La spavalderia del ciellino spiegata da Von Balthasar e don Giussani

Di Egisto Mercati
28 Settembre 2017
Perché la riedizione de "L'impegno del cristiano nel mondo" è un'idea felice nell'epoca del "crollo delle evidenze" e del cattolicesimo imborghesito
Einsiedeln (Svizzera), 1971. Don Giussani con Hans Urs von Balthasar e Angelo Scola

È stata un’idea felice quella di pubblicare di nuovo, a 46 anni dalla prima edizione, il piccolo volume L’impegno del cristiano nel mondo con prefazione di Julián Carrón, che vide la luce nel 1971 per i tipi di Jaca Book. Ne sono autori lo svizzero padre Hans Urs von Balthasar e don Luigi Giussani. Il primo è stato considerato uno degli uomini più colti del Novecento, stranamente non invitato a partecipare al Concilio Vaticano II con grande sconcerto, tra gli altri, di padre Henri de Lubac. Chiunque abbia un minimo di cultura teologica, sa bene quanto sia stata impressionante la sua produzione intellettuale il cui, per così dire, capolavoro rimane Gloria. Un’estetica teologica, in 7 volumi. Monsignor Giussani, l’altro autore del volume, è stato il fondatore del movimento di Comunione e Liberazione oggi presente in oltre 70 paesi del mondo.

Il libro contiene le conferenze tenute nel 1971 nella cittadina svizzera di Einsiedeln dai due autori che incontrarono gli universitari di Cl di Friburgo, Berna, Zurigo.

La prima osservazione da fare sull’origine di queste pagine è di carattere metodologico. Non si tratta degli atti di un momento accademico, di forte spessore intellettuale, ma siamo di fronte a qualcosa di più e di diverso. La parola da usarsi per descrivere il punto sorgivo del libro è la parola amicizia. Un avvenimento straordinariamente umano che fu l’incontro del grande teologo svizzero con don Giussani, reso possibile da don Angelo Scola, allora brillante studioso di teologia presso l’Università di Friburgo. Parlando una volta con von Balthasar, a Milano, mi resi conto quanto fosse stato per lui importante questo incontro che lo segnò per gli anni a venire insieme alla stima che egli nutriva per Jaca Book e Sante Bagnoli, suo direttore e patron che aveva iniziato la pubblicazione della sua Opera omnia.

Questa amicizia non dette semplicemente vita a un sodalizio fra teologi, ma rovesciò l’idea stessa del lavoro teologico a quei tempi in auge ed espresso autorevolmente dalla rivista Concilium. Il problema della speculazione teologica in quel tempo di post Concilio era quello di “rovesciare la teologia nella prassi pastorale” per renderla più aderente alle varie situazioni ambientali, sociali, culturali. Qui invece si impone l’idea che la teologia nasce da una comunità cristiana viva come urgenza di rendere comunicabile la fede e persuasivo l’annuncio del Dio fatto uomo. Una intelligenza della fede che troverà il suo luogo adeguato nella rivista Communio, titolo che racchiudeva in sé il metodo del lavoro teologico condiviso da De Lubac, von Balthasar, Congar, Ratzinger, eccetera. Due termini possiamo rischiare di estrarli da quanto in quei giorni di quasi mezzo secolo fa von Balthasar disse, senza pretendere di esaurire la ricchezza di tutto il suo contributo.

Il cuore della sua relazione è il focus aperto su Gesù Cristo, centro del cosmo e della storia come ripeterà san Giovanni Paolo II. Questa sua centralità, al pari delle altre personalità della Trinità, costituisce il mistero della società divina, la Trinità, che entra nella storia come Chiesa, come libero e totale coinvolgimento degli uomini che si offrono nell’obbedienza, senza alcuna riserva, al progetto di Dio per il mondo. Ciò si esprime come obbedienza che riflette l’obbedienza perfetta del Figlio al Padre e la Chiesa non sarebbe credibile se fosse luogo di divisioni e partigianerie. «Questa obbedienza della Chiesa è perciò tanto necessaria perché essa deve rispecchiare per il mondo la assoluta unità della società divina, dove nulla vi è di privato, nessuna rivalità, nessun partito: bensì l’amore anteposto ad ogni individualismo è principio di unità» [p. 37, 1971]. Da qui, l’espansività d’amore verso il mondo non in forza di strategie pastorali, ma per l’attaccamento di ogni azione alla sorgente, facendo così «abbeverare gli assetati, anche gli altri possono dissetarsi all’origine» [p. 56, 1971] da cui il nostro impegno trae vitalità e forza.

Gli interventi di monsignor Giussani, riportati nella seconda parte del libro, hanno una perfetta sintonia con quanto detto dal teologo svizzero e aggiungono una drammaticità operativa nel focalizzare decisamente la necessità della personalizzazione della fede tanto da costituire «un soggetto forte, una personalità e una autocoscienza esaurientemente determinata e condotta – polarizzata – dall’avvenimento di Gesù Cristo» [p. 138, 1971]. Che ogni aspetto della vita, studio, rapporti, affettività, azione politica siano modalità espressive di un nuovo, radicalmente nuovo, sentire se stessi, dette proprio in quegli anni i suoi frutti. Le università italiane, precedentemente attraversate dal vento del ’68, videro porsi luoghi di comunione, di autentica amicizia operativa dentro molti atenei e la crescita del Clu (Comunione e Liberazione universitari) fu incontenibile.

L’evidenza di una coscienza certa, forse a volte addirittura spavalda, fu la sfida di un cattolicesimo nuovo che impattò tutta la società italiana. Oggi, a distanza di anni che sembrano secoli, si è colpiti non solo da quelle parole, ma dalla forza inspiegabile di quell’avvenimento che fu capace di persuadere e conquistare migliaia di giovani, e non solo. Ancor più sorprendente è accorgersi della vitalità di un fenomeno che non finisce di stupire e muovere quanti non si sono adagiati sulla morbidezza del borghesismo, magari incantati dalle suadenti sirene della nostra epoca. Il “crollo delle evidenze” è l’espressione più ricorrente per descrivere il passaggio da un’epoca in forte crisi di valori forti ad un’altra i cui contorni stentano a chiarirsi: una transizione difficile e complessa a cui si accompagna l’eclissi del sacro in molte parti dell’Occidente. L’impegno del cristiano nel mondo è un libro che ancora oggi può accampare la pretesa di rispondere in modo chiaro e sorprendente alle domande di cui è fatto il cuore di ogni uomo che della post modernità voglia accettare intelligentemente le sfide.

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