L’atroce urgenza della Spagna di dare un taglio a inizio e fine vita

Aborto a 16 anni senza il consenso dei genitori, eutanasia anche per i malati mentali: nel grande “utero statale” non c’è posto per legami e cura, radici e fronde. Solo per “prestazioni” di morte che liberino la società dall’inutile zavorra

Non si può parlare di piano inclinato in Spagna, la scena è già quella di un precipizio. Si preme sull’acceleratore della morte, con due zampate che somigliano all’allargarsi di un abbraccio. Le notizie sono due: martedì 18 giugno la sessione plenaria della Corte costituzionale spagnola ha approvato la riforma della legge sull’aborto, consentendo alle ragazze di 16 e 17 anni di interrompere la gravidanza senza il consenso dei genitori; recentemente, poi, il ministero della Salute del governo spagnolo è intervenuto sul Manuale di buone pratiche per l’eutanasia per includere le malattie mentali tra le patologie che giustificano il ricorso alla dolce morte.

La cornice è quella «di più», di una sottrazione truccata da addizione di diritti e da moltiplicazione di libertà. Inoltre, accelerazione è una parola chiave.

Spagna con l’acceleratore su eutanasia e aborto

Un secolo fa il buon Chesterton diede una dritta per smascherare una bugia raccontata benissimo. Tante campane ci vendono l’idea che quando i processi e gli eventi aumentano di velocità è perché il progresso sta marciando bene e il mondo migliora. In realtà, proprio l’accelerazione può essere segno di qualcosa che sta per spegnersi e, allora, spara gli ultimi botti a raffica. Alle sagre paesane, quando i fuochi d’artificio scoppiettano all’impazzata vuol dire che lo spettacolo è al termine. E pensiamo a come sono frenetici i bambini piccoli quando sono stanchissimi eppure non vogliono addormentarsi. Schizzano e urlano da tutte le parti, poi all’improvviso crollano.

Ecco, le campane che suonano la carica sull’accelerazione di certi progressi sono campane che suonano a morto. Un’eco molto rumorosa arriva dalla Spagna. Ma la tendenza all’accelerazione implicata nelle notizie citate ha anche qualcosa che ricorda certi gesti che facciamo guardando le serie tv. Clicchiamo sempre sul tasto «salta l’intro» e stoppiamo i titoli di coda. La fase che precede l’inizio della storia e le informazioni accessorie all’epilogo sono solo zavorra. Il triste spoiler è che, proprio su inizio e fine vita, i registi delle sorti umane tendono a far credere al protagonista che il copione lo valorizzi in una trama di avventure e libertà, quando invece la storia vira su una potatura ad ampio spettro di radici e di fronde.

Abortire a 16 anni senza pensieri (e genitori)

«Salta l’intro», dunque. Respingendo il ricorso del partito Vox , la Corte costituzionale spagnola ha stabilito che non è necessario il consenso dei genitori per le ragazze di 16 e 17 anni che vogliono abortire. Accanto a questo dato ci sono due corollari importanti: «Il testo prevede la creazione di un registro degli obiettori di coscienza per il personale sanitario ed elimina l’obbligo di informare le donne sulle prestazioni e gli aiuti per il sostegno alla maternità e anche il periodo di riflessione di tre giorni» (Agi).

Si salta l’introduzione ai legami esistenti che parlano la lingua dell’appartenere e dell’accogliere. Si taglia fuori la famiglia, si tagliano le informazioni sul sostegno comunitario, si taglia il tempo di riflessione. E, a forza di recidere, non si toglie solo la vita dentro l’utero, si toglie molta vita anche alla ragazza con un ingombro nel ventre. Le si sta dicendo: sei sola, non ci sono risorse attorno a te, non fermarti a pensare. La famiglia? Solo una voce mummificata di cui possiamo strappare le ragnatele appiccicose. La comunità umana? Ti lascia in pace, vai tranquilla. Sbrigati che hai altro da fare, passa oltre questo ricovero in day hospital. Nota bene: la legge spagnola sull’aborto insiste nel valorizzare gli ospedali pubblici come perno del sistema. Tolto il legame con madre e padre, resta questo grande utero statale con sale d’attesa in cui si attende sempre meno e da cui velocemente si esce, rinviando il travaglio interiore a data da destinarsi.

La protesta delle femen davanti a un’associazione “pro-vita” a Madrid (Ansa)

Eutanasia per le malattie mentali

La stessa urgenza di darci un taglio emerge sul fine vita. Quando la trama dei giorni sprofonda nel lugubre trascinarsi del patire, stop ai titoli di coda.

In Spagna la legge sull’eutanasia (Ley Orgánica de Regulación de la Eutanasia, LORE) è in vigore dal giugno 2021. Accanto a essa esiste un Manuale di buone pratiche di eutanasia su cui il ministero della Salute è recentemente intervenuto per precisare un aspetto della legge. Secondo Diario Médico, che ha avuto accesso alla bozza, la modifica specificherebbe che la LORE «non esclude la malattia mentale, consentendo alle persone con una sofferenza insopportabile dovuta alla presenza di una malattia mentale di richiedere la PAM [aiuto a morire] a parità di condizioni con coloro la cui sofferenza deriva da una malattia del corpo». Non esclude, quindi allarga, amplia, spalanca le braccia.

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Così autistici e bipolari saranno aiutati. A morire

Vale la pena riprendere un commento di Assuntina Morresi in cui nota «un’importante “pulizia” lessicale, quindi, nei più recenti testi legislativi, funzionale a eliminare parole connotate negativamente, sostituendole con espressioni più rassicuranti, associate all’assistenza e alla cura, in senso positivo» (da Avvenire). Sempre la Morresi fa notare l’uso allargato della parola «prestazione»: «Come in Canada e in Australia, quindi, anche in Spagna la tradizionale distinzione fra eutanasia e suicidio assistito viene eliminata, sottolineando il nucleo centrale: morire su richiesta. Ma soprattutto la legge spagnola utilizza un termine tipico dei trattamenti effettuati da un professionista sanitario: “prestazione”, dove il trattamento è l’“aiuto a morire”».

L’accesso all’eutanasia, dunque, si estenderebbe a persone affette da autismo, disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), schizofrenia e a coloro che sono bipolari (da CNA). Dalla bozza di modifica sono escluse tutte le persone che presentano «sintomi lievi o moderati di depressione o ansia», poiché queste condizioni sono «suscettibili di trattamento e miglioramento». Ma, conoscendo il precipizio, c’è il forte sospetto che il “non esclude” sarà sempre più generosamente allargato.

Manifestazione a sostegno dell’eutanasia in Spagna (Ansa)

Morire in fretta e in orario di lavoro

Un altro aspetto su cui si preme per ulteriori modifiche è proprio l’accelerazione dei tempi. Nel suo rapporto di valutazione sui tre anni di applicazione della legge sull’eutanasia in Spagna, l’associazione Dmd (Diritto a morire con dignità) critica la durata eccessiva della procedura di aiuto a morire. E si adduce come aggravante di questa lentezza una motivazione che, se non fosse drammatica, estorcerebbe un amaro riso: sono 32 i richiedenti che non hanno potuto completare l’eutanasia perché morti prima. Attenzione, la morte può sopraggiungere naturalmente prima dei tempi impiegati a consentire al paziente di infliggersela, ergo: velocizzate l’iter.

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Nonostante tutta questa fretta di chiudere il sipario, soffermiamoci altri due secondi sui titoli di coda. Un dato che spicca nei rapporti del ministero della Salute sull’applicazione della legge sull’eutanasia è il profilo del personale sanitario che attua la procedura: si è osservata una predominanza dei medici di famiglia (57,33%). «I pazienti sono soliti rivolgersi ai medici di famiglia per chiedere l’eutanasia, quindi queste sono figure chiave. Il loro ruolo è cruciale, tenuto conto che la legge limita il coordinamento del processo ai medici, anche se nella pratica il personale infermieristico e gli altri professionisti collaborano strettamente. Per questi motivi, di fronte alle testimonianze di medici che hanno dovuto gestire richieste di eutanasia fuori dall’orario di lavoro, alcune Commissioni di Garanzia e Valutazione, come quella della Catalogna, nel loro primo rapporto, chiedono alle istituzioni sanitarie di “concedere tempo e flessibilità e dare sostegno a queste figure professionali a beneficio dell’esercizio di un elevato livello di diritti dei cittadini”» (dal Primo rapporto ufficiale sull’eutanasia in Spagna: un confronto con le esperienze canadese e neozelandese, pubblicato su Medicina Clinica, novembre 2023).

L’eutanasia ammala i medici

Quello che invece si tende a conclamare meno è il disagio mentale ed emotivo che cresce nei medici che praticano l’eutanasia. Uno studio realizzato dalla Gaceta Sanitaria documenta che aumentano le tensioni, difficoltà e fonti di disagio del personale medico in tutte le fasi in cui interviene nel processo di valutazione, confronto e poi espletamento della dolce morte.

A voler marcare esageratamente le tinte fosche della scena, si potrebbe dedurne un corto circuito da far impallidire Orwell: ci si affretta ad allargare le maglie dell’eutanasia per offrire una prestazione di morte ai pazienti affetti da disturbi mentali e si finisce a doverla offrire anche ai medici a cui sorge un disturbo mentale dopo aver effettuato la prestazione.

Foto di Malvestida su Unsplash

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