La roccia del gusto

Di Caterina Giojelli
14 Febbraio 2008
Una donna inossidabile, le viscere della Grigna e un capitale tutto umano. Ecco gli ingredienti di un'impresa che gode di ottima salute

«E lei è, ehm, Nicoletta, la figlia più piccola di Millo. Dovete scusarla per come è vestita ma ha avuto un contrattempo.». Nicoletta si guardava i jeans chiedendosi come diavolo avrebbe dovuto vestirsi, poi contava fino a cinque e risollevava lo sguardo sorridendo. Del resto li capiva: trovarsi di punto in bianco alle dipendenze di una 22enne non doveva essere semplice nemmeno per loro.
Il fatto è che soci e collaboratori di suo padre, compresa quella signora che ancora faticava a presentarla come nuova titolare della Mauri spa, solo due mesi prima sapevano di partecipare all’impresa di Emilio Merlo, uno che aveva nel sangue l’intraprendenza del nonno fondatore dell’azienda, uno che la militanza sul territorio se l’era fatta tutta come sindaco di Pasturo, e che non l’aveva mai data vinta a nessuno a carte in osteria. Nemmeno quando quel brutto male si era fatto avanti, costringendolo a spezzare la giornata lavorativa con la chemioterapia, neanche allora avevano creduto che esistesse qualcosa in grado di fermare l’instancabile Millo. Ma anche nelle placide vallate lecchesi capita di sbagliarsi, ed eccoli lì, a fissare il volto della ragazzina pestifera che un tempo decurtava gli angoli del loro taleggio, chiedendosi se sarebbe mai stata abbastanza grande per prendere le redini dell’impresa del padre e del futuro dei suoi, allora cento, dipendenti.
In verità se lo chiedeva anche lei, Nicoletta, che due giorni dopo il funerale era stata convocata in banca causa scadenza di un’operazione finanziaria avviata dal padre. «Capisce, signorina – le avevano detto direttore e vice -, tra due giorni scade il prestito in scellini austriaci, rimborsa o rinnova?». Lei li aveva ascoltati senza aprire bocca, assicurando che in due giorni avrebbe fatto sapere. E, appena uscita, si era sparata una no-stop di 48 ore di documentazione su cosa diavolo fosse lo scellino austriaco e perché mai suo padre l’avesse preferito ad altre valute.
Anche oggi, all’età di 42 anni e con la carica di amministratore delegato di Mauri spa, Nicoletta Merlo si chiede ogni santo giorno «papà avrebbe fatto così al posto mio?» e nonostante il leit motiv di mamma Maria («no, tuo padre non l’avrebbe mai fatto»), l’azienda Mauri gode di ottima salute.

Un segreto dal 1920
«Non ho un gran ricordo dei primi mesi in azienda, tra il grande dolore e l’inesperienza credo di averli cancellati. Non so bene in realtà cosa ho fatto», racconta Nicoletta mente s’infila cuffietta e camice sterilizzato per portarci a visitare la sede di Mauri a Pasturo, a un tiro di schioppo da Lecco, alle pendici della Grigna. Cinquemila metri quadrati, in gran parte sviluppati sotto la montagna, tra quelle lanche «di pietra viva, una pietra che respira e che fa arrivare all’esterno quell’aria freschissima che soffia e fa maturare i formaggi nel modo giusto», ha scritto Franca Feslikenian ne Il taleggio e la storia di Emilio Mauri. Quello stesso Emilio Mauri che nel 1920 decise che «i formaggi verranno da me e non sarò più io a cercarli nelle baite», aprendo in quel di Maggianico un suo punto di raccolta e industriandosi nella stagionatura. Era solo l’inizio: nel 1929 Mauri costruisce un più ampio stabilimento a Pasturo, adatto anche alla produzione; nel ’38 la Mauri diventa una società per azioni, sviluppando un centro di raccolta all’avanguardia a Magenta e un caseificio a Rovato, nel bresciano (che nel ’51 si sposterà a Treviglio, vicino Bergamo). Alla morte di Emilio (1948), il testimone passa ai generi Giuseppe Colombo e Angelo Merlo, per poi arrivare a Emilio Merlo, detto Millo, nipote diletto del fondatore e padre di Nicoletta. «Del bisnonno non so molto, ma sua figlia, la nonna tutta “a modo” che faceva portare le borse della spesa a noi nipoti me la ricordo bene. Epperò sosteneva di guidare lei i camioncini per trasportare il taleggio in valle. Mah.», dice, mentre spalanca la dimora delle creazioni Mauri, dove le luci hanno il colore dell’arancio taleggio o del blu zola e il panorama che si scorge dalle vetrate è quello delle grotte delle Lanche, la cui aria ricca di humus, filtrata da impianti e condotta per tutto lo stabilimento, è tutt’oggi l’ingrediente segreto della stagionatura più apprezzata al mondo.
Il signor Barbieri è orgogliosissimo mentre fa strada attraverso le “camere” dei formaggi, giù nel ventre della montagna, dove ancora sono conservati i pentoloni di rame in cui Nicoletta e sorelle si divertivano a impastare il caglio sotto la roccia prima che Mauri iniziasse un’incredibile operazione di ristrutturazione e certificazione dei prodotti: «Qui tecnologia e lavorazione artigianale viaggiano di pari passo, mentre un protocollo di controlli e sanificazioni assicura la qualità di prodotti, ambiente, sicurezza dei lavoratori (a Pasturo lavorano 85 dei 120 dipendenti Mauri) e la tracciabilità della filiera, dalla mungitura del latte fino all’etichettatura e spedizione del prodotto». Lo sa bene Barbieri, che da tre anni conduce Mauri nell’universo di tutte le certificazioni possibili: dall’Ifs, Bcr, Iso 9001/2000 all’avvio dell’iter per la Sa8000 che elenca i requisiti per un comportamento eticamente corretto delle imprese e della filiera di produzione verso i lavoratori. «Qui si crea un formaggio “su misura”, lavorato per lo più manualmente, tenuto d’occhio dalla nascita al confezionamento. Prendiamo la lavorazione del taleggio, il cuore di Mauri: ogni settimana il formaggio arrivato da Treviglio (tutto latte lombardo eh?) viene sottoposto a più salinature per aiutare la crescita della microflora che lo trasformerà in taleggio. Viene poi posto in celle di stagionatura dove rimane dai 35 ai 45 giorni a seconda della tipologia e della crescita delle muffe, in un ambiente termoregolato dove l’aria condotta dalla montagna viene raffreddata a una temperatura dagli 0 ai 4 gradi e l’umidità è del 90/95 per cento». Questo procedimento di cura continua di ogni singola forma di formaggio permette a Mauri di produrre solo su ordinazione: stagionatura, morbidezza, gusto, «confezioniamo prodotti che rispondano ad ogni richiesta, lavorando il sabato e la domenica se necessario. Questo, così come controllare lo stato di crescita di ogni muffa, eseguire più lavorazioni e “personalizzare” ogni pezzo, una macchina non può farlo. Abbiamo perfino sostituito le casse di legno che agli inglesi non andavano bene», ammicca Nicoletta.

Come in un libro di Tolkien
Già, perché dei 32 milioni di fatturato annuo di Mauri, il 20 per cento proviene dall’estero, un mercato tutto in crescita che si affianca a big della grande distribuzione come Gs o Esselunga, da 40 anni clienti affezionati della Mauri «anche se quando mio padre ha risposto picche a Esselunga che gli chiedeva l’esclusiva abbiamo faticato un po’ a entrare nel giro», confida Nicoletta, mentre il Barbieri prosegue il giro: «Tutti i giorni una squadra d’igiene fa una sanificazione di tutti gli ambienti (per le aree di stagionatura se ne fa una ad hoc che non danneggi le microflore) e ovunque “pozzanghere” di acqua e disinfettante purificano le ruote di ogni carrello». Dalle stanze del taleggio raggiungiamo quelle dei caprini e dei fioroni aromatizzati manualmente con erba cipollina, aglio, pepe o paprika e dove ogni ordine (così come tutti i formaggi) passa al metal detector. Arriviamo così al regno del gorgonzola, la cui produzione venne avviata da Millo negli anni Ottanta. Anche qui una squadra bardata da capo a piedi segue tutte le fasi della preparazione: dal posizionamento in “camerini” (30 gradi e 90 per cento di umidità), dove lo zola rimane una settimana a spurgare, alla stagionatura in cella (dai 60 ai 90 giorni a seconda della tipologia dolce o piccante) previa salinatura e foratura delle forme con appositi aghi (all’interno dei cui fori andranno a svilupparsi le muffe), fino al confezionamento.
Sembra di leggere Tolkien mentre si esce dalla montagna viva e illuminata, dove gli anelli di ferro per legare i cavalli decorano le rocce insieme a vetro, legno, sasso: «Prima di sposarmi e trasferirmi a Lecco vivevo con mamma qui, davanti allo stabilimento. Per questo, cinque anni fa ho iniziato a ristrutturare con lo spirito di chi deve arredare casa propria. Mi ero innamorata degli interni di un ristorante di Sondrio, tutti in materiale povero, e ho contattato gli architetti. Sono impazziti per queste grotte. Un po’ meno l’ingegnere che doveva curare gli standard dell’impiantistica facendo i conti con il nostro modo un po’ estroso di interpretare spazio e luogo». Sorride mentre gioca con un dischetto di rame appeso al collo, «sarebbe il biglietto da visita di un artigiano di Pistoia, ma io ci ho fatto un ciondolo. Le piace, ispettore?» chiede a un trafelato signore impegnato nella certificazione Sa8000 di Mauri.

Sveglia alle quattro e mezza
Non è stato sempre tutto facile. L’anno che morì Millo le multinazionali fecero carte false per acquisire Mauri. Nicoletta le incontrò tutte: «Mi tremavano le gambe a guardare quelle cento persone che lavoravano per noi. Dovevo capire il valore dell’azienda e iniziare a masticare il mondo finanziario. Con Kraft arrivammo a un passo dall’accordo, mi avevano assicurato un posto in Francia. Ma in coscienza sapevo già che l’azienda di mio padre non l’avrei venduta. Mai. E dopo Kraft non ho più avuto dubbi. Non puoi, quando hai a che fare tutti i giorni con collaboratori che parlano degli stabilimenti come se fossero loro, quando le gioie più grandi ti sono date dal rapporto col personale, con il quale ti senti perennemente in difetto, come se non dessi mai loro abbastanza. Amo lavorare per questa gente. E per la gente che questa azienda mi consente di incontrare. Sono i rapporti umani, l’umiltà e l’ascolto gli ingredienti di Mauri. Non sarei qui altrimenti». Per loro, per gli altri, Nicoletta si alza alle 4 e mezza del mattino, piombando ora a Treviglio ora a Pasturo dove, raggiunta un’ora decente, fa colazione con mamma per poi barcamenarsi negli appuntamenti con i fornitori e gli altri componenti del cda dei consorzi per la tutela del formaggio gorgonzola e del taleggio e di Assolatte, raggiungere il marito a Lecco e mettersi ai fornelli, «il lavoro, il formaggio, difficilmente lo porto a casa. A parte quando mi dò al mio piatto forte, la mozzarella in carrozza fatta col taleggio».
Sono passati parecchi anni dalle occhiatacce lanciatele dal padre, quando rientrava tuonando «è stata una giornata difficile, credo che a un topo piacciano gli angoli del taleggio». Dalle carezze tra i capelli della figlia per darle la buonanotte e verificare al contempo che lei non ci avesse dimenticato qualcuna delle sue innumerevoli mollette, facendosi male. O da quel giorno che la scuola elementare mandò Nicoletta in avanscoperta in Comune perché il suo papà sindaco acconsentisse a tappezzare Pasturo con i disegni dei cestini della spazzatura (allora assenti) fatti dagli scolari. Di veri cestini oggi ce n’è tanti, Nicoletta ha abbandonato gli angoli per una più comoda fetta intera di taleggio e le scolaresche fanno la fila per visitare la montagna del formaggio. Tutti, all’ombra della Grigna, continuano a fare il proprio lavoro.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.