«La sussidiarietà è un’opera mossa da un ideale»

Di Rachele Schirle
03 Febbraio 2023
Incontro a Milano con Forte, Sacconi, Malagola, Accornero e Sacco. Per dire che c'è una società disposta a "fare" (se solo lo Stato glielo permettesse)

«Il cuore della sussidiarietà è la libertà di esprimere un significato, un senso». Si è concluso con questa frase di Matteo Forte, consigliere comunale meneghino e candidato in Lombardia alle prossime elezioni regionali con Fratelli d’Italia, l’incontro tenutosi ieri sera a Milano dal titolo “Non disturbare chi vuole fare. La sussidiarietà è ancora possibile”.

Organizzato dall’associazione Esserci, il dibattito ha visto protagonisti alcuni esponenti politici e della società civile milanese: Maurizio Sacconi, già ministro del Lavoro, della salute e delle politiche sociali; Lorenzo Malagola, deputato di Fratelli d’Italia, segretario della Commissione lavoro della Camera dei deputati; Marco Accornero, segretario generale Unione artigiani; Rossella Sacco, portavoce Forum terzo settore città di Milano. l’incontro è stato moderato da Emanuele Boffi, direttore di Tempi.

L’ipertrofia regolatoria e il conservatorismo

Nel suo intervento, Sacconi ha ripercorso alcuni dei passaggi di un suo bel e recente libro “Stato essenziale, società vitale. Appunti sussidiari per l’Italia che verrà”, in cui descrive efficacemente «l’ipertrofia regolatoria» di cui è malato il nostro Stato. Di fronte a una burocrazia «che ha paura di prendere decisioni», ha detto l’ex ministro, la «proposta sussidiaria deve essere quantitativamente e qualitativamente diversa. Deve cioè essere fondata su un’antropologia positiva». Questa è la «cultura che può risvegliare la nazione», farla rinascere.

Sulla stessa scia, Malagola ha spiegato le differenze tra progressismo e conservatorismo, con il primo costretto a immaginare un bene possibile «solo nel futuro», e il secondo che, invece, «rimette in gioco la tradizione nel presente. Per questo io credo che il conservatorismo che dovrà esprimersi in Italia non sarà quello anglosassone, ma una sua versione mediterranea, latina, in cui confluiranno le tre grandi tradizioni politiche della nostra storia: il popolarismo cattolico, la cultura liberale, il riformismo socialista». Asse portante di tutto ciò: la sussidiarietà. «Il conservatorismo italiano non potrà che essere sussidiario, cioè non potrà tradire la caratteristica principe della nostra storia che è la centralità della persona».

Terzo settore e impresa

Sacco e Accornero, da due prospettive diverse ma complementari, hanno dettagliato come la sussidiarietà sia la linfa viva della società.

La prima raccontando come il Terzo Settore interpreti la sussidiarietà giorno dopo giorno, persona per persona, e come un lavoro fatto “dal basso” sia la vera opportunità per «far esplodere le energie che ci sono nella società».

Il secondo ha testimoniato la cronica difficoltà del mondo dell’impresa a «fare», in un Paese dove «più che di sussidiarietà, si vive di sussidi». Dove lo Stato sembra voler arrivare ovunque, tarpando le ali a chi vorrebbe invece rischiare del proprio per costruire un bene comune e invece si trova a dover fare i conti con sprechi, pastoie burocratiche, magistrati che smontano anche quelle buone idee diventate leggi.

Pragmatismo e ideale

Forte ha concluso riprendendo molti dei passaggi degli altri relatori, mettendo in evidenza come la politica debba sempre cercare di bilanciare «l’elemento pragmatico, del fare, con quello ideale. Posso testimoniare con la mia esperienza che più è preciso e ampio l’ideale che si segue, più saranno puntuali gli interventi politici che si mettono in atto».

Di fronte quindi all’aut aut tra un mondo in cui lo Stato può e decide tutto e un mondo il cui si lascia briglia sciolta all’anarchia del mercato e delle sue grandi aziende, la sussidiarietà diventa la possibilità concreta perché le persone possano fare ed esprimersi. «Perché la sussidiarietà è un’opera mossa da un ideale».

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