
La «vertigine nichilista» che serpeggia in Francia

Parigi. Dopo le devastazioni e i saccheggi, gli incendi e gli scontri violenti, i video e le immagini in mondovisione di un paese fuori controllo dopo la morte del diciassettenne Nahel durante un controllo stradale, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, prepara la ricostruzione. Davanti a più di duecento sindaci dei Comuni colpiti dalle rivolte, l’inquilino dell’Eliseo, martedì, ha promesso una “legge d’emergenza” per accelerare la riparazione dell’arredo urbano distrutto dai ragazzi arrabbiati delle banlieue, annunciando un nuovo metodo nella concretizzazione delle politiche pubbliche: più “decentralizzazione” e più “semplificazione” per chiarificare le competenze a livello nazionale, regionale, dipartimentale e comunale, e rendere così più efficace la risposta.
Torna la calma in Francia
Il capo dello Stato francese ha comunicato ai sindaci che prima dell’estate verrà organizzata una nuova riunione per definire le tappe della ricostruzione e che ci sarà un maggiore accompagnamento da parte del governo centrale. Ma al di là dei problemi economici, certamente importanti, (un miliardo di euro di danni per le imprese, secondo il Medef, la Confindustria francese, e 20 milioni di euro per i trasporti dell’Île-de-France, la regione parigina), c’è un problema socio-culturale molto più importante: quello di una controsocietà figlia dell’immigrazione e a maggioranza islamica che si ribella sempre più frequentemente, che vive al di fuori del girone repubblicano, in opposizione alla società maggioritaria, di cui detesta i valori e mette in discussione l’autorità.
La calma relativa tornata in questi giorni dopo il picco di violenze che hanno quasi costretto Macron a decretare lo stato d’emergenza come durante le rivolte del 2005 nasconde soltanto il problema della coesistenza sullo stesso territorio di due France che non possono coesistere, di uno scontro identitario che un certo mondo politico e intellettuale ha fatto finta di non vedere per troppi anni e a cui ora basta poco per esplodere e radicalizzarsi.
La «collera pavloviana» dei giovani
Il filosofo parigino Pascal Bruckner ha parlato di una «collera pavloviana» che ad ogni minimo pretesto vuole far sapere che non si riconosce più nei valori repubblicani di liberté, égalité e fraternité, e di laicità. «La sbavatura della polizia di martedì scorso è soltanto un pretesto che ha scatenato una collera pavloviana. È una drammaturgia perfettamente coordinata dove i rivoltosi rispondono a un canovaccio già scritto da almeno il 2005. Le violenze sono permanenti nei quartieri, sono la colonna sonora della vita quotidiana, ma in occasione di questo dramma si sono palesate in pompa magna», ha dichiarato al Figaro Bruckner.
Sono i «territori perduti della Repubblica», di cui già parlava lo storico Georges Bensoussan nel 2002 nell’omonimo libro. «Come accade ogni volta durante questo tipo di rivolte, le preoccupazioni del narcotraffico si mischiano a un rifiuto dello Stato francese in tutte le sue istituzioni e a una vertigine nichilista che consiste nel distruggere ciò che dovrebbe migliorare la vita di ognuno», osserva Bruckner.
La sinistra rifiuta la «spiegazione identitaria»
Un vandalismo, ed è qui l’aspetto più inquietante, che non è più soltanto limitato ai margini della Francia, alle banlieue multietniche come nel 2005: si è diffuso in tutto il paese, coinvolgendo piccoli borghi, città medie e quartieri anche centrali delle grandi metropoli. I quattro mesi «di caos e di isteria» da cui è uscita la Francia, sottolinea Bruckner includendo anche le manifestazioni oceaniche contro la riforma delle pensioni e le derive registrate, «hanno lasciato delle tracce: la violenza non si scatena impunemente. È un fuoco che si propaga con un mimetismo stupefacente. Più la si tollera, più la violenza diventa il solo linguaggio del conflitto».
Sempre sul Figaro, Pierre Brochand, ex capo della Dgse, l’intelligence esterna francese, ha invitato Macron a non evitare il problema socio-culturale e a prendere delle misure anche in questo senso. «Definirei la presente catastrofe un’insurrezione o rivolta contro lo Stato francese di una parte significativa della gioventù extra-europea presente sul suo territorio. Con l’obiettivo principale di avere il monopolio della violenza legittima in questo stesso spazio», ha affermato Brochand.
Mandando anche un segnale al ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, che ha minimizzato il problema parlando di una minoranza di estremisti e ha giudicato la «spiegazione identitaria» una strumentalizzazione dell’estrema destra. «Se siamo arrivati a questo punto è anche, e forse soprattutto, a causa dell’ideologia dominante che ha giustificato e persino glorificato l’immigrazione di popolamento di massa, subìta da mezzo secolo a questa parte. Non si possono infatti spiegare gli sviluppi attuali senza risalire al cambio di modello di società avvenuto negli anni Settanta. A mio avviso, tutto parte da lì», ha spiegato l’ex capo dei servizi segreti esterni. Fino a quando «il cliché rassicurante della “infima minoranza”» non verrà messo da parte, sottolinea Brochand, non ci sarà nessuna vera ricostruzione della Francia.
Foto Ansa
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