
La sinistra sogna un campo largo che a destra c’è già

Romano Prodi spinge Elly Schlein a replicare lo schema che gli permise di battere Berlusconi: allora l’Ulivo, oggi il campo largo. Ma Prodi racconta la storia a metà, perché quella stessa composizione partitica così frastagliata (da Cossutta a Mastella e da Fisichella a Turigliatto) fu anche il motivo della fine prematura dei suoi governi.
Ieri sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo ha scritto: «Il centrodestra è una coalizione, per quanto rissosa; il centrosinistra no, o non ancora. Partito democratico e Movimento Cinque Stelle oggi possono unirsi dietro una candidatura locale dignitosa; non possono rappresentare una maggioranza di governo. Prima dovranno trovare un’intesa sulle questioni su cui si vota alle Politiche: a cominciare dalle tasse».
Cosa condividono Pd e M5s?
Cazzullo non sbaglia. Se ci chiediamo cosa abbiano in comune il Pd e il M5s stelle troviamo poche cose. Solo una certa retorica sui diritti e poco altro. Il M5s è un partito populista – nota l’editorialista del Corriere – e il Pd il partito dell’establishment. E anche se con la segreteria Schlein un riavvicinamento sembra più probabile restano differenze che lo stesso Cazzullo ha riproposto in forma di domande:
«Quale idea di sviluppo condividono Pd e 5 Stelle? Cantieri e infrastrutture: sì o no? L’Alta velocità da Brescia a Trieste e da Napoli a Bari si fa o no? (il Ponte sullo Stretto lo diamo per perduto). Il nucleare di quarta generazione è una strada da esplorare o da escludere? Rigassificatori e termovalorizzatori sono una necessità o una parolaccia? L’industria manifatturiera va sostenuta o lasciata a se stessa?
Non solo: un governo Pd-5 Stelle ripristinerebbe il reddito di cittadinanza. Resta da capire come finanziarlo. Con più tasse? E pagate da chi? Dai padroni della Rete e dell’Intelligenza artificiale, che distruggono il piccolo commercio e il lavoro impiegatizio? O — come accade ora — dal ceto medio dipendente e dai pensionati, che tra l’altro sono lo zoccolo duro del Pd? Le aliquote Irpef si tagliano o si aumentano, come fece il centrosinistra subito dopo la precaria vittoria del 2006?».
Tutti contro tutti e tutti insieme
Insomma, nonostante la comprensibile euforia dopo il voto in Sardegna e alcuni incoraggianti sondaggi sul prossimo appuntamento in Abruzzo, quel che cova sotto la cenere dei rapporti tra i due maggiori partiti d’opposizione è un certo astio e risentimento (ieri il Foglio, elencando le magagne a livello locale, diceva che «sotto la tenda» fra Pd e M5s sono «botte da orbi»).
Se poi si allarga lo sguardo ad altre componenti, ci si accorge che la situazione è persino peggiore. Matteo Renzi non perde occasione di attaccare Giuseppe Conte, rimarcando continuamente una differenza quasi antropologica tra Iv e M5s. Lo stesso fa Conte con Renzi e con Calenda e Calenda con Conte e Renzi.
Tutti contro tutti, ma anche tutti insieme nella stessa coalizione che sosterrà Luciano D’Amico in Abruzzo. Qui il centrosinistra è unito da Fratoianni a Renzi in un accrocco composto da Pd, M5s, Avs, Lista Abruzzo Insieme, Azione e Riformisti e Civici (cioè Renzi). L’aspetto grottesco – ma rivelatore – è che Conte e Renzi fingono di non saperlo, anzi addirittura fanno dichiarazioni pubbliche in cui smentiscono l’alleanza. Tanto che Calenda è sbottato: «Azione e Italia Viva sono già alleati in Abruzzo con i 5S. Italia Viva si è alleata con i 5S in decine di città a partire da Napoli e da ultimo a Foggia e Matteo Renzi ha fatto nascere il Governo “Conte due” con tanto di reddito di cittadinanza, superbonus e stupidaggini varie. Questa roba per cui si prendono continuamente in giro i cittadini e gli elettori è stucchevole, ridicola e decisamente accomuna Renzi e Conte».
Una lezione per il centrodestra
Insomma, un bel clima cordiale. Non che nel centrodestra sia meglio (come si è visto col voto sardo), ma almeno si è trovata la quadra per ripresentare in Abruzzo, Basilicata, Piemonte ed Umbria i governatori uscenti.
Se il centrosinistra ha il problema di creare la coalizione, il centrodestra ha il problema di mantenerla. È il suo vero patrimonio e punto di forza, soprattutto perché il suo elettorato di riferimento è meno ideologico e più pragmatico di quello della sinistra: è stato disposto a votare prima Berlusconi, poi Salvini e ora Meloni muovendosi all’interno del perimetro consolidato della coalizione e senza troppi scossoni.
Con una punta d’ironia verrebbe da dire che il campo largo il centrodestra lo ha costruito trent’anni fa. E gli elettori, pur riconoscendo sensibilità diverse tra i vari partiti che lo compongono, lo hanno spesso premiato. Quello su cui questo elettorato non transige sono le chiacchiere e le liti interne. A quel punto, si astiene. È questa la lezione che i leader di centrodestra dovrebbero sempre tenere a mente.
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