” che un’operazione del genere comporterebbe che riguarderebbe solo gli eletti, ma non la macchina per far funzionare il parlamento.
Lo ha spiegato bene Adriano Biondi su Fanpage:
«Uno dei cavalli di battaglia dei proponenti è il risparmio dei costi per le casse dello Stato che sarebbe determinato dall’approvazione della riforma. Anche qui però le cifre sparate un po’ ovunque (Di Maio parla di 500 milioni a legislatura) non sembrano molto precise. Il senatore di Forza Italia Malan ha calcolato che il risparmio complessivo determinato dal taglio dei parlamentari sarebbe di 61 milioni l’anno, cifra simile a quella calcolata per la riforma Renzi – Boschi, stimata in 50 milioni l’anno. In effetti, la riforma non incide né sul personale, né sulle spese correnti di funzionamento delle Camere, né sui trattamenti previdenziali (almeno non nel breve termine), dunque il semplice taglio dei parlamentari determinerebbe risparmi sulla quota per indennità, spese per l’esercizio del mandato e rimborsi spese di senatori e deputati. Una cifra minima rispetto ai circa 975 milioni di costo della Camera dei deputati e ai 550 circa di costo del Senato. Questo perché la mera riduzione del numero di parlamentari non è affiancata dalla revisione dei processi e delle strutture che determinano la spesa maggiore per le casse dello Stato e non è da escludere che, per gestire una mole di lavoro maggiore e spostamenti più ampi, il costo per singolo parlamentare post riforma possa aumentare».
Va anche notato che il solo costo del referendum si aggirerà intorno ai 300 milioni di euro.
Numero deputati in rapporto alla popolazione
Esiste poi un problema che riguarda la rappresentanza. Se vincesse il “sì”, l’Italia diventerebbe il Paese all’interno dell’Unione Europea con il minor numero di deputati in rapporto alla popolazione: 0,7 ogni 100.000 abitanti, meno ancora della Spagna che attualmente ne ha 0,8 ogni 100.000 abitanti. La nostra situazione attuale (1 ogni 100.000) non è diversa da quella di altri paesi, anzi, siamo in linea con i “migliori”. In Francia e Germania, per dire, il rapporto è 0,9.
Con il taglio, al Senato, i collegi uninominali avranno una dimensione media superiore agli 800.000 elettori, alla Camera di oltre 400.000. Facile previsione: in campagna elettorale ci si concentrerà sulle aree densamente abitate, evitando di perdere tempo e risorse nelle zone meno popolose. Inoltre, come è stato notato da più parti, alcune regioni saranno fortemente penalizzate: Basilicata e Umbria perderanno oltre la metà (60 per cento) dei senatori. In genere, saranno penalizzate le regioni medio-piccole (Trentino Alto Adige, Friuli, Liguria, Marche, Abruzzo, Calabria, Sardegna).
I furbetti dell’antipolitica
Se i risparmi sono risibili ed esiste il problema della rappresentanza, almeno, come dicono alcuni, possiamo sperare che questo taglio avvii un processo che snellisca e velocizzi le procedure all’interno delle Camere? Non la pensa così Giorgio Mulè (Fi) che l’altro giorno in una lettera al Foglio ha spiegato che «le leggi non si fanno non perché i parlamentari sono tanti, ma perché non sono messi in condizione di farle». Così come il deputato Antonio Palmieri (sempre Fi, sempre in una lettera al Foglio) ha condensato in una frase la “questione politica” che sta sotto a questo referendum:
«Il taglio secco del numero dei parlamentari è solamente un misero bonus da furbetti dell’antipolitica, che non rende più efficiente la nostra democrazia, non avvicina di più i cittadini alle istituzioni né migliora la qualità della rappresentanza, proprio perché è privo di tutto il resto, cioè della riforma costituzionale delle istituzioni. Come lei sa bene, il taglio dei parlamentari da un lato è la scadente eredità del precedente governo e dall’altro è la prova d’amore chiesta dai Cinque stelle e concessa dal Pd e dal resto della sinistra per far nascere il governo Conte bis».
Foto Ansa
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