Le colonie dell’odio. Il rapporto 2012 sulla libertà religiosa nel mondo

Di Ubaldo Casotto
28 Ottobre 2012
Il fronte dell’intolleranza religiosa si espande e sfrutta canali sempre più sofisticati. Dalle rivolte per la democrazia nei paesi arabi fino ai Caschi blu in Congo.

Perché la libertà religiosa, anche di chi professa una fede diversa, sta così a cuore ai cristiani? «Perché il cristianesimo è appassionato dell’uomo», ha risposto monsignor Sante Babolin, presidente italiano di Aiuto alla Chiesa che soffre, presentando il Rapporto 2012 sulla Libertà religiosa nel mondo. «Dobbiamo illuminare la questione della libertà religiosa nel mondo – ha detto Alberto Negri, inviato del Sole 24 Ore – come fa questo rapporto: sebbene redatto da una fondazione cattolica, non si limita a denunciare le violazioni subìte dalle comunità cristiane ma fa un quadro della situazione in 196 paesi con riferimento alla condizione dei fedeli di ogni credo». Con loro, martedì scorso, 16 ottobre, a Roma, nella sede della Stampa estera, c’erano Francesco Greco, ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Christine du Coudray Wiehe, responsabile Acs per l’Africa, l’islamologo gesuita padre Samir Khalil Samir e John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council.

Rispetto all’ultimo rapporto del 2010 sono due le novità. La prima, Aiuto alla Chiesa che soffre è diventata una fondazione di diritto pontificio. La seconda, nei paesi del Nord Africa c’è stata la cosiddetta primavera araba. La prima dice dell’interesse della Chiesa per la libertà religiosa e di Benedetto XVI, che l’ha definita «un’acquisizione di civiltà politica e giuridica» che «tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona gode di uno statuto speciale». Infatti, «quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli». Quando è negata «si offende la dignità umana e si minacciano la giustizia e la pace».

Della seconda e delle sue conseguenze ha parlato padre Samir. Lo studioso egiziano ha detto che «la primavera araba ha destato una grande speranza, un movimento popolare e giovanile nato per rovesciare le dittature. In Tunisia come in Egitto. Si trattava di un movimento laico, di cristiani e islamici, i Fratelli Musulmani sono arrivati in piazza Tahrir dopo molte settimane, e gli estremisti salafiti dopo ancora». Poi «è apparsa la realtà, sino al caso più tragico: la Siria». La preoccupazione di Samir è che regimi certamente dittatoriali, ma che permettevano l’esistenza delle minoranze religiose siano ora sostituiti da regimi fondamentalisti. «I cristiani – ha detto – chiedono l’uguaglianza con gli altri e il rispetto della loro fede. Ed è quanto promesso dai nuovi governi. Nessuno però si fida. Stiamo prendendo una direzione pericolosa e rischiamo di tornare a un’epoca che ormai non conoscevamo più: quella del fanatismo religioso». La situazione peggiore per i cristiani è in Arabia Saudita, ha ricordato padre Samir, dove «più di due milioni di cristiani, in maggioranza cattolici, soprattutto lavoratori stranieri, non possono neanche radunarsi nelle case private per pregare». Purtroppo, ha aggiunto, quello che sembrava un caso estremo sta facendo scuola anche negli altri paesi musulmani «e va espandendosi».

Proselitismo immobiliare
Dell’espansione dell’islam “arabo” nel continente africano ha parlato Christine du Coudray Wiehe, documentando «il timore di molti vescovi per l’evoluzione di un islamismo di stampo jihadista» in paesi dove l’islam tradizionale aveva un volto più moderato. Du Coudray ha parlato di una «arabizzazione dello stile di vita, come se per essere musulmani si debba essere culturalmente arabi». Ha quindi passato in rassegna la situazione di vari paesi. Che la colonizzazione islamista non sia un fatto spontaneo, ma risponda a piani di potere religioso e politico è dimostrato, per la Du Coudray, dai casi del Congo e del Ciad. In Congo, ha denunciato, «la presenza dell’Onu è sinonimo di costruzione di moschee. I Caschi blu provengono solo da paesi islamici e sono lo strumento, anche economico, della diffusione dell’islam più radicale». In Ciad, nei territori a maggioranza cristiana, vengono costruite moschee dove non ci sono fedeli. La spiegazione? «Convertiamo il suolo aspettando la conversione degli uomini».

L’intervento della Du Coudray è culminato con il caso della Nigeria, diventata il «simbolo della violenza fondamentalista nel continente». Qui la setta dei Boko Haram ha compiuto numerosi attacchi a istituzioni e chiese, col dichiarato obiettivo di cancellare la presenza cristiana. Nonostante gli attacchi, ha concluso la Du Coudray, «la Chiesa in Africa è attore principale del dialogo interreligioso e non smette di promuovere la formazione dei giovani: fattore cruciale per estirpare l’odio e le tensioni».

India, i pogrom dimenticati
Particolarmente drammatica è stata la testimonianza dell’indiano John Dayal: «Parlate giustamente – ha detto – della radicalizzazione dell’islam, ma in India si sono radicalizzati anche indù e buddisti, e noi cristiani siamo le prime vittime di queste radicalizzazioni». La lista delle violenze anticristiane commesse dai nazionalisti indù è lunghissima: 170 attacchi gravi nel 2011. «In Stati come Karnataka, Rajasthan, Gujarat, Madhya Pradesh and Chhattisgarh vengono commesse ogni anno circa mille violenze contro i cristiani», ha spiegato Dayal. «Forse vi siete già dimenticati dell’Orissa: 5.300 chiese distrutte, 56 mila persone scappate dai loro villaggi per salvarsi». In sette stati, tra cui l’Orissa, prosegue l’applicazione delle cosiddette leggi anticonversione. «Ironicamente chiamate Freedom of Religion Act – ha detto Dayal – queste norme violano la libertà religiosa garantita dalla Costituzione e sono usate per colpire e intimidire chiunque voglia convertirsi dall’induismo a un’altra religione». Infine, la mancata giustizia per i pogrom del 2008 nel distretto di Kandhamal, sempre in Orissa. «Il più devastante attacco alla comunità cristiana degli ultimi tre secoli. È stata emessa una sola condanna su trenta accuse di omicidio. Tutte le altre sono state lasciate cadere».

Lapidario il commento di Francesco Greco: «La situazione è peggiorata, il numero dei paesi a rischio è aumentato, le comunità religiose più colpite sono quelle cristiane». L’appiglio di speranza cui si aggrappa l’ambasciatore è che «nel contempo è aumentata anche la consapevolezza di governi e istituzioni che hanno iniziato a dotarsi di strumenti più adeguati», coscienti che la difesa della libertà religiosa non è solo una questione di diritti e valori, ma anche «un interesse delle nazioni», perché da essa dipende «la stabilità e la pace». Pensate a cosa potrebbe succedere, ha esemplificato Dayal, se due paesi dotati di armi atomiche come il Pakistan e l’India, già in tensione fra loro, finissero definitivamente in mano ai fondamentalisti.

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