Cosa ha fatto di grande Englaro per meritarsi il plauso di Lecco?

Di Chiara Sirianni
13 Ottobre 2011
Un ex segretario della Cgil vuole dare una benemerenza civica a Beppino Englaro perché il padre di Eluana «ha evitato scorciatoie e compromessi per ottenere ciò di cui aveva diritto». La medaglia, secondo Lucia Bellaspiga, la meriterebbero piuttosto «tutti quegli eroi silenziosi che dignitosamente si prendono cura del propri cari. Senza clamore»

Beppino Englaro, volente o nolente, torna a far discutere. La città di Lecco si sta infatti spaccando a causa delle onoreficenze legate al Santo patrono locale: oggetto del contendere la proposta di Alberto Anghilieri, ex segretario cittadino della Cgil, di assegnare la benemerenza civica al padre di Eluana, rimasta in stato vegetativo per 17 anni e morta nel 2009 per interruzione della nutrizione artificiale. «Englaro ha evitato scorciatoie e compromessi per ottenere ciò di cui aveva diritto» ha spiegato Anghilieri. «Oggi invece si è diffusa una cultura dove l’importante non è il rispetto delle leggi, ma farla franca».

Per il primo cittadino Virginio Brivio, il problema è di metodo e di merito: «le benemerenze devono unire la comunità non dividerla. Se siamo a questo punto forse ci sono parecchie cose su cui dobbiamo riflettere tutti». In effetti la polemica è esplosa, nonostante il riconoscimento sarà di difficile assegnazione, dato che sono necessari i quattro quinti dei voti, e alcuni gruppi hanno già manifestato una forte opposizione. La ferita, nella città, è ancora aperta: a settembre, il comune lecchese ha bocciato la proposta di delibera per l’istituzione del registro del testamente biologico. 

Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire che ha seguito il caso da vicino (ha raccolto le sue impressioni in “Eluana, i fatti”, edito da Ancora) tenta un giudizio scevro da valutazioni politiche e religiose: «Non voglio condannare il suo gesto. Però, data che si tratta di un’onorificenza, mi chiedo: cosa ha fatto, questo povero padre, di grande? Con tutta la pietà che posso avere per la sua figura umana, non è noto alle cronache per particolari meriti, per scoperte scientifiche, per aver salvato delle vite. Ma per non aver avuto la forza di accudire sua figlia, una ragazza certo gravemente disabile, ma non sofferente».

La medaglia, secondo Bellaspiga, la meriterebbero piuttosto «tutti quegli eroi silenziosi, che dignitosamente, con sacrifici, spesso con scarsi mezzi, si prendono cura del propri cari e familiari. Senza clamore».

 Certo, l’accanimento terapeutico è l’estremo opposto dell’eutanasia, sono gli estremi dello stesso delirio di onnipotenza. Ma il punto, secondo la giornalista, è che il modo in cui il caso Englaro è stato trattato mediaticamente ha creato molta confusione nell’opinione pubblica. «Troppe le menzogne, i luoghi comuni, le facilonerie. La ricerca scientifica ci sta ponendo davanti, assieme ai suoi limiti, una serie di squarci sul mistero. Un esperimento, tra quelli a cui ho assistito, mi ha molto colpito: a una serie di malati in stato vegetativo permanente sono stati fatti indossare dei caschi, identici a quelli che hanno i piloti dei caccia americani, con rilevatori di coscienza che in caso di svenimento fanno partire il pilota automatico. Hanno risposto agli stimoli. Il che dimostra che anche se noi li percepiamo come cadaveri, come vegetali, loro hanno dentro un mondo interiore di cui sappiamo poco o nulla». E allora «perché non diamo la benemerenza a chi studia questi casi, non per motivi religiosi o ideologici, ma semplicemente perché sono pazienti, come tutti?».

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