
La roccia di Gaeta e l’Ave Maria di Toni Negri. Due indizi, nessun commento
Nella vita gli indizi sono tutto. A noi due in queste settimane sono arrivati due indizi che vogliamo qui solo descrivere. Il primo. All’uno di noi, l’anarco-cattolico, arriva un biglietto di auguri pasquali. Già la cosa è insolita: chi di questi tempi manda auguri pasquali? È una ragazza. Scrive da Bresso. Fa la grafica e ha realizzato il messaggio con somma cura. Una busta trasparente dentro cui è conservata una fotografia: un mare azzurro che sbuca tra due pareti di roccia spezzate. Di che si tratta? È una foto presa a Gaeta.
Per capire di più basta girare la foto. Una didascalia, semplice e lineare spiega tutto. Quella crepa nella roccia si sarebbe aperta nel 33 dopo Cristo, a seguito di un terremoto. Questo diceva la leggenda. Ma ritrovamenti archeologici hanno dato una conferma che non può che stupire: ai piedi della roccia spaccata sono state trovate monete contemporanee a quel fatto. Vero? Leggenda? Concomitanza? Non è giusto rispondere, perché non è comunque un ritrovamento archeologico che può dare o meno la fede. Qui quello che commuove è l’attaccamento di chi ha scritto quel biglietto alla verità di quel fatto. Quel fatto non è vero perché ai piedi della roccia di Gaeta sono state trovate monete dell’anno 33. È vero perché ha generato la semplicità di sguardo, l’attaccamento fedele di una ragazza che fa la grafica nell’anno 1999.
Secondo inidizio. Una lettera dal carcere. Un amico dell’altro di noi due, che è anarco-marxista, invia le meditazioni di Toni Negri per un giornale di suore. Ne hanno parlato i giornali, tra pruderie (si è convertito?) e intramontabili rigidezze (troppe colpe perché possa essere degno d’attenzione). Gli indizi vanno presi così come arrivano. E allora qui mettiamo una frase.
A ciascuno di giudicare. Toni Negri: “In testa mi resta soprattutto la semplice preghiera dell’Ave Maria. In certi momenti della mia vita, nel pericolo fisico e nella disperazione mi sono trovato a recitarla. Perché? La risposta più semplice, quasi ovvia, è che l’Ave Maria interpreta in ciascun uomo quel riparo materno che nel pericolo o nell’angoscia egli cerca. Ma l’ovvio non è sempre il vero… quel che sicuramente so è che in questa presenza non v’è un Dio straniero, sconosciuto, che mi s’impone con troppa maestà, ma un Dio che chiama, che chiama la mia resistenza al confronto alla testimonianza”. Gli indizi non si commentano, si colgono. Come ha detto qualcuno, il “cristianesimo è solo una storia semplice”.
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