
La tragedia delle donne nigeriane «sangue di Boko Haram»

«Il figlio di un serpente è un serpente», «arriva la peste». Questi epiteti sono diventati usuali nei campi profughi del nord della Nigeria, dove vivono le persone sfollate a causa degli attacchi di Boko Haram. Vengono rivolti alle donne rapite, ridotte in schiavitù e stuprate dai jihadisti che riescono a scappare e tornare dai familiari. Purtroppo, dopo aver subito il trauma del sequestro, devono passare attraverso una nuova demonizzazione, fomentata dalla paura e dalla superstizione.
SANGUE MALVAGIO. Secondo un rapporto pubblicato da International Alert e Unicef, intitolato Sangue malvagio, oltre 2.000 donne e ragazze sono state rapite da Boko Haram a partire dal 2012. Il caso più eclatante è stato quello di Chibok, nell’aprile del 2014, quando circa 300 studentesse, soprattutto cristiane, sono state sequestrate di notte e poi convertite all’islam, a detta degli islamisti.
RITORNO A CASA. Molte «sono state stuprate, sposate ai jihadisti e messe incinta» in cattività. Quelle che riescono a fuggire o che vengono liberate dall’esercito, quando tornano a casa, spesso gravide o con in braccio i bambini frutto delle violenze sessuali, «vengono respinte dai familiari subendo una nuova vittimizzazione». Tanti nigeriani, infatti, «vedono le donne e i loro bambini come una minaccia diretta e temono che siano state indottrinate e radicalizzate da Boko Haram».
DONNE KAMIKAZE. Da almeno un anno, i terroristi islamici che sconvolgono il nordest della Nigeria dal 2009 hanno cominciato a usare le donne come kamikaze. Come rivela il recente caso di una ragazzina che si è rifiutata di farsi esplodere in un campo profughi, spesso, più che essere indottrinate, le donne vengono minacciate e costrette a forza a vestire le cinture esplosive. Nonostante questo, a causa della paura di nuovi attentati, chi scappa da Boko Haram è sempre più guardato con sospetto. «Il recente aumento di donne kamikaze in tutta la Nigeria ha rinforzato la credenza, già molto diffusa, che le donne rapite da Boko Haram contribuiscono all’insicurezza della regione».
VIOLENZA NEL SANGUE. Le donne sono accusate di essere reclutatori di Boko Haram e di voler radicalizzare la gente. C’è anche una buona dose di superstizione, sempre aumentata dalla paura degli attacchi, nel ripudio di queste madri e dei loro figli: «Tanti credono anche che i bambini concepiti come il risultato di una violenza sessuale o di relazioni sessuali con i membri di Boko Haram diventeranno la nuova generazione di jihadisti, dal momento che hanno ereditato le caratteristiche violente dei loro padri biologici». Come se la violenza fosse inscritta nei geni di quelle nuove vite.
«IENE IN MEZZO AI CANI». Nei campi profughi le donne vengono di conseguenza discriminate e chiamate “Mogli di Boko Haram”, “Donne di Sambisa [la foresta-roccaforte dei jihadisti]”, “Sangue di Boko Haram” e anche “Annoba”, che significa “peste”. I bambini vengono definiti “iene in mezzo ai cani innocenti” e il loro sangue “malvagio”, trasmesso dai loro padri, viene additato come prova certa della loro pericolosità. Sulla bocca di tutti ci sono questi detti ormai: «Il figlio di un serpente, è un serpente» e «nelle loro vene scorre il sangue di Boko Haram».
FAMIGLIE POLIGAME. Statisticamente, continua il rapporto, i mariti che sono stati sposati alle donne per più di cinque anni, e hanno già avuto figli da loro, tendono a riaccoglierle. Non avviene così nelle famiglie poligame musulmane, dove le altre mogli cercano di convincere il marito a ripudiare la donna che ritorna, accusandola di aver seguito volontariamente i jihadisti.
Ci sono però storie positive. Una donna, stuprata e messa incinta da un jihadista, voleva abortire ma ci ha ripensato: «All’inizio non volevo, poi quando mi hanno salvata e sono arrivata al campo ho deciso di tenere il bambino». Le difficoltà però restano: «Quando penso a come sarà mio figlio, sono molto disturbata perché mi faccio sempre la stessa domanda: si comporterà come suo padre di Boko Haram?».
Foto Ansa
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