
«La scuola pubblica surclassa quella privata? È tutto da dimostrare»
La Fondazione Agnelli ha reso pubblica un’indagine sulle scuole superiori di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Calabria e sulla loro capacità di preparare gli studenti al percorso universitario. Lo studio ha riguardato i risultati di profitto e rendimento agli esami universitari di oltre 145.000 diplomati provenienti da 1.011 istituti, che si sono immatricolati e hanno frequentato il primo anno accademico. L’obiettivo è individuare la provenienza dei migliori studenti. Le conclusioni della ricerca fanno emergere la buona qualità della formazione fornita dagli istituti tecnici. Gli studenti dei piccoli centri, inoltre, hanno in media risultati universitari migliori rispetto ai grandi centri urbani.
Infine, nonostante la presenza di alcune realtà di chiara eccellenza, le performance della maggior parte delle scuole non statali è deludente rispetto a quelle statali. Sia in Lombardia che in Piemonte gli istituti paritari si trovano nella parte bassa della classifica. «Di quest’ultimo punto ne hanno dato notizia i principali quotidiani nazionali, con titoli sempre dello stesso tenore: “La scuola pubblica surclassa quella privata”. Ed è sbagliato», chiosa Massimo Introvigne, filosofo e sociologo torinese.
Però per esempio in Piemonte scuole da sempre considerate eccellenti sono finite oltre il centesimo posto. Perché?
Premetto che la Fondazione Giovanni Agnelli è una realtà serissima e pretigiosa. Il problema riguarda i giornali, che non hanno saputo o voluto leggere a fondo i dati della ricerca, che è stata fatta con una scelta metodologica ben precisa, spiegata nel dettaglio.
Vale a dire?
L’indagine classifica le scuole secondarie sulla base dei risultati ottenuti dagli alunni nel primo anno di Università, a prescindere dal numero di questi alunni. Questo penalizza, di fatto, le scuole da cui un numero superiore di allievi passa all’università. Mi spiego con un esempio: poniamo il caso un istituto tecnico che su cento allievi, veda iscriversi a un corso di laurea dieci studenti, i migliori. In un un liceo classico, invece, su cento ragazzi se ne iscrivono novanta. Facendo la media di questi risultati, è chiaro che i dieci saranno avvantaggiati rispetto ai novanta. Credo che riuscire a mandare tanti alunni all’università sia un merito della scuola, non conta soltanto la qualità, ma anche la quantità.
È solo un problema di scuole cattoliche contrapposte alle statali?
In quanto cattolico, rischierei di sembrare di parte, quindi escludiamole dalla discussione. Parliamo del Liceo Massimo D’Azeglio, una delle eccellenze italiane in cui insegnarono figure di spicco del panorama culturale torinese, molte delle quali care alla sinistra. Non è nei primi venti, perché all’università sono andati in molti e non sempre con risultati brillanti. Al primo posto c’è un istituto tecnico commerciale, contro cui io non ho nulla, sia chiaro. Ma la mia obiezione è questa: undici alunni di Fabriano, particolarmente dotati, sono andati all’università e hanno avuto ottimi risultati. Tutti gli altri no. Insomma, bravi ma pochi. Si tratta di un limite che i ricercatori stessi evidenziano, osservando che per le scuole con pochi ex allievi che s’iscrivono all’università «il risultato può risentire positivamente o negativamente della presenza di alcuni studenti particolarmente brillanti o carenti». Ma nessun giornale l’ha messo in rilievo: era più comodo scagliarsi contro le scuole non statali.
@Sirianni Chiara
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