La salvezza non è nella tranquillità, ma nella verità

Di Luigi Negri
15 Aprile 2022
Il Venerdì Santo è il giorno in cui dire: «Tu sei la mia forza». Una meditazione inedita di monsignor Luigi Negri

Pubblichiamo la meditazione inedita che monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, scomparso il 31 dicembre 2021, pronunciò venerdì santo 19 aprile 2019 alla Chiesa Madonna della Medaglia Miracolosa, Milano.

«Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Da qui occorre partire e non dalla falsa posizione che riduce il problema della vita quotidiana, con le sue gioie e con i suoi dolori, con la tentazione di superbia o di depressione che l’accompagna, al problema di ristabilire l’equilibrio psico-affettivo, il quale ha finito per sostituire il bene e la verità, perché il benessere psico-affettivo sembra oggi l’unica forma di verità e di bene per l’uomo. Come invece non desiderare, fratelli, che il Signore ci conceda di avere il senso della nostra miseria. Parlare della miseria in questo giorno non significa parlare di qualcosa di astratto perché la miseria è la presenza del demonio che cerca di ghermire e di impadronirsi del Figlio di Dio e, siccome per il santo Battesimo che ci è stato dato, senza nessun merito, non per l’intelligenza che abbiamo e non per la parte politica che sosteniamo, ma nel modo più povero e più semplice che ci sia, noi siamo diventati figli di Dio, il suo attacco ci riguarda.

Quando nella Chiesa si parlava meno della povertà, si ricordava che il Battesimo è il sacramento più grande, quello che apre la via al cielo; il battesimo è porta del cielo come, per altri versi, lo è la Madonna. Il Signore per primo ha fronteggiato il demonio e non si è tirato indietro, dice il profeta Isaia con secoli di anticipo: «Ma il Signore, Dio, mi ha soccorso; perciò non sono stato abbattuto; perciò ho reso la mia faccia dura come la pietra e so che non sarò deluso» (Is 50, 7). E grazie a questa forza che ci è stata data, noi affrontiamo l’esistenza in tutta la sua complessità, perché in ogni caso emerga la vittoria di Cristo. Questa è la vittoria che vince il mondo, questa la nostra fede: non la nostra intelligenza per quanto collegata alla fede, illuminata dalla fede; non la nostra moralità, forse più presunta che reale; non la nostra solidarietà umana, quando sa liberarsi dai vincoli degli interessi, cosa che accade pochissime volte; non tutto questo, ma la profondità e la verità di una Presenza che ci accompagna è la nostra vittoria.

Il Venerdì santo il Signore è stato ghermito dal demonio che l’ha impegnato fino allo spasimo, ma il Padre non l’ha lasciato. Per bocca di san Paolo arriva a noi la più grande, la più vera e la più consolante delle certezze: “ti basta la mia grazia”, come ha detto sant’Agostino e ha ripetuto con venerazione e tremore il beato cardinal Newman. Hai bisogno di soldi? No e, comunque, non cercarli. Hai bisogno di affetti? Ti basta l’affetto del Signore. Hai bisogno di corrispondenza? Tutte le corrispondenze umane o sono segno della corrispondenza che ricevi da Cristo o sono menzogna. Hai bisogno di consolazione? L’unico che ci consola è Cristo.

Quindi questo Venerdì santo, il giorno della morte, è il giorno in cui il demonio ha creduto di poter spazzare via Gesù di Nazareth, con la folla che gridava “uccidilo, crocifiggilo”, sottoponendolo alla pena dei delinquenti, alla pena di coloro che, essendo stati espulsi dalla comunità, dovevano morire fuori dalle mura, da soli, mentre il popolo li deprecava lanciandogli pietre addosso per ribadire il proprio disprezzo. Il Signore ha accettato tutto questo, il Figlio di Dio ha accettato di morire per mano degli uomini, il Signore Gesù Cristo ha accettato di passare attraverso le folle turbolente che gridavano di farlo fuori.

Quanti nostri fratelli in questi anni, nel silenzio omertoso di ciò che rimane della nostra cristianità, sono andati al supplizio tra folle vocianti che gridavano “ammazziamoli”? Decine, centinaia, un numero imponente ogni mese, per non dire ogni giorno. Un numero imponente di gente che ha vissuto il martirio, magari nel silenzio, nell’abbandono e nel disprezzo, nel rifiuto dei padri e delle madri, nel dileggio dei figli, nel disprezzo dei parenti, nella disistima degli amici. Ogni giorno il Signore passa attraverso le folle che ne invocano la morte.

Noi, infatti, siamo resi una cosa sola con Lui. Non sono eventi simili, come se si trattasse di un ideale grande con cui cercare di immedesimarsi, perché il Signore è entrato nella nostra vita e ci ha fatto diventare una cosa sola con Lui: «Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,19).

Don Luigi Giussani ricordava che questo è l’inizio di una potente ascesi e di una potente contemplazione, ma l’ascesi e la contemplazione poggiano su un giudizio. Cristo è presente perché noi Lo riconosciamo presente e riconoscerLo presente non è un sentimento, non è un’emozione affettiva, non è un impegno etico, ma l’inizio di quella cosa straordinaria che è il mysterium caritatis di cui ci ha parlato Benedetto XVI. Il cristianesimo è una presenza, il mistero di Cristo in cui Dio si fa presente e che possiamo incontrare, seguire e amare nella sua Chiesa. IncontrandoLo, seguendoLo e amandoLo possiamo implorare che la nostra intelligenza cambi, si dilati.

Nella certezza di Dio la nostra intelligenza si dilata e investe il mondo con tutta la fiducia che la ragione non può non avere in sé, ma anche con tutta l’umiltà che la ragione non può non avere in sé, aspettando da altro il suo compimento; la ragione vuole la fede, la desidera come parte essenziale di sé e la fede vuole la ragione come strumento fondamentale della sua comunicazione agli uomini. La fede si comunica perché veste i panni della razionalità, veste la forza dei valori intellettuali, veste l’immagine dei valori morali; sente come proprio quel bene comune della società che è legato alla presenza cristiana. Si vive per Cristo, ma il segno che si vive realmente per Cristo è che si vive con gli uomini e per gli uomini.

Nel Venerdì Santo mentre il demonio sembra spadroneggiare, noi ci rifugiamo sotto il manto della Madonna perché la Chiesa ha una madre e l’umanità ha una madre. Nell’umiltà della nostra vita quotidiana, mentre il tempo che passa scandisce la contingenza delle cose, il nostro cuore respira dell’eterno e, il giorno in cui il demonio sembra vincere, noi chiediamo che non vinca in noi; chiediamo che anche noi, come Lui, alla fine di una giornata tormentata, magari di una vita tormentata, alla grande domanda che ci viene da Lui e dalla storia, «Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio», possiamo rispondere con Lui: «Tu l’hai detto» (Mt, 26,63), che è come dire, “sì lo sono”. Questo, con tutto il male che c’è dentro di noi e c’è attorno a noi, è l’unica cosa che ci conforta: Tu Fortitudo mea, Tu sei la mia forza.

Ora entriamo di più in questo mistero di debolezza e di forza, con la certezza che alla fine fiorirà una confessione più grande di Lui, rivelando a pieno la sua utilità. Infatti, la vita è utile perché serve per verificare che Dio è con noi. La vita non avrebbe nessuna dignità, se noi non verificassimo nello scorrere della vita che il Signore ha già vinto. Nello scorrere della vita quotidiana il demonio sembra vincere in noi perché c’è una mobilità del sentimento e dell’affetto che ci lascia sempre inquieti e, siccome non desideriamo più la verità ma la tranquillità, la perdita di quest’ultima è fonte di crisi, la quale spinge la gente a rivolgersi agli psicoterapeuti.

Siccome non abbiamo la tranquillità siamo alla ricerca della tranquillità perduta e, come diceva un grande poeta, è tempo che si perde. La vita è un tempo perduto, se nello scandirsi delle ore e dei giorni non aumenta la certezza che il Signore è con noi. Se Egli è con noi, nulla ci potrà mai vincere. Ma il demonio, che ha tentato il Figlio di Dio, che si è lasciato tentare, tenta anche noi che in maniera sostanziale siamo stati resi in Cristo e per Cristo figli di Dio, come dice Paolo: «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,26). Noi siamo figli di Dio, non per modo di dire, ma realmente.

Qual è la forza del demonio in noi? Non mi soffermo in descrizioni perché basta che ciascuno di noi guardi in sé stesso, come diceva sant’Agostino. Ma questo demonio, che ha teso a dominare il Signore, lungo tutta la tremenda giornata del venerdì, alla fine non Lo ha dominato perché quel venerdì noi lo ricordiamo come il Venerdì santo, il venerdì in cui Cristo si è reso presente, e così la nostra vita è santa perché Cristo è presente e non perché alla fine noi abbiamo saputo ricomporre la nostra tranquillità, messa a prova qua e là nel corso della nostra vita.

Nelle circostanze dell’esistenza il demonio cerca di dominarci e il primo aspetto del dominio è che tenta di espropriarci della nostra umanità, tenta di espropriarci di ciò che rende dignitosa la vita. La vita non è dignitosa, come dicono tutti, cominciando dall’Onu, perché ci sono stati riconosciuti tutti i nostri diritti. Ovviamente senza nessun contrappunto dei doveri, secondo l’assurda utopia della mentalità di oggi per la quale si ritiene che ci siano diritti senza doveri, cioè che ci siano diritti senza che il diritto si misuri con una cosa più grande di sé che è il fondamento di ogni diritto, cioè almeno l’intuizione del mistero di Dio, e certamente la certezza della presenza di Cristo. I diritti, così affermati, diventano un vaniloquio: abbiamo visto affermare diritti di ogni tipo: diritto di sbagliare, diritto all’omosessualità conclamata con la pretesa che due maschi o due femmine possano sposarsi tra loro, il diritto alla maternità, anche quando questa non è possibile, e tutta una serie di altri diritti, sempre senza i corrispettivi doveri, che sono l’espressione terribile della propria istintività, resa norma della vita. Non occorre tirare in ballo «l’uomo misura di tutte le cose», come dicevano i greci, i quali affermavano comunque qualcosa di molto più intelligente perché ribadivano che la dignità dell’uomo consiste nel capire e conoscere il reale. Senza questa tensione verso la conoscenza della realtà che cosa è l’uomo? «Un pover uom tu se’», come fa dire Carducci ai cipressi «che a Bólgheri alti e schietti/ van da San Guido in duplice filar» (Carducci, Davanti a San Guido).

Non dobbiamo chiedere al Signore che ci venga data la tranquillità, ma che ci venga incrementata la verità. Questo rende la vita dignitosa perché questo è l’unico grande diritto che abbiamo: essere autenticamente figli di Dio. Poi vengono tutti gli altri diritti, quelli per i quali l’umanità ha spesso combattuto e che vengono raffigurati nelle pitture che gremiscono le sale pubbliche della nostra libera e democratica Repubblica. Ci sono diritti perché c’è innanzitutto il grande dovere che abbiamo verso Dio, mentre, se recidete questo, i diritti cadono come birilli.

Chiediamo che la nostra vita di ogni giorno, che è provata dal demonio, alla fine possa risolversi in una grande professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Questo chiediamo. Avete tutti una certa età per rendervi conto che non c’è “l’isola del tesoro”, perché, per quanto si ottenga la tranquillità, essa non sarà mai permanente; la tranquillità non si mantiene; al massimo, siccome il Signore è buono, ce ne dà qualche sprazzo nella vita. Come diceva san Paolo, sono le primizie che però non sono la verità ultima, ma un anticipo. Noi dobbiamo essere attaccati a queste primizie perché amandole amiamo Colui che, attraverso di esse, ci dispensa sé stesso.

Egli è il compitore e il perfezionatore della fede: il compitore perché per primo ha vissuto la fede e il perfezionatore perché, dandocela attraverso il Battesimo, la incrementa con la Sua presenza, con la Parola, con i Sacramenti e con la carità fraterna. Non c’è fede senza questi tre fattori: fede, carità e amicizia, come diceva don Giussani che spesso, commovendosi, parlava di questa nostra grande compagnia. Questa grande compagnia non è la soluzione meccanica di tutti i nostri problemi – come avremmo desiderato e preteso – perché è la risposta della verità che può apparire circondata di luce – e la cosa ci riempie di conforto –, oppure può apparire circondata di dolore – e la cosa non ci conforta.

Non possiamo dirci indifferenti al dolore perché, come diceva Miguel Mañara, il dolore morde la nostra anima, e noi possiamo solo chiedere la sua Presenza. Siccome il Venerdì santo è il giorno del demonio, nonostante sia sorto come ogni altro giorno, più che mai dobbiamo affermare, con il grande teologo A.J. Möhler, «io penso che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare». Che lontananza, come ci ha fatto capire anche Benedetto XVI, da quella teologia saccente e vanagloriosa che sa solo compiacere il mondo, affermando, per quanto possibile in anticipo, quello che il mondo si aspetta da noi: il mondo dice legalità, noi dobbiamo allora dire legalità perché non possiamo metterci contro il mondo… Nessuno sembra più affermare che non bisogna mettersi contro Dio, perché il mondo è forte e Dio è debole, tanto che è morto su un pezzo di legno vituperato dai suoi nemici.

Noi non dobbiamo chiedere che ci venga ridata ogni giorno la tranquillità, ma dobbiamo chiedere al Signore che Egli non ci abbandoni nella buona o cattiva sorte, nella salute o nel dolore, nella gioia e nella malattia; dobbiamo chiedere che ogni giorno diventi santo, che diventi luogo della presenza del Signore, luogo dove Lo incontriamo, Lo riconosciamo, Lo seguiamo, perché ciascuno possa amarLo come diceva Jacopone da Todi sopra ogni cosa. E aggiungeva: «non mai finissi». L’unica cosa da chiedere a Dio è che non finisca il nostro amore per Lui; crollino pure i mondi, perché, al di là di tutti i discorsi sui cambiamenti climatici che oggi sembrano occupare il primo posto anche nella Chiesa, al mutamento dell’uomo ha risposto Dio, cambiando l’uomo.

Noi abbiamo bisogno che finisca questa mediocrità che tende ad azzerare il dramma dell’uomo e il suo bisogno di salvezza. La mediocrità in cui viviamo è peggio del nichilismo, perché quest’ultimo ha comunque avuto la dignità di sfidare Dio, come emerge chiaramente nel Capaneo dantesco, tante volte commentato da Giussani. Capaneo bestemmia Dio ma in questo bestemmiare recupera una cosa misteriosa ovvero la sua dignità, della quale non saprebbe neanche di essere portatore, al di fuori della lotta con Dio. Invece, oggi sembra che la vita, dove è tutto uguale, debba essere anestetizzata contro tutto e contro tutti, difesa soprattutto dall’unico che può permanentemente turbarla, ovvero Dio. Dio, infatti, è un’inquietudine, una perturbazione permanente.

Una delle ultime volte che Giussani è andato al Meeting, alla domanda «cosa augura ai suoi giovani?» rispose: «anzitutto che siano veramente miei e, secondo, che non stiano mai tranquilli». Quale padre oggi desidera questo? Che i suoi figli siano suoi, non come possesso, e soprattutto che vivano tutta la grandezza di questa inquietudine, nella quale vibra e batte il cuore dell’essere. Il demonio cerca di toglierci questo e ha a disposizione dei mezzi incredibili che forse non ha mai avuto a disposizione prima. Come Benedetto XVI ha sintetizzato con il termine tecno-scienza, il potere con cui oggi è possibile soggiogare l’uomo non ha precedenti. Tuttavia, non dimentichiamo che anche prima di oggi e della tecnoscienza, l’uomo, a causa della superbia, ha deciso di considerare Dio come qualcosa di inutile, finendo per identificare la libertà con la negazione di Dio come mistero presente, con la negazione di Dio come fondamento della persona e della società e quindi fonte di quel bene comune il perseguimento del quale è l’espressione più alta dell’umanità.

La grandezza dell’uomo non consiste nel perseguire il proprio interesse, ma nella consapevolezza di servire la sua Presenza nella società in cui vive. Come emerge anche nell’esperienza quotidiana di una vita semplice come quella della mia povera mamma che, senza fare niente di particolare, però viveva nella consapevolezza implicita di dare un contributo fondamentale alla vita della società e, per questo, è vissuta libera, lungo una vita del resto apparentemente normale, ma segnata di grandi gioie e di grandi dolori nei quali ha saputo dire sempre di sì al Signore, qualsiasi cosa le chiedesse, anche cose terribili come la morte dei figli.

Noi non dovremmo chiedere che la nostra vita sia senza problemi, ma che la nostra vita sia vera e cioè che sia da noi quotidianamente consegnata a Lui perché Lui la prenda su di sé e, come diceva Bernanos, invada la terra del nostro cuore senza lasciare neanche un pollice che non sia conquistato. La difesa dal demonio è la fede; la forza per vincere sul demonio è la fede che rende la vita un cammino positivo da un punto ben chiaro di partenza – che alcuni confondono con il Big Bang e con tutte quelle teorie che al massimo descrivono come sono andate le cose, ma non cosa sia realmente accaduto – a un punto chiaro e certo di arrivo. Tutto ha avuto un inizio, che ha reso possibile l’esistenza, e tutto ha un fine verso il quale camminiamo, in cui tutto ciò che abbiamo vissuto di bene e di male sarà colto e giudicato. Attraverso questo giudizio – perché senza il giudizio non c’è il cristianesimo, ma solo un larvato buonismo, un larvato sentimentalismo – l’uomo che vive dello Spirito giudica il mondo, giudica tutto e non è giudicato da nessuno.

Amici, ogni giorno abbiamo davanti questa alternativa: o accettare una vita che scorre verso il nulla, il sentiero terribile del nulla, oppure una vita che percorre il sentiero luminoso dell’Essere. Come ha chiarito in modo esemplare Benedetto XVI, forse colui che più di ogni altro ha saputo indagare il mistero del Signore, tanto che credo che la Chiesa dovrà riconoscerli, quando sarà giunto il tempo giusto, tale grandezza, pari a quella dei grandi Dottori della Chiesa.

Ora in questo fidatevi della Madonna che ci è madre, che non sospende il suo affetto di fronte a niente, che cammina fiduciosa dietro il Cristo, quando bambino Lo accudiva, quando adulto, Lo ha visto salire verso la croce. Negli occhi della Madonna si è come impresso, per non essere più dimenticato, il volto del Signore che soffriva, così che la sofferenza della Madonna, stampata sul suo volto, ci ricorda, prima e più del dolore di Cristo, il dolore della Madonna, che è stato una cosa umana, mentre in Cristo non era solo cosa umana.

Questo demonio che ci ghermisce o che tenta di ghermirci ha il volto del potere, che, in qualsiasi forma si presenti, ha la sua radice nell’inimicizia verso Dio. Il più terribile dei poteri è quello che usa Dio e la religione per affermare sé stesso, così che toccò a un ometto, forse non molto alto, come me, sant’Ambrogio, sbarrare sulla porta della Basilica la strada all’imperatore, ricordandogli che, pur essendo l’imperatore una cosa grande sotto il cielo, egli, Vescovo di Milano, difendeva i diritti del cielo, contro i suoi soprusi. Oggi sembra che la Chiesa non faccia più questo, come esperienza normale, salvo in qualche ambito eccezionale, poche volte, attraverso la voce di alcuni, spesso dileggiati. È come se il demonio dicesse: “lasciamoli cantare perché insieme non fanno un coro perché sono voci sole e solitarie, mentre noi abbiamo con noi tutto l’immenso concerto degli uomini e dell’umanità”. Ma la Chiesa deve superare questa tentazione.

Ecco in questa situazione di crisi, dobbiamo essere preoccupati della tranquillità o di non perdere la verità, cioè di non perdere Lui? Che si rinnovi in noi la Sua presenza! O Dio, vieni a salvarmi: non c’è preghiera cristiana che non cominci con questa espressione straordinariamente semplice e totalizzante. Che cosa dobbiamo chiedere al Signore? La tranquillità? Come fa dire bene Claudel alla protagonista dell’Annunzio a Maria, Violaine, «tutto è chiaro all’evidenza, tutto è prestabilito, e io sono contentissima… non ho da preoccuparmi di nulla». Ma questa tranquillità è presto rotta dalle vicende che seguono: il padre la affida a un uomo che la abbandona e la sorella tenta di ammazzarla e niente di ciò che era umanamente desiderabile si realizza per lei. Ma allora in cosa consiste la salvezza? Nel testo dell’Annunzio a Maria, che è veramente un testo fondamentale, la salvezza non è nella tranquillità, ma nella verità. Questa non la possediamo per sempre perché deve essere continuamente rinnovata e, quando vien meno, quando sembra perdersi, non c’è tanto bisogno di andare dallo psicologo, ma occorre chiedere a Colui che è l’autore e il perfezionatore della fede di darci un po’ della sua fede.

La Madonna ci insegna questo, io non l’ho mai capito come quando sono andato a Fatima. Lì la Madonna non è un’icona, un semplice simbolo, termine assolutamente svuotato del suo vero significato, con cui oggi si vorrebbe dire che una cosa c’è, ma non c’è per davvero, secondo quella che oggi appare come la “logica occidentale”, per la quale sembra possibile dire che una cosa c’è e insieme non c’è, violando quel principio di non contraddizione, negando il quale si diventa muti come pezzi di legno, come diceva il buon Aristotele, essendo impossibile in realtà pronunciare anche una sola parola senza avvalersi di tale principio. A Fatima sta tutto in piedi non perché la Madonna è un passato, ma perché la Madonna è un presente; mentre cammini percepisci che può fisicamente sbucare da un momento all’altro e desideri che sbuchi perché, se dalle brume della nostra vita quotidiana spuntasse la Madonna, come sarebbe diversa la vita! Chiedete, pregate… leggete i ricordi di quelli che l’hanno vista, cominciando da suor Lucia… La Madonna, madre del popolo cristiano, a questi tre bambinetti, che non sapevano neanche cosa fosse la Russia, gli ha chiesto di dire al Papa di consacrare la Russia al cuore Immacolato di Maria.

La Madonna è l’unico grande sostegno all’avventura umana. Si è sempre impegnata per questo perché non era una donna che stava con le mani in mano; non solo ha accudito il Signore, tutti i giorni della sua vita, ma ha accudito anche la Chiesa con non minore dedizione e fedeltà inesorabile. Jean Guitton diceva che, se togliessimo le apparizioni e le profezie della Madonna dell’ultimo secolo e mezzo, la Chiesa non avrebbe saputo resistere alla crisi. Alla crisi ha resistito non per i grandi teologi, ma per il culto alla Madonna esplicitato nel Rosario e per l’eucarestia del Giovedì Santo, vissuta come il luogo e il modo della permanente Presenza di Cristo tra di noi. Perciò noi questa mattina, alla fine di tutto, è come se dicessimo alla Madonna «riprendici sotto il tuo manto».

Siamo come tutti gli uomini, pertanto non abbiamo bisogno di aumentare i limiti, né di aumentare il bene perché abbiamo bisogno solo che la Madonna ci tenga sotto il suo manto, ma il manto della Madonna è un’immagine viva di una cosa molto concreta: la Chiesa; l’ambito della Chiesa; lo spazio della Chiesa. Che la nostra vita sia buona perché sia una vita ecclesiale che nasce dal mistero della Chiesa, che serve il mistero della Chiesa, che si compie nel mistero della Chiesa là dove finalmente «lo vedremo così come Egli è» (1Gv 3,2). Facciamo fatica anche ad immaginare questa espressione terribile e pacificante, ma per arrivare a vederlo, così come Egli è, c’è lo strappo della morte. Il grande cardinale Saldarini, che ci fu maestro a Venegono, prima di diventare Arcivescovo di Torino, diceva in dialetto milanese: «la morte è una roba bellissima, ma morire è una roba da cane».

Noi non possiamo non ricordare con gratitudine tutti i grandi maestri di cui è stata ricca la misericordia del Signore nei nostri confronti e, se, quando diciamo le preghiere della sera, di giorno in giorno, ci ricordiamo uno o l’altro di questi grandi che ci hanno aiutato nel nostro cammino, facciamo una cosa buona e vera, più che per loro, che non ne hanno bisogno, per noi che ne abbiamo bisogno.

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