
La Waterloo del “piccolo Napoleone” Macron

Anche se la legge sull’immigrazione proseguirà il suo percorso legislativo in commissione mista paritaria, la bocciatura all’Assemblea nazionale rappresenta una débacle per Emmanuel Macron, «la sconfitta più pesante da quando è arrivato all’Eliseo nel 2017», secondo il Figaro. Per di più, su uno dei temi più cari all’elettorato francese: la regolamentazione dell’immigrazione.
Tutti gli errori di Macron
La mozione di rigetto della legge prima ancora dell’inizio della discussione, presentata lunedì dai Verdi, è stata votata per motivi diversi da una strana coalizione di destra e sinistra, formata dai Repubblicani, dai lepeniani e dalla galassia di sinistra. Insieme al testo, è stato affossato anche il suo promotore, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin che sogna l’Eliseo, ma che nel frattempo è stato costretto a rassegnare le dimissioni, poi respinte da Macron.
Alla base della bocciatura c’è una lunga serie di errori politici da parte del governo, che aveva promesso di dare scacco all’immigrazione clandestina per soddisfare l’esigenza di sicurezza dei francesi e che poi si era visto costretto ad addolcire i toni per assicurarsi i voti della banda di Jean-Luc Mélenchon.
L’ibrido politico che scontenta tutti
Ne era uscito un testo né di destra né di sinistra, un ibrido tra la linea dura e quella aperturista, un compromesso rabberciato che ha finito per scontentare tutti. La legge infatti da una parte ampliava la categoria dei reati che possono portare all’espulsione di un cittadino straniero arrivato in Francia prima di compiere 13 anni o che ci vive da più di 20 anni, dall’altra però prevedeva un permesso di lavoro temporaneo per un anno per chi era entrato irregolarmente in Francia ma aveva trovato lavoro in nero in settori dove la manodopera è scarsa.
Se per i Repubblicani quest’ultima concessione rappresenta un obbrobrio giuridico inammissibile, per La France Insoumise è troppo poco, perché «tutti i clandestini vanno regolarizzati».
«È ora di tornare alle urne»
È la cosiddetta politica, né carne né pesce, del «en même temps», allo stesso tempo, che da tanto i francesi e soprattutto il centrodestra rimproverano a Macron, che non ha la maggioranza al Senato ed è condannato al compromesso perenne.
Questa volta però i Repubblicani, su un tema che infiamma la popolazione, non si sono fatti bastare qualche contentino e hanno rigettato il testo, causando un terremoto politico.
A poche ore dal voto il presidente di Rassemblement National, Jordan Bardella, ha invocato «lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e il ritorno alle urne». Gli ha fatto eco Mélenchon, salvo poi rimangiarsi le parole pubblicate sul suo blog, mentre i Repubblicani sono decisamente contrari, al pari ovviamente del partito di Macron.
L’ultima spiaggia del governo
Dopo aver denunciato durante il Consiglio dei ministri di ieri il «cinismo» dell’opposizione e la politica del «tanto peggio, tanto meglio» che «blocca il paese», Macron ha scelto di inviare la legge sull’immigrazione in commissione mista paritaria, composta da sette senatori e sette deputati di tutte le forze politiche proporzionalmente rappresentate, per raggiungere un accordo.
Se anche questo tentativo dovesse fallire, il testo tornerebbe alle Camere, ma potrebbe anche essere ritirato definitivamente dal governo.
La Waterloo di Macron
In Francia non si vedeva la bocciatura di principio di una legge all’Assemblea Nazionale da 25 anni. Ecco perché, al di là del futuro del testo, rappresenta una sconfitta, o meglio un’umiliazione, storica per Macron.
E non a caso il Figaro parla di «crisi politica». Ma la crisi non è soltanto di Macron e del centrosinistra francese, bensì di tutta la sinistra europea. Il “piccolo Napoleone”, infatti, nonostante diverse battute d’arresto rimaneva il leader più in salute di tutta la sinistra europea, soprattutto se paragonato a Elly Schlein in Italia, Olaf Scholz in Germania, Pedro Sanchez in Spagna e Keir Starmer nel Regno Unito.
La Waterloo di Macron è un incidente politico le cui ripercussioni potrebbero travalicare i Pirenei e le Alpi, proiettando un’ombra sull’intera sinistra in vista delle elezioni europee del prossimo giugno.
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