
La scalata della PMI
Tra tutte le cose portate a compimento in limine mortis dalla maggioranza, mentre l’allarme sul debito pubblico saliva oltre i livelli di guardia, pare a me che il provvedimento di gran lunga migliore sia lo Statuto delle Imprese. Il merito primo è di Raffaello Vignali, ha combattuto in tre anni e mezzo come un vero gladiatore. È una legge manifesto, e come tutte le leggi manifesto abbisogna di un’intensa ed efficace opera di attuazione attraverso numerosi provvedimenti esecutivi, senza i quali il più dell’innovazione resterebbe altrimenti sulla carta. Ma c’è da sperare che il nuovo governo, che dovrebbe nascere mentre scrivo per rispondere all’emergenza internazionale alimentata dall’Italia, abbia proprio nella sua capacità realizzativa il punto di forza che al centrodestra è invece mancato. Visto che il più dei provvedimenti dai quali doveva discendere il ridisegno dell’Italia, dalla delega di riforma fiscale a quella sulla riforma del welfare attraverso il riordino delle detrazioni e deduzioni, è rimasto appunto scritto su carta. La piccola impresa è il cuore dell’Italia produttiva. E chiede una rivoluzione profonda del contesto pubblico di disincentivi contro i quali deve combattere. I livelli di produzione manifatturiera in Italia risultano ancora inferiori del 17 per cento rispetto a quelli prerecessivi dell’aprile 2008, anche se risaliti di 10 punti rispetto al minimo dell’aprile 2009. Nella media Ue i volumi manifatturieri sono inferiori sì, ma dell’8,5 per cento. In Germania siamo a un modestissimo meno 2 per cento, sul 2008. Purtroppo, l’intera euroarea, come il mondo avanzato, è in forte decelerazione per la crisi da eccesso di debito pubblico. Ma da noi come al solito il colpo sarà più grave. E bisogna fronteggiarlo, perché l’impresa non può continuare a fare il miracolo da sola. Nel nostro paese, il solo manifatturiero nell’industria dà lavoro a circa 4,5 milioni di persone, con oltre 500 mila unità produttive. Solo la Germania ci supera, con 7,5 milioni di dipendenti. In Francia sono 3,6 milioni, nel Regno Unito 3.
La nostra vocazione manifatturiera è appunto concentrata, a differenza di quella degli altri paesi avanzati concorrenti, nella “piccola”. Il 78 per cento degli addetti è in imprese sotto i 250 dipendenti, il 56 sotto la soglia dei 50. Oltre il 60 per cento dei più di 900 miliardi di fatturato 2010 del manifatturiero italiano viene dalla fascia Pmi, oltre i due terzi del valore aggiunto creato, oltre il 55 per cento dell’intero fatturato italiano sull’estero. In alcuni settori, come i macchinari, gli apparati elettrici e la meccanica strumentale, le percentuali Pmi sull’export di comparto superano il 70 per cento. E sono cresciute in tutti gli anni di crisi alle nostre spalle. È cresciuto il numero delle esportatrici italiane, sino a oltre quota 215 mila, trainate dalle 5.500 “multinazionali tascabili” del quarto capitalismo recensito da Mediobanca. È cresciuto il numero delle internazionalizzate, cioè di quelle che controllano e partecipano almeno 3 branche in paesi diversi dal nostro, fino a superare nel 2010 il numero di 24 mila. Eppure, nella classifica Doing Business della Banca Mondiale nel 2011 siamo scesi all’87esima posizione, dalla 65a che ricoprivamo nel 2009. Le imposte le abbiamo alzate, invece di abbassarle. L’Irap resta, nella sua totale anomalia mondiale. Abbiamo appena confermato, per sentenza della Corte costituzionale, il raddoppio degli obblighi di tenuta di libri e documenti fiscali per l’impresa, da 4 a 9 anni, perché l’amministrazione tributaria anche scaduti i termini può passare le carte a una Procura e i guai sono per l’impresa, se si è fidata del termine di 4 anni che vigeva. Il cuneo fiscale resta scandalosamente elevato: per un lavoratore che percepisce 1.220 euro netti al mese 100 euro di aumento netto hanno un costo aziendale di 231 euro. Per un addetto che riceva 1.700 euro netti al mese, 100 euro in più in tasca comportano 275 euro di costo aggiuntivo all’impresa. Che dire di più? Che per gli aiuti all’internazionalizzazione non siamo riuscirti a venire a capo del pasticcio fatto sull’Ice dal governo a luglio. Che la promessa riforma degli incentivi su R&D è rimasta sulla carta. Che lo sportello unico per l’impresa promesso a tutti i livelli della Pubblica amministrazione e delle Autonomie è utopia ancora quasi nel 90 per cento dei casi. La via è lunga, per ricambiare, anche solo in parte, le piccole e medie imprese italiane del miracolo che ci regalano ogni giorno.
Oscar Giannino
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