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Sono entrata al rifugio Santa Croce, in Val Badia, e lo sguardo mi è caduto a sinistra della porta. Ero distratta, eppure ho sentito chiara una fitta al cuore, prima di realizzarne la ragione: come quando si incontra un amico, che non si vede da tanto. Poi ho capito (il cuore è più veloce dei neuroni). Dio, una cabina telefonica, quelle di quando ero giovane. Non ne vedevo da vent’anni almeno.
Voi ragazzi, non le avete viste mai. Le cabine della Sip, nell’era pliocenica in cui si viveva senza smartphone, erano il fulcro dei paesi, delle locande lungo le statali, dei borghi di montagna con tre case. Però, c’era una cabina: si poteva telefonare.
La cabina era una questione essenziale per due tipi di utenti: i viaggiatori, e gli innamorati che non volevano farsi ascoltare dalla mamma, in casa. Io ho appartenuto a lungo a entrambe le categorie; nel frattempo, diventata giornalista, per dettare i pezzi dipendevo dalle cabine Sip come oggi l’Occidente dal gas di Putin.
Ma guardala:...
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