
Le “altre Taranto” individuate dallo studio Sentieri
Non solo Taranto. Secondo lo studio Sentieri, eseguito dall’Istituto superiore di sanità (il più completo studio epidemiologico per valutare i rischi sulla salute) sono 57 i siti italiani inclusi nel Programma nazionale di bonifica. Sono 44 quelli analizzati nel report e si tratta di aree industriali dismesse, in corso di riconversione, o in attività, oppure di aree oggetto di incidenti in passato o di smaltimento più o meno abusivo di rifiuti. In queste zone vive circa il 10 per cento di tutta la popolazione italiana: sono aree metropolitane, come ad esempio Napoli (e provincia) e Milano, o della provincia italiana nella quale sono presenti i più grandi insediamenti industriali della zona italiana (e si va dalla zona di Casale Monferrato, con i suoi 48 comuni, che è stata sede della Eternit, a Gela, 72 mila abitanti a ridosso del sito petrolchimico). Lo studio Sentieri, pur segnalando i gravi eccessi di mortalità nella popolazione di questi luoghi, indica tutti gli elementi che rendono complesse valutazioni sanitarie (e bonifiche) nel difficile lavoro di districare, tra le reali cause delle malattie, altri fattori relativi alla qualità della vita (lavoro, fumo, alimentazione) che non dipendono dall’inquinamento ambientale.
LE RESPONSABILITA’. Nell’introduzione di Sentieri si legge: «È il principio comunitario “chi inquina paga” a guidare la bonifica dei siti contaminati. L’onere della caratterizzazione, della valutazione del rischio e della bonifica è pertanto a carico del soggetto inquinatore». Già in queste poche righe si potrebbe riassumere la difficoltà che oggi vive una città come Taranto, dove la Italsider è attiva dal 1961, ma solo dal ’95 appartiene all’attuale proprietà (Gruppo Riva), responsabile dunque delle bonifiche. Nel caso tarantino, come in moltissimi altri, elementi come questo hanno causato per decenni il rimbalzo delle responsabilità. Continua il rapporto: «Uno dei problemi maggiori è costituito dalla difficoltà di indivuazione del soggetto responsabile, in quanto in linea generale la contaminazione dei siti è ascrivibile a fenomeni molto complessi, avvenuti prevalentemente all’inizio del grande processo italiano di industrializzazione (anni ’50 e ’60), quando non vi erano specifiche normative di protezione ambientale e ancor meno di gestione dei rifiuti/scorie di produzione». Una delle difficoltà più segnalate dallo studio è l’assenza, in molte zone, di precedenti studi epidemiologici a livello locale, che permettessero di monitorare al meglio i drammatici fenomeni. Lo studio si addentra nel segnalare eventuali eccessi di mortalità dovute all’inquinamento, ma non quantifica il numero esatto di casi attribuibile al fattore ambientale.
IL CASO CAMPANIA. Tra Napoli e Caserta, non è la presenza di stabilimenti industriali a determinare l’aumento della mortalità: basta quella dei rifiuti, comprese le discariche illegali della zona. Nell’area del litorale vesuviano, che comprende Napoli e la provincia (462 mila abitanti), l’Iss ha evidenziato sia un aumento sia un tasso eccessivo di mortalità per tumori al fegato e per le malattie all’apparato digerente e genitourinario, causate dalla vicinanza a discariche, quanto meno a quelle legali. Tra i comuni più toccati ci sono ad esempio Torre Annunziata e Torre del Greco. Per quanto riguarda i casi di tumore alla pleura e al polmone, lo studio segnala la presenza in zona di amianto, indica tra le ragionevoli cause l’occupazione (in aziende o luoghi dove si lavorava il materiale), ma non esclude «il coinvolgimento della componente ambientale» (la possibilità di aver contratto le malattie per esempio respirando aria contaminata). Più allarmante la situazione nel Litorale domizio e nell’agro aversano, 77 comuni tra Caserta e Napoli, con 1 milione 300 mila abitanti: Sentieri evidenzia i chiari rischi causati dalle numerose discariche di rifiuti illegali e pericolosi, e che l’esposizione a questi siti è tra le cause principali dell’eccesso di mortalità per tumore al fegato, diabete mellito e cirrosi nella popolazione. Sono stati riscontrati eccessi di malformazione alla nascita in neonati (fortunamente non tassi superiori alla media per mortalità infantile) dovute all’esposizione da rifiuti pericolosi.
IL CASO ETERNIT. Sono 48 i comuni compresi nel sito di Casale Monferrato, che è stato fino al 1986 la sede del più grande stabilimento della Eternit e, secondo la celebre sentenza che in primo grado ha condannato i vertici della multizionali, che ha contato 1.500 morti per amianto nei decenni di attività della fabbrica. Attualmente, secondo Sentieri, il sito conta tra Casale e comuni limitrofi una popolazione di 85 mila abitanti, e sicuramente, si legge nello studio «si osservano eccessi per il tumore polmonare negli uomini, e per entrambi i generi per il tumore pleurico».
Secondo studi passati, la residenza nella zona tra il 1987 e il 1993, cioè subito dopo la chiusura dello stabilimento «è risultata associata ad un elevato rischio, come pure la convivenza con lavoratoi dell’azienda che produceva cemento-amianto». Purtroppo gli esiti dell’esposizione sono visibili anche dopo molti anni, per cui secondo Sentieri, oggi la causa dei tumori alla pleura in eccesso è «ascrivibile all’esposizione all’amianto», quella di tumore ai polmoni «può avere una componente occupazionale (amianto)» anche se «il fumo di sigaretta ha un ruolo importante per l’insorgenza del tumore polmonare», mentre per fortuna «non si osservano eccessi nella mortalità per malattie dell’apparato respiratorio, dato che riduce l’importante dell’inquinamento dell’aria».
SICILIA. Sentieri rivela tra i casi più gravi due storie poco conosciute dai mass media, eppure ben più drammatiche, negli esiti di quella di Taranto. Una è quella di Biancavilla (Ct), comune in provincia di Catania (22 mila abitanti), dove si è scoperto che la cava mineraria di materiale lapideo sia contaminata da una fibra simile all’amianto. Secondo lo studio questo ha causato la diffusione di tumori, studiati solo in epoca recente: in particolare sono stati segnalati gli eccessi di mortalità per tumore alla pleura (di solito dovuti proprio all’amianto), e di «mortalità per patologie croniche nell’apparato respiratorio, e dell’apparato cardiocircolatorio».
Anche Gela (72 mila abitanti), sede di uno stabilimento petrolchimico, vede «l’eccesso di tumori polmonari tra uomini e donne, tra gli uomini sono in eccesso anche il tumore dello stomaco e l’asma, tra le donne il tumore del colon retto e dell’asma». Riguardo alle cause, si conclude che «gli studi analitici convergono nell’indicare come più verosimile causa il risultato di esposizioni residenziali», tanto da rendere urgenti l’identificazione «delle sorgenti di esposizione ambientale in via di esposizione della popolazione tutt’oggi persistenti e in particolare il contributo alle emissioni dell’area petrolchimica», e «lo sviluppo di adeguate strategie di riduzione dell’esposizione».
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