
Le fabbriche di alluminio chiudono in Europa, soppiantate da Russia e Cina

Da ottobre 2021, il mese in cui i prezzi dell’energia sono cominciati a salire vertiginosamente, la metà delle fabbriche di alluminio dell’Unione Europea ha chiuso definitivamente o ha fermato temporaneamente la produzione, per un totale di 1,1 milioni di tonnellate di alluminio prodotte in meno in un anno.
La crisi dell’alluminio nell’Ue
Aldel, l’unico produttore di alluminio primario in Olanda, ha chiuso i battenti domenica. Il principale produttore dell’Europa dell’est, Alro Slatina, ha chiuso tre linee su cinque a dicembre. A settembre, il produttore numero uno Slovacchia, Slovalco, farà la stessa fine e secondo gli esperti molte altre fabbriche interromperanno la produzione in autunno.
Per far fronte alla mancanza di alluminio, materiale strategico per un’infinità di settori, l’Unione Europea ha aumentato le importazioni di alluminio sia dalla Russia che dalla Cina. Come riportato da Reuters, tra marzo e giugno l’import di alluminio da Mosca è cresciuto del 13 per cento rispetto al 2021, per un totale di 78.207 tonnellate al mese.
L’industria europea ha dovuto fare affidamento anche sulla Cina. Tra febbraio e giugno l’import di alluminio dal Dragone è cresciuto in media del 20,07 per cento rispetto al 2021.
I rincari dell’energia e il Green Deal
La guerra del gas tra Unione Europea e Russia iniziata con l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio è soltanto una delle cause dell’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia. Già l’anno scorso, infatti, un inverno lungo e rigido aveva prosciugato gli stoccaggi dei pesi europei. A peggiorare la situazione ci sono state le minori forniture da parte di Russia e Norvegia per problemi infrastrutturali, la minore produzione da eolico a causa di un’estate poco ventosa e l’aumento di richiesta di gas da parte dell’Asia nell’ambito della ripresa dopo la pandemia di Covid-19.
Infine, ci sono le responsabilità dell’Unione Europea: il costo dei certificati verdi, i permessi inquinanti che l’Ue emette in numero sempre minore, è più che raddoppiato in un anno facendo così aumentare il costo dell’energia prodotta con i combustibili fossili. Già l’anno scorso il Financial Times scriveva che «Se la Commissione europea non agisce immediatamente, il Green Deal diventerà il simbolo dei prezzi alti dell’energia e al posto dei gilet gialli in Francia, avremo gilet dappertutto».
Mazzata per l’ambiente
La crisi dell’industria dell’alluminio – causata da questo insieme di fattori – non è drammatica soltanto per ragioni occupazionali e geopolitiche (arricchire la Russia nel bel mezzo di una guerra economica con Mosca è un autogol inspiegabile), ma anche ambientali. Se infatti la mancata produzione di 1,1 milioni di tonnellate di alluminio ha fatto risparmiare all’Unione Europea 7,4 milioni di tonnellate di CO2, la produzione equivalente in Russia e Cina ha causato un totale di 17,7 milioni di tonnellate di CO2, 10,3 milioni di tonnellate in più.
Secondo i rapporti indipendenti commissionati dalla federazione europea Aluminium Europe, la situazione peggiorerà ancora: se Bruxelles andrà avanti con le politiche previste dalla transizione verde (eliminazione delle quote gratuite nell’ambito del sistema Ets e introduzione del Cbam), «i costi per i produttori di alluminio aumenteranno da un minimo del 24 per cento fino a un massimo del 31, le importazioni di alluminio primario cresceranno del 43 per cento per una perdita di valore totale pari al 77 per cento». Ci saranno dunque danni occupazionali, economici e geopolitici enormi per l’Europa. E ambientali per il mondo intero.
«Le ambizioni dell’Europa farebbero un balzo indietro di anni o verrebbero costruite sulla dipendenza dalla Cina o dal Medio Oriente», conclude la federazione.
«Rischiamo la morte industriale dell’Europa»
Quello che sta accadendo all’industria dell’alluminio è esattamente ciò di cui parlava un anno fa Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni. «La transizione energetica sta creando la morte industriale dell’Europa», dichiarava all’Istituto affari internazionali. «L’Europa ha una Borsa per far pagare le emissioni, l’Ets. Eravamo a 20-25 euro per tonnellata, abbiamo toccato i 60 euro, arriveremo a 100 euro per tonnellata. Una raffineria in Europa perde per definizione. Per Eni sarebbe meglio chiudere tutte le raffinerie per non pagare l’Ets e comprare i prodotti all’estero. Bisogna analizzare le cose in modo competente e non ideologico e le tecnologie non devono passare per l’ideologia».
Secondo quanto dichiarato anonimamente a Euractiv da un membro della Commissione europea, «siamo assolutamente consapevoli della situazione estremamente difficile in cui versano le industrie energivore». La speranza è che Bruxelles intervenga di conseguenza ma, prosegue la fonte, è inevitabile che «nel breve periodo le importazioni dall’estero sostituiranno le forniture europee».
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