
La Serra della malinconoia
Ovviamente non si sono lasciati sfuggire l’occasione per la tradizionale polemica antiborghese (pur confessandosi borghesi) e anticonsumista (loro che praticano un consumismo raffinato), ma stavolta più che noia hanno suscitato sbigottimento nei lettori per l’eccesso di snobismo, per lo spleen senza speranza, per l’onanismo mentale dei loro commenti.
Tragedie e belletto
Il fatto è la tragedia di Novi Ligure, loro sono i corsivisti delle due famiglie intellettuali che godono di maggiore influenza nella grande stampa: quella post-comunista e quella azionista. Michele Serra e Barbara Spinelli sono i loro portabandiera. Su Repubblica e La Stampa hanno emesso rispettivamente i loro verdetti. Per Serra il colpevole della strage è «il Pieno… il vasto, febbrile posto dove ogni casa, ogni minuto, ogni vita sono pieni di cose da fare e da dire», «…la fitta foresta di desideri e impegni nella quale (i giovani) si smarriscono». Per la Spinelli il responsabile è «il Kitsch… il lindore di tende o cucine, il benessere senza più crepe, senza più orizzonti di sforzo, senza attesa… La villetta, le tendine, il fratellino, la mammina, il sassolino, il telefonino…». I rimedi, invece, sono i seguenti: «…la forza del vuoto, il privilegio della solitudine, la ricchezza della contemplazione, il lusso impagabile della distrazione»; «E’ nella solitudine e nel vuoto di certi pomeriggi… che sono assolutamente certo di avere inteso me stesso»; «Quanti dei nostri figli hanno potuto osservare, accucciati come minimi sacerdoti del tempo, una lumaca lasciare la sua scia su un muretto…» (Serra). «Non usare più l’aggettivo normale… Poi togliere belletto e tendine alle villette, e diminuire drasticamente i vezzeggiativi… Perfino il panino proviamo a chiamarlo semplicemente: il pane. E infine mettersi a cena con i propri figli e tentare una conversazione… ma a televisore spento». Cosa succede? Quale Chernobyl intellettuale ha investito alcune delle menti più eccelse della sinistra giornalistica, così da spingerle all’elogio del vuoto, della solitudine (scrive la Spinelli: «La méta è conoscere la solitudine: saperla vivere in posizione verticale su un piccolo quadrato di terra»), del ripiegamento intimistico, loro che predicavano socialità, rivoluzione o riforme radicali per cambiare il mondo? Lo abbiamo chiesto, per non uscire dal seminato, a giornalisti e direttori della carta stampata. Che ci hanno gentilmente risposto.
Lumache per lanterne
«Queste posizioni –spiega Pierluigi Battista, che de La Stampa è un editorialista- nascono dal pregiudizio culturale secondo cui la normalità e la famiglia in quanto tali sono criminogene, è nella normalità che si annida il virus delinquenziale. Si tratta di una cultura elitaria a cui manca totalmente l’elemento democratico-popolare, cioè la sintonia coi modi di vivere, di pensare, di provare emozioni, della gente ordinaria. Da ciò deriva un malinconico disprezzo del mondo, che è considerato come profondamente dannato, e la cui dannazione si annida proprio nei gangli della normalità. Alla fine questi intellettuali detestano l’America proprio per questo, perché quella americana è la cultura dell’every man, dell’uomo ordinario, ma per loro tutto ciò che è normale e ordinario è la fonte di ogni nefandezza». Simile è l’approccio di Maurizio Belpietro, direttore de Il Giornale: «A me quel che dicono Serra e la Spinelli sembra la versione riveduta e corretta della solita frase della sinistra davanti agli eventi criminosi: è colpa della società. Stavolta dicono: è colpa del troppo pieno, del troppo fare e avere. In questo c’è un certo odio per la normalità, che la sinistra-chic ha sempre avuto: ha sempre avuto in odio ciò a cui la stragrande maggioranza degli italiani ambisce, cioè una villetta, le tendine, una casetta piccolo-borghese. A loro i piccolo-borghesi fanno schifo, quel che agli operai piace, cioè l’aspirazione ad abitare in una villetta a schiera, la trovano orrenda, tremendamente kitsch. E alla fine trovano addirittura rassicurante che ci sia una ragazzina borghese che ha ucciso madre e fratello, perché se fosse stato un immigrato ne sarebbe andata di mezzo la responsabilità del governo, mentre così si può ribadire il vecchio concetto che è la famiglia a generare l’odio». La spiegazione social-consumista della tragedia non convince né Fabrizio Rondolino, già portavoce di Massimo D’Alema presidente del Consiglio, né Vittorio Feltri, direttore di Libero. «Di fronte a certe cose –dice Rondolino- la mia prima reazione è la constatazione dell’esistenza del male. Cioè del fatto che dentro l’essere umano c’è una pulsione omicida che in qualche modo fa parte della nostra natura, anche se quello di “natura” è un concetto che a suo tempo Marx e i marxisti hanno contestato duramente. In Serra vedo una posizione neo-pasoliniana, il suo discorso sulle lumache mi fa venire in mente le lucciole di Pasolini: questa critica della modernità che genera mostri perché ha distrutto la tradizione, le radici, la dimensione familiare e localistica dove esistevano i valori insieme alle lucciole e alle lumache, non mi ha mai convinto. Perché penso che nelle case dei nostri nonni succedessero cose anche peggiori di quelle della villetta di Novi Ligure. Solo che non si venivano a sapere». E Vittorio Feltri: «Non vorrei essere irriguardoso, ma Serra e la Spinelli sono voluti intervenire su una vicenda come quella di Novi Ligure, che ha colpito tutti, pur non avendo nulla da dire. E fin qui li posso capire. Ciò che non si può ammettere è la loro pretesa di spiegare ciò che spiegabile non è. Che spiegazione vogliamo dare a una cosa che sfugge a tutte le categorie? Bisogna andare a guardare dentro all’uomo con criteri diversi, magari attraverso i criteri cristiani puoi capire. Bisogna rassegnarsi all’idea che l’uomo può commettere il male».
Se l’uomo è una bestia, l’intellettuale è un Crepet
Fuoco ad alzo zero anche sui rimedi proposti. «Non ho nulla –dice Battista- contro l’apologia della solitudine, che è una grande risorsa umana. Quel che non va è la rinnovata pretesa degli intellettuali di dettare al popolo come deve vivere. È una forma mentale di giacobinismo culturale che coinvolge anche gente come Paolo Crepet: l’idea che l’umanità si debba conformare a degli schemi astratti, pre-costituiti, che un gruppo di depositari della ragione fissa una volta per tutte sulla base della logica tardo-illuminista. Usare i valori della solitudine, dell’intimismo, contro cui non ho nulla, come argomenti per una fustigazione pubblica dei nostri concittadini che si riuniscono in famiglia e vivono nelle villette a schiera, questa è una cosa insopportabilmente giacobina». «Io credo –dice Rondolino- che cose come portare i figli a vedere i monumenti (Spinelli) o dedicarsi alla meditazione (Serra) sono buone, ma non portano la salvezza, bensì la presuppongono: chi fa quelle cose dimostra di essere “salvo”, chi non è già salvo non si metterà a farle. Io credo molto nel valore della politica e anche, per chi ci crede, in quello della religione come strumenti di intervento razionale sulla storia e sui comportamenti umani perché non degenerino completamente. Io penso che l’uomo sia un barbaro, una bestia, come diceva Bracardi, e che la civiltà rappresenta il movimento intellettuale, politico, filosofico ma anche coercitivo –perché la polizia è un’istituzione fondamentale della società- che impedisce all’uomo di essere ciò che finirebbe per essere». «La Spinelli –spiega Feltri- dice la stessa cosa che dice Vittorino Andreoli: bisogna parlare di più con i figli. Ma quando mai! Io insisto che bisogna parlare il meno possibile, perché meno parliamo, meno stupidaggini diciamo. I figli non ascoltano le nostre parole, guardano il nostro esempio. Tutto quello che imparano da noi lo imparano dal nostro esempio. E Serra? Si crede intelligente perché propone la distrazione e il far niente, come se fossero cose che ha fatto solo lui da ragazzo. Ma se non c’è nessuno come gli adolescenti che se ne stanno per ore in camera loro, sdraiati sul letto a guardare il soffitto! Serra crede di aver contemplato solo lui, ma contemplano pure quelli che oggi hanno 13 anni, mica sono più scemi di Serra. Ho avuto quattro figli e so come fanno, se ne stanno a guardare il soffitto anziché studiare, e io mi incazzo: “Studia, che hai preso quattro! “. Se studiassero un po’ di più anziché starsene lì, patirebbero meno la depressione». Dice Belpietro: «Che la sinistra, già dominatrice delle piazze e delle manifestazioni, oggi proponga invece di coltivare la solitudine e di abolire i vezzeggiativi non la trovo una cosa strana, rimanda a quello che dicevo sopra: la solitudine di questi signori è la solitudine del radical-chic che disprezza le masse, la televisione e la normalità. L’elogio della solitudine è molto consolante, perché permette loro di dire: “noi siamo diversi, siamo migliori”. L’esaltazione della solitudine, alla fine, non è altro che l’esaltazione di loro stessi, della loro propria solitudine, innalzata a valore universale».
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