
Lagerkvist, il poeta che cercava “uno sconosciuto, mio amico”

Par Lagerkvist, poeta, narratore svedese (1891-1974), premio Nobel per la letteratura nel 1951 con il romanzo Barabba. Diverse le opere tradotte che sono Pellegrino sul mare, Il sorriso eterno, Il nano, Il boia, Mariamne, Un ospite della realtà, il già citato Barabba (Jaca Book) e le Poesie (Guaraldi/Nuova Compagnia ed Rimini/Forlì 1991). Al centro dei suoi scritti, torna quasi in maniera “ossessiva” la coscienza della difficoltà se non dell’impossibilità di trovare un significato ultimo nella quotidianità.
Emergono, in particolar modo nelle bellissime poesie, l’inquietudine, il bisogno di evadere dalla finitezza della vita che testimoniano il desiderio di infinito di ricerca di Qualcuno cui affidarsi. Lagerkvist si definiva “un credente senza fede, un ateo religioso” e queste due espressioni danno la cifra della sua ricerca. Sono numerose le poesie in cui egli pone la domanda di significato come per esempio in “Uno sconosciuto è mio amico” dove scrive:
«Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco. Uno sconosciuto lontano lontano. Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia. Perché egli non è presso di me. Perché egli forse non esiste affatto? Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? Che colmi tutta la terra della tua assenza?».
Il rivolgersi con il “Tu” esprime l’assenza di una Presenza che sente lontana ma se c’è la domanda anche se in modo contraddittorio, significa che la terra ha un senso. Ancora: “il Dio che non esiste. Il terribile Dio”. Nel momento in cui lo neghi, lo affermi e ciò vuol dire che la realtà ha in sé un significato, una positività che è più forte della sua negazione.
La posizione dell’autore svedese richiama quella leopardiana in continua lotta con Dio che dal poeta era rimproverato per la mancate risposte che si attendeva. In un’altra bella poesia “Solo quel che arde”, scrive:
«Sacra è la cenere/ Tu mi sfiorasti/ e io divenni cenere/ il mio io divenne cenere/ consumato da te/ così dice l’amante e il credente».
C’è qui la consapevolezza che l’uomo non è un nulla ma al contrario irrompe la capacità d’amare che però rimane chiusa in sé stessi non riuscendo ad aprirsi a qualcosa di più grande, un “amare per”.
In Par Lagerkvist manca il salto decisivo nel riconoscimento della Rivelazione, del Dio cristiano che è Amore. In Lagerkvist la realtà, la vita è un qualcosa che limita, soffoca, come una prigione da cui evadere e nello scritto quasi in forma di aforismi “la mia parola è No” emerge potente la rivolta contro la vita.
Scrive:
«E tuttavia pretende che io l’ammiri, questo vacuo dono di floscia infinità. Non apprezzo nulla di quanto ci fu dato. Ammiro l’uomo, disprezzo la vita».
Ma come puoi ammirare l’uomo e disprezzare la vita? Chi l’ha donata allora questa vita? Come puoi “uscire” da questa vita e cercare Qualcuno, quel Tu che invochi?
Per concludere un accenno a un romanzo che ebbe un certo successo di pubblico, Il nano, in cui Lagerkvist affronta il problema del male. È un romanzo scritto in uno stile asciutto, essenziale, con una sintassi secca, breve. Il protagonista è l’emblema, la personificazione del male, del negativo in forma assoluta che vede le persone, le azioni, la vita “dal basso”, incapace di sentimenti, di amore, di aprirsi al Bene, al Bello. Egli con quel suo sguardo inespressivo è capace di cogliere quel che c’è di perverso negli uomini e di disprezzarli. Un grande romanzo.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!