La scossa realista

Di Laura Borselli
19 Aprile 2011
A un anno dalla "rivoluzione" nell'istruzione superiore, il ministero fa il punto. Biondi: «Aiutiamo i ragazzi a scegliere. Oggi è più facile farlo»

Se l’Università italiana aspetta i decreti attuativi della riforma licenziata alla Camera, la scuola secondaria corre già sui binari progettati dallo staff del ministro Gelmini. Un viaggio iniziato all’insegna della razionalizzazione degli indirizzi per i licei e di una rimodulazione dell’istruzione tecnica e professionale. «I primi diplomati con questo sistema li avremo tra cinque anni, ma già adesso è cambiato molto», spiega Giovanni Biondi, capo del Dipartimento Programmazione al ministero di viale Trastevere.

«Oggi è molto più facile per le famiglie orientarsi, basti pensare che fino a due anni fa c’erano 730 indirizzi sperimentali anche fortemente diversi tra loro e oggi ci sono sei tipologie di liceo». Ragazzi e famiglie hanno dovuto esercitare la loro opzione entro il 12 febbraio scorso. I dati di quest’anno (e dunque relativi alle iscrizioni per l’anno scolastico 2011-2012) saranno disponibili a giorni, ma quelli dell’anno precedente tracciano una mappa della scuola secondaria italiana già decisamente nuova. I quattordicenni si sono trovati di fronte sei licei e il cuore si è scaldato per tre novità introdotte. Vero e proprio boom per il liceo musicale e coreutico. «A dare retta a tutte le richieste – riprende Biondi – dovremmo istituirne 15 solo in una regione, mentre il limite fissato è di 40 a livello nazionale».

Molte preferenze anche per lo scientifico senza il latino (il più scelto in assoluto) e per il liceo delle scienze umane con l’aggiunta dell’economia, che ha sostituito il fu magistrale. «In generale abbiamo osservato un aumento considerevole dei ragazzi che si buttano sull’area scientifica e tecnologica». Si buttano e riescono, stando ai risultati delle valutazioni Ocse-Pisa, resi noti alla fine dello scorso anno. Il programma mira a verificare le competenze base dei quindicenni (matematica, scienze, lettura) per valutare i progressi o i regressi tra le nazioni partecipanti. Ed è sempre stato negativo per l’Italia, fino, appunto, allo scorso anno. Allora gli studenti italiani hanno recuperato sei posizioni nella classifica internazionale sulle competenze in Lettura, passando dal 36° al 30° posto. E questo nonostante il numero di nazioni partecipanti alla ricerca sia aumentato da 57 a 65. Significativi miglioramenti anche in Matematica e Scienze.

Nel dettaglio emergono divari tra Nord e Sud. «Di fatto abbiamo recuperato dieci anni di caduta libera, perché dal 2000 eravamo sempre scesi. Quanto alle differenze territoriali, se è vero che la distanza tra studenti del Nord e del Sud resta consistente, è altrettanto vero che ci sono regioni del Meridione che hanno realizzato performance eccezionali. Penso alla Puglia, che grazie a un uso intelligente dei fondi Pon ha migliorato la qualità, cosa che non è accaduta ad altre regioni che hanno ricevuto gli stessi stanziamenti… Insomma il Sud non è una condanna e la Puglia lo dimostra». I dati Ocse registrano anche maggiori lacune nelle competenze di studenti degli istituti professionali rispetto ai colleghi liceali. «Non è una novità perché tradizionalmente sono i ragazzi “scolasticamente” più deboli che scelgono questo tipo di scuole», nota Biondi. Ma non è detto che debba sempre essere così. Anzi.

L’orientamento degli studenti in uscita dalla terza media, che pure resta in capo alle singole scuole, viene seguito con particolare attenzione dal ministero. Lo dimostrano i materiali informativi messi a disposizione di insegnanti e famiglie, non solo per spiegare la riforma, ma anche per scalfire convinzioni purtroppo dure a morire nell’immaginario comune. A cominciare da quella che vede l’istruzione tecnica e professionale come un percorso di serie B riservato, generalmente a “maschi svogliati”. «In mano abbiamo i dati del sistema produttivo italiano ed è sulla base di quelli che abbiamo cercato di promuovere una scossa realista: non possiamo orientare i ragazzi a prescindere da quello che cercano le imprese».

In effetti i numeri Excelsior elaborati da Confindustria education rivelano scenari inattesi. Nel 2009 le imprese cercavano 214 mila diplomati tecnici e professionali. La stessa richiesta è cresciuta a 236 mila nel 2010, quando le scuole ne hanno “sfornati” solo 126 mila. Significa che lo scorso anno il sistema produttivo italiano aveva bisogno di 110 mila diplomati tecnici e professionali che non ha trovato. Ciò che le associazioni di piccole e medie imprese e artigiane vanno ripetendo (si veda l’interessante racconto del presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini a pagina 36), arriva anche nei corridoi di viale Trastevere.

«Quante volte mi è capitato – racconta Biondi – di raccogliere lo sconforto degli imprenditori del made in Italy, che se va via un ingegnere se ne fanno una ragione, ma se si licenzia un tecnico di produzione sono disperati e vanno personalmente a convincerlo a restare». Ecco allora che l’orientamento per i ragazzi delle medie propone gli istituti tecnici e professionali per tutti (anche per le ragazze, con uno specifico orientamento “rosa”) e invita a “non credere alle favole”. «Stiamo cercando di fare incontrare domanda e offerta. Sappiamo che ci sono delle zone del nostro paese che fanno fatica a svilupparsi perché non trovano professionisti adatti, io credo che questo ai ragazzi vada detto. È impensabile che il problema del mercato e del lavoro non entri affatto nella scelta. Il motivo per cui siamo contrari ad ampliare eccessivamente il numero dei licei musicali è anche questo: non possiamo rischiare di fare delle fabbriche di disoccupati. Un ragazzo deve essere aiutato a distinguere tra la passione personale che può avere per la musica e quello che domani sarà il mondo del lavoro. Forse da questo punto di vista la crisi può essere un’occasione salutare, una sorta di sprone a stare con i piedi per terra?

«Perché no. Sicuramente c’è ancora un cattivo orientamento, insegnanti che ancora indirizzano i “bravi al liceo” e i “somari al lavoro”, ma non è detto che questo momento di difficoltà economica non ci inietti una sana dose di realismo».

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