
Gli impieghi in Italia ci sarebbero. Ma la scuola sforna troppi pensatori e pochi lavoratori
In Svezia il 40 per cento degli adolescenti si aspetta, uno volta cresciuto, di svolgere un lavoro manuale. Questo accadrà per il 42 per cento di loro. Solo il 2 per cento, pertanto, svolgerà mansioni di questo tipo senza saperlo già oggi. In Italia, invece, il 48 per cento degli adolescenti svolgerà una professione manuale, ma solo il 5 per cento dichiara di prevederlo oggi. Ciò significa che il 43 per cento dei nostri ragazzi sta studiando e acquisendo competenze per un mestiere che, domani, non farà mai. È il dato offerto dall’Eurobarometro e recentemente ricordato in un incontro dal giuslavorista Pietro Ichino, che da un po’ di tempo sta girando nei licei e nelle scuole d’Italia per «spiegare il lavoro ai ragazzi». Così, infatti, si intitola il suo libro (Il lavoro spiegato ai ragazzi, edito da Mondadori).
STUDIARE PER NIENTE. Quello ricordato da Ichino è un dato che basta da solo a dimostrare il disallineamento che tuttora c’è in Italia tra domanda di lavoro e offerta formativa, oltreché il difetto, gravissimo, da parte degli enti preposti all’orientamento scolastico e professionale, nell’informare oggi gli alunni sulla situazione del mercato. Con lo spiacevole risultato che, una volta che i ragazzi avranno acquisito competenze destinate a rivelarsi inutili, a trovare lavoro saranno soltanto quelli che – almeno – possono fare affidamento su una rete amicale. Una fortuna, però, che non sempre è alla portata di tutti. Con la conseguenza che c’è chi rischia di rimanere intrappolato tra una formazione sbagliata e un mercato del lavoro sempre più lontano. Senza la possibilità di andare avanti né, tantomeno, di tornare indietro. È anche per questo, come ha ricordato Dario Odifreddi a tempi.it, che bisogna salvare la formazione professionale: «Da 30 anni siamo ammalati di liceo».
OLTRE 100 MILA POSTI SCOPERTI. E sì che i posti di lavoro non mancano affatto. Stando a quanto dichiarato dalla Cgia di Mestre, infatti, 42.250 posizioni sono rimaste scoperte: si tratta di 5 mila posti da commesso non coperti, 2.300 come cameriere, 1.800 tra parrucchieri ed estetiste, 1.400 tra informatici e telematici, 1.270 contabili, 1.250 elettricisti e altrettanti meccanici di auto, 1.100 tecnici della vendita e un migliaio ancora di idraulici e altrettanti baristi. Impieghi, appunto, per i quali non serve una laurea in lettere o in scienze politiche, ma un altro tipo di preparazione. E c’è anche chi vede numeri ancora più alti: è Unioncamere che parla di 117 mila «scoperture», così ripartite:
- 26% nell’industria (operai, macellai, tecnici informatici, ecc…)
- 16% nelle costruzioni (elettricisti, idraulici, posatori di materiali speciali)
- 14% nel commercio (shop manager, addetti vendite specializzati, informatici)
- 11% nell’alloggio e ristorazione (cuochi, servizi alberghieri, accoglienza e intrattenimento)
- 7% nella sanità (infermieri, ausiliari, specialisti nello smaltimento)
- 6% nel trasporto e logistica (esperti della conservazione degli alimenti, tecnici, marketing)
- 3% nell’informazione e comunicazioni (ingegneri, gestori web, grafici web, designer)
- 2% nel credito, finanza e assicurazioni (consulenti previdenziali, recupero crediti, promotori)
- 15% altro (falegnami, ebanisti, panificatori, meccanici, ecc…)
QUALE CORSO DI LAUREA? Un settore particolarmente colpito dal disallineamento tra domanda di lavoro e offerta formativa è la formazione universitaria, come ben dimostra il grafico seguente sui laureati per cui c’è ancora richiesta in eccesso, come gli ingegneri, e quei corsi di laurea che invece hanno prodotto troppi dottori, più della richiesta del mercato, che sempre più difficilmente troveranno un impiego, soprattutto coerente con il loro percorso di studi:
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15 commenti
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Signori non siamo ipocriti, in Italia (e guardate che all’estero, ci considerano veramente MALE, perchè fanno esattamente il contrario e le loro economie sono sempre migliori delle nostre, anche durante i tempi d’oro), dove c’è veramente bisogno di una qualifica Universitaria di studi profondi, difficili duri (ma che veramente credete che studiare è una passeggiata o basta essere autodidatti????), ci si mette chi ha la terza media, oppure invece che il botanico a gestire un parco, una giardino storico ci mettono l’amico architetto che non sa distinguere un palo della luce elettrica da un cipresso, perché non è la sua formazione, solo perché nei suoi progetti mette le rose in un punto, come metterebbe una lampada in una stanza per l’arredamento d’interni, non sapendo, perché ripeto non lo sa, di quale tipo di terreno necessitano le rose, in quale posizione devono essere messe, oppure un veterinario che nella sua vita ha visto solo cani (barboncini, carlini) o gatti, a fare il presidente di uno zoo perché parente dell’ex sindaco di Roma oggi indagato, anziché uno zoologo!
Poi i lavori manuali, che i laureati cercano perché li cercano, spesso fanno lavoro manuale mentre studiano, ci mettono i rumeni, i pakistani gli indiani, ecc, ma dai siamo seri, nei cimiteri, nei giardini nel verde pubblico sono tutti rumeni, con quel modo fastidioso che hanno di pronunciare l’Italiano e intanto le loro famiglie crescono, mangiano, li vedi girare con i SUV; certo perché un laureato in botanica ha così grossi problemi a potare quattro siepi, ma siamo seri per favore! l’Italia è marcia nelle sue fondamenta, da sempre è terra di conquista, qui i marocchini e gli egiziani che aprono le frutterie, i cinesi i negozi “vendo tutto” per 5 anni non pagano tasse, mentre a noi qualsiasi governo, compreso Renzi di qualsiasi colore anche i 5 stelle sono buffoni anche loro, ci spolpano e dobbiamo pure sorridere e dire grazie.
IO ODIO l’ITALIA oltre la sua classe politica!
Se un posto di macellaio lo può avere un rumeno che beve come una spugna e, ha fatto il muratore per tutta la vita, perché non lo può avere un laureato se ne ha bisogno? I corsi esistono solo quando vi fa comodo e poi i lavori dei laureati, sono sempre stati considerati non lavori in Italia, mentre all’estero ci basano l’intera economia e infatti stanno sempre meglio di noi, ci sarà un MOTIVO?
sembra che dei posti di lavoro ci siano, sarà vero ?
Sono sorpreso dall’incapacità di arrivare il punto che ci contraddistingue; se esselnuga ha bisogno di un macellaio cerca un macellaio, non può cercare un biologo o un architetto sig. cisco, a meno che l’architetto non impari a fare il macellaio. Questo bell’articolo non dice che non servono architetti, dice che servono statistici e che per fare analisi statistiche devi avere quelle competenze. Non ci sono giri di parole da fare o interpretazioni particolari, occorre una scuola che orienti e un’università che formi, ma soprattutto pensare che esiste un collegamento tra quello che studierai e il lavoro; in questo c’entra anche la famiglia e gli amici.
Detto questo, credo che il problema sia che per certi genitori sono rimasti negli anni ’50 in cui il problema era far diventare il figlio “dottò” e riscattare le proprie fatiche. Il sogno di ogni mamma non è forse il figliolo laureato?che poi rimanga a casa per dieci anni non è un problema…
è anche vero che come non possiamo fare tutti i manager, non possiamo nemmeno fare tutti i parrucchieri, e che c’è tanta disoccupazione anche fra gli operai famosi, quelli che usano le mani e di idrauliche femmine ce ne sono un po’ poche visto che un po’ di forza ce la devi avere, no?
poi però quando un laureato che sa tre lingue e ha già lavorato chiede di fare il cameriere o la receptionist o la centrlinista, NON TI CHIAMERANNO MAI SE SANNO CHE HAI LA LAUREA!
a detta di un recruiter: il lavoro che devi fare è talmente semplice da essere stupido…poi però non ti prendono perchè sei troppo formato. ma se le cose le so a te che ti frega????????
E poi a guardare la nostra classe dirigente, direi che se qualcuno avesse studiato un po’ di più scienze politiche non ci avrebbe rimesso nulla e forse ne avremmo guadagnato tutti.
bell’articolo, sono piuttosto d’accordo con tutto.
perché non creano due scuole separate? una per chi deve fare esclusivamente cultura e non ha bisogno di lavorare e una di preparazione per il mondo del lavoro. non parlo di scuole di serie a o di serie b ma di scuole rivolte a chi dovrà solo studiare nella vita e chi invece vuole poter lavorare
Articolo interessante, come il precedente sullo stesso tema… Le cose purtroppo non cambieranno finché i nostri insegnanti delle scuole medie inferiori sosterranno che è intelligente solo chi frequenta i licei e che, per converso, chi si iscrive agli istituti professionali e alle scuole professionali è un ignorante.
Mi è capitato di sentirlo personalmente, e mi è stato detto in faccia…
Come ho già scritto commentando un articolo sullo stesso argomento, il pasticcio cominciò nella prima metà degli anni ’60 del secolo scorso, quando la demagogia e la sottomissione ad un’ideologia egualitaristica dei governanti d’allora ci regalò la scuola media unica, abolendo quelle scuole d’avviamento, che formavano bravissimi tecnici, analisti e computisti, che – lo dico per esperienza, ne ho avuto uno come collaboratore – molto spesso ne sapevano di più dei periti, geometri e ragionieri, diplomatisi dopo che un’analoga demagogia ideologica aveva sostituito i diplomi d’abilitazione professionale con una generica “maturità”. A mio modesto parere, la china potrebbe essere risalita cominciando a comprendere che il dettato costituzionale “scuola obbligatoria e gratuita” non significa necessariamente “scuola unica”, e ricominciare a differenziare.
Aggiungo che l’obbligo scolastico portato ai 16 anni (alla fine del II anno delle superiori di secondo grado) riempie gli istituti professionali di ragazzi che sono a scuola solo perché costretti, tanto che per una seria formazione professionale bisogna aspettare il terzo dei cinque anni, perdendone di fatto due.
E qui la questione è di mentalità, è l’idea che “scuola obbligatoria” significhi “scuola che si fa per forza”, “perché costretti”, non “per imparare qualcosa”. Quando frequentai la vecchia scuola media, negli anni 1956-59, invece, mi piaceva imparare il latino, e così capire che cosa diceva il prete durante la Messa, e che cosa c’era scritto sul basamento della Madonna dello Stellario, la colonna dell’Immacolata vicina a casa mia a Lucca. Allo stesso modo, studiando la matematica di quella scuola, mi piaceva un sacco imparare ad usare i processi logici mentali, necessari a risolvere quei relativamente semplici problemi di geometria. Ecco che cosa la scuola dovrebbe, prima di tutto, insegnare ai ragazzi: il gusto di imparare, e in qualche modo anche scoprire da soli, cose nuove. E questo, si badi bene, non vuol dire far diventare tutti dei ricercatori scientifici, come sono stato io finché il CNR non mi ha messo in pensione per raggiunti limiti d’età: anche un cuoco, se vuol essere veramente un bravo cuoco, dev’essere capace d’inventare nuove ricette di cucina… senza avvelenare nessuno!
Grazie a tutti per aver risposto con le vostre interessanti osservazioni.
Credo che troppe scuole si ostinino ad insegnare un “sapere” piuttosto che un “saper fare”.
Pensate che negli anni 2000 ad un corso di ragionieri programmatori si insegnava ancora il COBOL, mentre nulla di linguaggi come C++, Java, HTML, e della redazione di pagine web…
Bellissimo articolo,
voglio dire che molte volte la colpa non è dei ragazzi ma è di noi genitori che non pensiamo al loro destino ,perchè vogliamo che i nostri figli siano i numeri uno e non che siano contenti e soddisfatti della vita.
Vivendo in lombardia, esistono molte realtà , scuole che ti preparano al lavoro anche grazie all’investimento di privati quindi la scelta, per i nostri figli è più possibile che in altre regioni , anche grazie alla giunta Formigoni che della libertà di scelta aveva fatto un suo cavallo di battaglia.
Comunque il sistema scolastico Svedese è quello che ti lascia più libertà di scelta, infatti i risultati si vedono.