
L’agricoltura lombarda ha un futuro
Mica facile mettere in piedi una politica agricola regionale sensata. In un paese a economia avanzata come l’Italia l’agricoltura, si sa, vive di sovvenzioni comunitarie, ma l’Europa ha deciso di abbattere gradualmente questi aiuti e lasciar fare alle legge della domanda e dell’offerta, proprio mentre dall’Est, dal Nordamerica e dal terzo mondo arrivano produzioni a buon mercato con cui i nostri contadini e allevatori non possono competere. A tutto questo si aggiunge la deprecabile politica del governo italiano, che penalizza l’agricoltura lombarda assegnandole solo il 7,47% dei fondi europei destinati all’Italia benché essa rappresenti il 14% di tutto il pil agricolo italiano! La Regione, ovviamente, protesta. Ma non si limita alle invettive o a una logorante difesa dell’esistente, cioè a negoziare sussidi fatalmente decrescenti, bensì è proiettata verso il futuro. Negli ultimi anni ha preso una serie di provvedimenti ben congegnati, che potrebbero permettere all’agricoltura lombarda di rilanciarsi. Se si prende in mano il Piano per lo Sviluppo Rurale 2000-2006, concepito in continuità con quanto fatto dalla Giunta regionale nel corso della legislatura in scadenza, vediamo che in esso sono identificati i tre obiettivi della politica agricola regionale. La Regione ragiona così: c’è un agricoltura lombarda che può ancora competere sui mercati mondiali, e quella la aiutiamo perché è economicamente redditizia; c’è un’agricoltura che può essere indirizzata alla tutela dell’ambiente, e anche questa la aiutiamo perché diventerà economicamente redditizia, poichè venderà “aria pulita” e “territorio pulito”; infine c’è un’agricoltura che ha soprattutto una funzione sociale, quella delle montagne e delle aree collinari svantaggiate, e questa va finanziata a fondo prevalentemente perduto perché è funzionale alla salvaguardia socio-ambientale del territorio.
Per passare dai ragionamenti azzeccati ai fatti la Regione ha anzitutto attuato il trasferimento delle competenze amministrative in materia agricola alle Province e alle Comunità montane e con la legge 7/2000 ha creato un riferimento legislativo unico per tutti gli interventi regionali in agricoltura. “Questo significa che in un paese come l’Italia, dove solo per allevare vacche bisogna conoscere e applicare 70 norme diverse, almeno gli agricoltori lombardi avranno vita più facile -spiega Roberto Albetti, responsabile della segreteria dell’assessorato all’agricoltura-. Un coltivatore non dovrà più inseguire mille leggi in mille uffici diversi, ma avrà a disposizione un’unica normativa con un unico interlocutore e un’unica risposta”.
Quindi gli interventi mirati. Anzitutto per la qualità: sostegno del “sistema di etichettatura delle carni bovine”, incremento dei sistemi di qualità aziendale nelle imprese agroalimentari che producono e commercializzano prodotti DOC, DOCG o ottenuti con tecniche di agricoltura biologica, stesura dell’elenco regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, incentivi alla commercializzazione degli stessi. “Perché –spiega Origgi, altro consulente dell’assessorato- la competitività delle aziende agricole lombarde non potrà mai essere sui prodotti indifferenziati, ma su quelli che, a volte unici al mondo, assommano oltre alla materia prima anni e anni di lavoro e a volte secoli di tradizione”.
Altro intervento mirato riguarda le misure agroambientali. “Negli anni scorsi –spiega Albetti- è emersa una conflittualità tra le richieste di protezione dell’ambiente e le necessità di sviluppo delle aziende agricole. Il compito della salvaguardia dell’ambiente, storicamente svolto dal mondo agricolo, è stato ideologicamente assunto da funzionari o associazioni ambientaliste, creando una frattura tra chi vive ed opera direttamente sul territorio e l’Ente pubblico. Le misure agroambientali del Piano di Sviluppo rurale, se applicate in modo intelligente, eliminano questa frattura, restituendo all’agricoltore l’originale compito, oltre che di produttore, di tutore dell’ambiente. Non solo: rendono questa attività una fonte di reddito per l’azienda agricola”. Ecco allora le sovvenzioni a chi riduce l’uso della chimica in agricoltura, a chi adotta metodi di produzione ecologica conformi alle direttive europee, a chi converte i seminativi in prati permanenti, a chi fa fruire il fondo al pubblico e per scopo didattico.
Infine gli interventi “sociali”. Ne ricordiamo due: le sovvenzioni per l’insediamento di giovani agricoltori e le indennità compensative per le zone svantaggiate. Le prime mirano allo “svecchiamento” dell’agricoltura lombarda e ad evitare che intere zone restino spopolate. Ai figli che subentrano al genitore, o comunque alle persone dotate di requisiti professionali e di età inferiore ai 40 anni, la Regione assegna premi di insediamento. Nel periodo 1994-1999 ne ha erogati ben 2.585, utilizzando anche risorse proprie, per un totale di 74,5 miliardi. Le indennità compensative sono servite a favorire redditi equi agli agricoltori delle aree svantaggiate e quindi a ridurre l’esodo agricolo e rurale dalle aree di montagna. Ne hanno beneficiato ben 9 mila aziende all’anno fra il ’94 e il ’99. Decisamente gli agricoltori hanno incontrato qualcuno che li capisce.
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