
La settimana 6
Raccontando dettagliatamente la storia di Alessandro Patelli, accusato di abusi sessuali su una minore cinese avuta in affidamento, Tempi (anno V, n. 46, 8-12-99) aveva visto giusto. Molto rumore per nulla. La vicenda si è conclusa, dopo due anni, con l’assoluzione dell’imputato: perché il fatto non sussiste. Il (solito) pm Pietro Forno aveva chiesto 5 anni di reclusione. Tutto bene quel che finisce bene, dunque? Sì. O meglio no. Patelli, ex cassiere della Lega Nord ed ex consigliere regionale della Lombardia, è, bene o male, un “nome noto”. Ma immaginiamo di metterci nei panni di un cittadino qualsiasi che vive del suo e che non ha accesso ai giornali. Trasferiamo ora sulle sue spalle la vicenda Patelli e vediamo che ne esce.
Una giustizia al servizio dello stritolamento dei cittadini
Un “bel” dì, un sig. Rossi qualsiasi viene accusato di violenza carnale incestuosa. Ex abrupto. Di brutto. E da chi? Da un agente delle forze dell’ordine, da un’assitente sociale, da una maestrina d’asilo. Insomma, da un Carneade. Parte la macchina giudiziaria. In un battibaleno, l’accusato perde ogni rispettibilità e si trasforma in un mostro. Se poi è un personaggio minimamente pubblico è la rovina. Mesi e mesi sotto i riflettori con le spalle gravate dalla più infamante delle accuse. Vita sconvolta. Lavoro a ramengo. Affetti familiari distrutti. L’avvocato difensore dev’essere bravissimo e assai solerte per riuscire a seguire nel dettaglio il filo dei chili di carta che si accumulano nella cancelleria del Tribunale. Trascrizioni d’interrogatori e d’intercettazioni telefoniche (perché in primis il pm Forno mette sotto controllo il telefono tuo e dei tuoi), lettura scrupolosa di una documentazione sovente farraginosa e verbosa. Ci vuole il buon tempo per seguire tutto e costruire una difesa intelligente. Morale della favola, il costo dell’operazione raggiunge il centinaio di milioni. E (questo il caso specifico) Patelli che fa? Paga. Ringraziando l’implacabile macchina della giustizia italiana. Ma che fine ha fatto il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati? Il sig. Rossi come si regola, accendendo un mutuo per coprire le spese sostenute per farsi dichiarare, dopo mesi di calvario, totalmente innocente? E come la mettiamo con le centinaia di milioni che l’applicazione di un teorema giudiziario non suffragato dai fatti costa ai cittadini italiani, denari malamente spesi per istruire pratiche colossali, remunerare “esperti” e “periti” a volte deliranti, pagare i marescialli dei Carabinieri intercettatori, sbobinare i parlati e così via? Alla fin della fiera, il cittadino innocente falsamente accusato paga fior di soldoni. Di tasca propria. Oggi può capitare a chiunque. Nessuno escluso.
Perché Forno vuole trasferirsi a Torino
Colpito in sequenza da due clamorosi flop (i casi non pedofili di Patelli e del tassista Marino Viola, assolto il 21 dicembre su richiesta del pm Tiziana Siciliano), pare che Pietro Forno ambisca al trasferimento. Dopo 10 anni di assoluta (ed eccezionale) inamovibilità da Milano. Destinazione Torino. Perché lì? Boh. Solo che se Forno va in Piemonte ritrova, precisamente a Moncalieri, il Centro Studi Hansel e Gretel (collegato all’Associazione “Rompere il silenzio”; cfr. Tempi, anno VI, n. 26, 5-7-00), quello che assicura le perizie psicologiche sulle (presunte) vittime di atti di pedofilia e che sul tema organizza corsi di aggiornamento. In tutta Italia e a (profumato) pagamento. E che collabora strettamente con quel Tribunale dei Minori di Torino condannato a fine 1999 dalla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per violazione del diritto a un processo imparziale. Ora, l’Hansel e Gretel è diretto da quei coniugi Claudio Foti e Cristina Roccia coinvolti nel caso della famiglia di Sagliano, nella provincia di Biella, finito con il suicidio di quattro accusati di abusi incestuosi ed è lo stesso centro legato alle expertise sugli “orrori del modenese”. Solo che la Roccia non è laureata in Psicologia. E fino al 12 maggio 1999 non si era iscritta all’Ordine degli Psicologi (poi risulterebbe averlo fatto nell’Albo della Regione Toscana: misteriosamente, giacché lì non risiede, né è domiciliata, né esercita). Come riferisce il senatore (avvocato) Augusto Cortelloni, la pseudopsicologa è stata denunciata in diverse occasioni per esercizio abusivo di professione. Embè? Beh, il presidente del Tribunale dei Minori di Torino (quello condannato da Strasburgo per violazione dei diritti fondamentali della persona) è Giulia De Marco, moglie del presidente della Camera Luciano Violante. E presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, nonché componente della Commissione di studio e di revisione della normativa ordinamentale e processuale in materia di diritto di famiglia e dei minori (istituita il 2 ottobre 1999 presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia), oltre che relatrice ai convegni della Fondazione Internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli. Per esempio quello intitolato Minori, consumo di droga e narcotraffico, in occasione del quale la De Marco ha animato (con altri) la tavola rotonda Illegalià minorile e contesti culturali: quante Italie?, svoltasi il 25 maggio 1998 a Napoli in coda alle relazioni della giornata. Fra cui quella del marito Luciano Violante su Il rapporto tra il fenomeno “bambini e narcotraffico” e l’educazione alla legalità. Nel capoluogo piemontese Forno troverebbe molti vecchi amici. Dalle spalle larghe.
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