La sinistra sogna un campo largo che a destra c’è già

Di Emanuele Boffi
01 Marzo 2024
Dopo il successo in Sardegna, Pd e M5s immaginano difficili sinergie governative. Quelle che, invece, esistono nel centrodestra e che vanno preservate senza troppe liti
Giuseppe Conte con Elly Schlein, Roma, 30 gennaio 2024 (Ansa)
Giuseppe Conte con Elly Schlein, Roma, 30 gennaio 2024 (Ansa)

Romano Prodi spinge Elly Schlein a replicare lo schema che gli permise di battere Berlusconi: allora l’Ulivo, oggi il campo largo. Ma Prodi racconta la storia a metà, perché quella stessa composizione partitica così frastagliata (da Cossutta a Mastella e da Fisichella a Turigliatto) fu anche il motivo della fine prematura dei suoi governi.

Ieri sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo ha scritto: «Il centrodestra è una coalizione, per quanto rissosa; il centrosinistra no, o non ancora. Partito democratico e Movimento Cinque Stelle oggi possono unirsi dietro una candidatura locale dignitosa; non possono rappresentare una maggioranza di governo. Prima dovranno trovare un’intesa sulle questioni su cui si vota alle Politiche: a cominciare dalle tasse».

Cosa condividono Pd e M5s?

Cazzullo non sbaglia. Se ci chiediamo cosa abbiano in comune il Pd e il M5s stelle troviamo poche cose. Solo una certa retorica sui diritti e poco altro. Il M5s è un partito populista – nota l’editorialista del Corriere – e il Pd il partito dell’establishment. E anche se con la segreteria Schlein un riavvicinamento sembra più probabile restano differenze che lo stesso Cazzullo ha riproposto in forma di domande:

«Quale idea di sviluppo condividono Pd e 5 Stelle? Cantieri e infrastrutture: sì o no? L’Alta velocità da Brescia a Trieste e da Napoli a Bari si fa o no? (il Ponte sullo Stretto lo diamo per perduto). Il nucleare di quarta generazione è una strada da esplorare o da escludere? Rigassificatori e termovalorizzatori sono una necessità o una parolaccia? L’industria manifatturiera va sostenuta o lasciata a se stessa?
Non solo: un governo Pd-5 Stelle ripristinerebbe il reddito di cittadinanza. Resta da capire come finanziarlo. Con più tasse? E pagate da chi? Dai padroni della Rete e dell’Intelligenza artificiale, che distruggono il piccolo commercio e il lavoro impiegatizio? O — come accade ora — dal ceto medio dipendente e dai pensionati, che tra l’altro sono lo zoccolo duro del Pd? Le aliquote Irpef si tagliano o si aumentano, come fece il centrosinistra subito dopo la precaria vittoria del 2006?».

Tutti contro tutti e tutti insieme

Insomma, nonostante la comprensibile euforia dopo il voto in Sardegna e alcuni incoraggianti sondaggi sul prossimo appuntamento in Abruzzo, quel che cova sotto la cenere dei rapporti tra i due maggiori partiti d’opposizione è un certo astio e risentimento (ieri il Foglio, elencando le magagne a livello locale, diceva che «sotto la tenda» fra Pd e M5s sono «botte da orbi»).

Se poi si allarga lo sguardo ad altre componenti, ci si accorge che la situazione è persino peggiore. Matteo Renzi non perde occasione di attaccare Giuseppe Conte, rimarcando continuamente una differenza quasi antropologica tra Iv e M5s. Lo stesso fa Conte con Renzi e con Calenda e Calenda con Conte e Renzi.

Tutti contro tutti, ma anche tutti insieme nella stessa coalizione che sosterrà Luciano D’Amico in Abruzzo. Qui il centrosinistra è unito da Fratoianni a Renzi in un accrocco composto da Pd, M5s, Avs, Lista Abruzzo Insieme, Azione e Riformisti e Civici (cioè Renzi). L’aspetto grottesco – ma rivelatore – è che Conte e Renzi fingono di non saperlo, anzi addirittura fanno dichiarazioni pubbliche in cui smentiscono l’alleanza. Tanto che Calenda è sbottato: «Azione e Italia Viva sono già alleati in Abruzzo con i 5S. Italia Viva si è alleata con i 5S in decine di città a partire da Napoli e da ultimo a Foggia e Matteo Renzi ha fatto nascere il Governo “Conte due” con tanto di reddito di cittadinanza, superbonus e stupidaggini varie. Questa roba per cui si prendono continuamente in giro i cittadini e gli elettori è stucchevole, ridicola e decisamente accomuna Renzi e Conte».

Una lezione per il centrodestra

Insomma, un bel clima cordiale. Non che nel centrodestra sia meglio (come si è visto col voto sardo), ma almeno si è trovata la quadra per ripresentare in Abruzzo, Basilicata, Piemonte ed Umbria i governatori uscenti.

Se il centrosinistra ha il problema di creare la coalizione, il centrodestra ha il problema di mantenerla. È il suo vero patrimonio e punto di forza, soprattutto perché il suo elettorato di riferimento è meno ideologico e più pragmatico di quello della sinistra: è stato disposto a votare prima Berlusconi, poi Salvini e ora Meloni muovendosi all’interno del perimetro consolidato della coalizione e senza troppi scossoni.

Con una punta d’ironia verrebbe da dire che il campo largo il centrodestra lo ha costruito trent’anni fa. E gli elettori, pur riconoscendo sensibilità diverse tra i vari partiti che lo compongono, lo hanno spesso premiato. Quello su cui questo elettorato non transige sono le chiacchiere e le liti interne. A quel punto, si astiene. È questa la lezione che i leader di centrodestra dovrebbero sempre tenere a mente.

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