L’arte di imparare un mestiere

Di Fabio Cavallari
19 Aprile 2011
Il leader di Confartigianato Guerrini denuncia: «Dobbiamo restituire un valore positivo all’impresa come creatrice di ricchezza e benessere»

«In questi anni nel nostro paese è stato massacrato il concetto di lavoro manuale. Ha spopolato l’idea che si potesse vivere scrivendo quattro righe su un foglio o facendo girare dei numeri. È stata un’illusione che oggi si sta palesando drammaticamente. Gli ultimi dati Istat rilevano una disoccupazione giovanile che si aggira attorno al 30 per cento. Ai nostri giovani dobbiamo spiegare che il lavoro è sudore, fatica e impegno. Serve una rivoluzione culturale, altrimenti siamo destinati a diventare un paese di serie B, che non cresce in termini economici, produttivi e di benessere generale».

A parlare così è Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato, confederazione che raccoglie più di settecentomila aziende artigiane e che, proprio in questa situazione è costretta a vivere un paradosso: nonostante l’alto numero di giovani, tra i 15 e 24 anni, che si ritrovano senza lavoro, esistono circa 150 mila posti disponibili che non trovano persone disposte ad occuparli. Figure professionali che un tempo rappresentavano il fiore all’occhiello della nostra penisola come cuochi, meccanici, parrucchieri, baristi e idraulici. «Oggi – continua Giorgio Guerrini – quando in una famiglia un giovane va a fare l’apprendista in una falegnameria, esiste quasi un pudore nel dichiararlo, quasi fosse una vergogna. Questo è un errore madornale in termini culturali. Non solo perché un giovane apprendista guadagna molto di più di un operatore nei call center e l’85 per cento dei contratti si trasformano, dopo tre anni, in occupazione a tempo indeterminato, ma perché imparare una professione, un mestiere apre sviluppi incredibili per il futuro. Questa è la storia della nostra nazione, di un popolo di lavoratori che dopo aver appreso un lavoro sono diventati imprenditori».

«Questo meccanismo virtuoso negli ultimi anni si è bloccato. Oggi noi abbiamo il compito e il dovere di far ripartire questo processo. Bisogna sanare il gap creatosi tra scuola e mondo del lavoro, ricollegare la formazione scolastica con la realtà dell’impresa e coprire così il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Questo vulnus può essere recuperato e riempito attraverso una cultura diversa da quella che ha condizionato l’impostazione dei percorsi scolastici di questo paese. Cultura che per molti anni ha inteso il ruolo dell’impresa e dell’imprenditore come un nemico da combattere. In verità se non si restituisce un valore positivo all’impresa come creatrice di ricchezza e benessere, non si va da alcuna parte. Il nostro è un paese manifatturiero, e le nostre imprese hanno retto al cospetto della crisi degli ultimi due anni. Per ridare slancio anche ai tanti imprenditori che hanno continuato ad investire e a mantenere inalterati i livelli occupazionali, è necessario riportare al centro della discussione il lavoro quello vero, fatto di manualità e magari anche di fatica e sudore».

Le piccole e medie imprese, spina dorsale del tessuto produttivo italiano, oggi soffrono i postumi di una sbronza “qualunquista”, per cui per anni si è fatto credere ai giovani che potevano prepararsi come volevano e poi un modo per inserirsi nel mondo del lavoro l’avrebbero trovato. Ebbene, questo meccanismo oggi si è inceppato. E non solo per la crisi, ma perché non tiene conto delle differenti realtà territoriali, del tessuto imprenditoriale del paese nel suo complesso e delle esigenze delle aziende.

Riprende infatti Guerrini: «È necessario illustrare ai giovani le reali necessità occupazionali del nostro paese. Non servono milioni di laureati in scienze delle comunicazioni, oggi abbiamo bisogno di infermieri, operatori sanitari! Per questo motivo è importantissimo l’orientamento cioè offrire ai nostri ragazzi e alle loro famiglie un quadro chiaro del mercato del lavoro, come del resto sostenere e rilanciare il contratto di apprendistato e prevedere nel percorso scolastico di base, una fase formativa parificata di sei mesi, e un anno all’interno delle aziende. Ripensiamo insomma alla formazione professionale senza creare nei giovani facili e prometeiche illusioni».

Non è un caso che la filosofia di Confartigianato propone un progetto innovativo che va nella direzione del federalismo e della territorialità, attraverso gli enti bilaterali che stanno cercando di offrire un nuovo modello contrattuale che prevede la formazione in azienda e l’aggiornamento continuo. Un meccanismo che parte dal presupposto che le rappresentanze delle imprese e quelle sociali devono operare in comunione
e non in contrapposizione. «Pur avendo il peggio della crisi alle spalle, il nostro paese non ha ancora ingranato la marcia per risalire la china. Oggi, nel mio settore, la rigidità d’ingresso nel mondo del lavoro e la burocrazia rendono molto difficile per un imprenditore assumere un giovane attraverso un contratto di apprendistato. Serve flessibilità perché il nostro paese è composito e variegato. Pensare di trovare una soluzione che funzioni nello stesso modo per la Sicilia e la Val d’Aosta è un’utopia. Lo stesso discorso vale per le agenzie di formazione e per i percorsi professionali».

«Un’offerta standard non serve a nulla. Per invertire questa tendenza però è necessario operare una rivoluzione culturale altrimenti continueranno a diminuire le iscrizioni presso gli istituti tecnici, lasciando così scoperto un ampio settore che necessità di manodopera qualificata». Il dato sulla disoccupazione giovanile preoccupa perché apre le porte ad un problema ancora più vasto che è quello del disagio sociale. Insomma il nostro è un paese che deve ripartire dal lavoro, dai mestieri, dalla formazione qualificata e pertinente al territorio di riferimento. Esistono necessità differenti da regione a regione e quindi anche la formazione non può essere standard ma deve essere orientata sui bisogni specifici del tessuto economico».

«Certo – conclude Guerrini –, non tutte le realtà sono identiche. Abbiamo tutti in mente i risultati della Germania, dove a gennaio il tasso di disoccupazione
è sceso dal 7,5 al 7,4 per cento, facendo recuperare 13 mila posti di lavoro, ma esistono senza dubbio iniziative importanti anche a livello italiano. Note positive
su questo fronte, che fanno intendere la volontà chiara di affrontare questa rivoluzione culturale, arrivano ad esempio dalla Lombardia, una tra le regioni più avanzate nella messa in opera di nuove e significative esperienze legate al campo della formazione professionale».

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