
La vera democrazia non si (ri)conta
Mi si permetta una citazione dallo straordinario libretto di Francesco Agnoli, Conoscere il Novecento, cui auguro una diffusione amplissima. «Anche in Italia la borghesia ha soffocato ogni nobiltà ed ogni grandezza: dall’unità in poi ha governato il paese non per il bene comune ma per il suo. (.) La vita politica del paese è avvelenata dalle congiure e dalle mene dei massoni, dei Rattazzi, dei Crispi, dei Giolitti di turno. Basti pensare che tutta la storia delle elezioni italiane, ben prima dell’avvento del fascismo, è già avvolta nell’inganno: falsati furono i plebisciti dal 1860-61. truccate le elezioni dall’epoca di Giolitti. Nel 1913, quando gli italiani sono chiamati alle prime elezioni a suffragio universale maschile, molti sentono il puzzo della farsa» (p.12). E per arrivare alla storia più recente, la migliore storiografia ha ormai raggiunto la certezza che, per esempio, sul referendum del ’46 fra monarchia e repubblica ci sono vastissime ombre e documentatissimi dubbi. Di certo c’è che l’allora ministro della Giustizia Palmiro Togliatti si prese, come disse e scrisse più volte, la «responsabilità politica e morale» di imporre ad una Cassazione riluttante la proclamazione provvisoria della vittoria repubblicana, a scrutini non ancora ultimati. Togliatti disse che era stata necessaria «un’operazione chirurgica»; molti storici parlano con maggior rigore di «colpo di Stato».
E fermiamoci qui: ma per dire che cosa? Che le procedure politiche, sia a livello della base (elezioni) sia a livello delle successive e necessarie verifiche, non garantiscono la democrazia, la difendono e la promuovono solo se c’è già. E la democrazia (benedetto san Tommaso!) è un impegno con la cultura della propria vita e del proprio popolo: è un’educazione che diviene rispetto reciproco, capacità di confronto, di collaborazione. Il popolo italiano ha una grande esigenza di partecipazione democratica alla vita della società, ma è incerto su chi possa gestire in modo adeguato le procedure istituzionali. La politica non può guardare se stessa, deve ascoltare le istanze profonde del popolo. Che decine di migliaia di persone abbiano firmato un appello per la libertà di educazione in Italia, per la politica ufficiale è sembrato che volesse dir nulla. Bisogna dialogare con il popolo su quei grandi valori che Benedetto XVI ha definito «non negoziabili». Solo su questi tutti possono collaborare, nel rispetto delle loro differenze specifiche, alla costruzione di una società più giusta e più democratica.
*Vescovo di San Marino-Montefeltro
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