
La sinistra riscopra Guareschi, don Camillo, Peppone e la “gente così”
Ieri su Avvenire è stata pubblicata la postfazione del critico letterario Goffredo Fofi al libro di Nazareno Giusti “Non muoio anche se mi ammazzano”, graphic novel edita da Hazard edizioni. Un testo interessante in cui uno dei maggiori critici letterari, spiega le sue simpatie per i personaggi e i libri di Guareschi. «Sono nato nel 1937 – scrive Fofi – in una cittadina dell’Umbria dove, come nell’Emilia rossa, dopo la guerra vinse la sinistra, e per molti anni l’amministrazione comunale, prima socialista e poi comunista, fu gestita con molta dignità, anche se i ricatti della guerra fredda fecero pesare i loro effetti nel confronto quotidiano tra la sinistra e i cattolici – i fascisti ridotti in qualche modo al silenzio della sconfitta storica della dittatura».
Un mondo dove le contrapposizioni esistevano, ma che solo raramente diventavano scontro: «Questo confronto – prosegue Fofi -, va detto e vale per l’Italia tutta, raramente divenne uno scontro. Di storie come quelle raccontate dal Mondo Piccolo di Guareschi ne potrei raccontare molte, e molte mi hanno coinvolto. Ricordo perfettamente quando nottetempo fuggii di casa per raggiungere un prete fanatico che ci portò a imbrattare i manifesti (castissimi) di Bellezze al bagno coprendo le poche parti nude del corpo di Esther Williams, o il giorno della scomunica ai marxisti, perché mio padre, socialista militante, e i suoi amici, dal fondo di una grande chiesa fecero cenno alle mogli, tra cui mia madre, di seguirli, uscendo platealmente quando il parroco attaccò a leggere la bolla di Pio XII: io servivo a messa, rimasi inchiodato all’altare e ancora me ne vergogno…».
«Il “mondo piccolo” fu anche il mio mondo, e siccome tra i dieci e i 18 anni leggevo di tutto, lessi con uguale entusiasmo Pratolini (le Cronache, Il quartiere, Metello…) di cui più tardi diventai anche amico, e i libri di Guareschi, a cominciare da Gente così». Ma per l’onnivoro letterario Fofi la scelta di parte (la “sinistra”) non divenne mai motivo di scomunica verso gli altri. Anzi, la sinistra ideologizzata non piacque mai al critico: «Della sinistra non ho mai accettato i diktat culturali e ideologici, fedele a san Tommaso e avendo, per fortuna e per scelta, la possibilità di confrontare tra loro le idee e le realtà. La simpatia istintiva per Guareschi (…) mi ha portato ovviamente allo scontro con molti amici, né più né meno della simpatia per Jacovitti».
Ecco perché andrebbe riscoperta l’opera di Guareschi: «Don Camillo e Peppone sono stati due grandi invenzioni letterarie, e anche qualcosa di più: la personificazione di due istante forti di un’epoca forte, quella di un cattolicesimo battagliero nella sua componente più tollerante e “dalla parte del popolo”, e quella di un comunismo di base che fu ben diverso da quello dei vertici, e che si incontrava con il cattolicesimo sociale per il suo millenarismo, per le sue istanze di giustizia. Il “basso” e l’“alto” non hanno mai avuto le stesse ragioni, e come dice un vecchio proverbio contadino, “chi ha pancia piena non crede al digiuno”, all’esistenza e all’esperienza di chi non ha di che saziarsi».
«Guareschi – secondo Fofi – ha rappresentato in un modo formidabile e acuto la commedia dei ruoli assunti in una certa epoca storica dalle istanze di un popolo affamato di giustizia, e si è assunto il compito, pagando spesso di persona, di rappresentare, anche se con una certa dose di retorica, opinioni e sentimenti della “zona grigia”, della “gente comune” e delle sue contraddizioni, bensì vitali. Il tempo passa e fa giustizia, e oggi posso continuare ad amare senza vergogna i poveri amanti di Pratolini come il prete e il comunista di Guareschi: “gente così”, la cui storia ci ha segnato e che abbiamo ben conosciuto».
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