La propaganda anti-armena dell’Azerbaigian infiltra il Vaticano

Di Grigor Ghazaryan
16 Aprile 2025
La conferenza pseudoscientifica ostile al popolo armeno organizzata dall'Azerbaigian danneggia la stessa Pontificia Università Gregoriana
La cattedrale del Salvatore a Shushi danneggiata dall'Azerbaigian
La cattedrale del Salvatore a Shushi danneggiata dall'Azerbaigian

Gli armeni sono oggi la cartina di tornasole di quanto i paesi del mondo cristiano e democratico siano realmente coerenti con i loro valori. Il Parlamento europeo ha definito gli eventi successivi alla guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 una vera e propria «pulizia etnica», denunciando «con fermezza i processi farsa in corso e le violazioni sistematiche dei diritti fondamentali degli ostaggi armeni» in Azerbaigian. L’Europarlamento ha anche espresso «profonda preoccupazione per l’ordine delle autorità di Baku di chiudere gli uffici del Comitato internazionale della Croce Rossa e delle agenzie delle Nazioni Unite», invitando l’Azerbaigian a «rispettare» i diritti degli armeni del Nagorno-Karabakh, compreso quello al ritorno nella loro terra.

Allo stesso modo, la Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (Uscirf) raccomanda di mantenere l’Azerbaigian in una speciale lista di controllo per chi commette o tollera gravi violazioni della libertà religiosa.

Contemporaneamente a queste iniziative, alla Pontificia Università Gregoriana è stata organizzata dall’ambasciata azera presso la Santa Sede una conferenza pseudoscientifica, intrisa di propaganda azera, ostile al popolo cristiano armeno, il popolo della Chiesa apostolica gregoriana.

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L’Azerbaigian perseguita gli armeni

È noto come gli attori turchi e azeri ricorrano spesso a date dal forte valore simbolico per veicolare messaggi di propaganda anti-armena. Anche in questa occasione, con cinismo calcolato, è stato scelto un giorno altamente emblematico, il 33° anniversario del massacro degli armeni di Maragha perpetrato dalle truppe azere, per lanciare una campagna mediatica volta a presentare l’Azerbaigian come un paese «multiculturale e multireligioso», che «rispetta anche i cristiani».

Nessuna parola è stata spesa sul fatto che la dittatura petrolifera azera appena due anni fa abbia completato la pulizia etnica dell’Artsakh – una regione storicamente a maggioranza armena – dopo nove mesi di blocco totale, imposto con l’obiettivo di affamare, sottomettere e costringere all’esodo 150.000 armeni autoctoni, colpevoli unicamente di voler vivere liberi dal giogo della dittatura musulmana azera.

Il regime governato da oltre mezzo secolo dalla dinastia Aliyev è lo stesso che orchestrò i sanguinosi pogrom anti-armeni di Sumgait e Baku (1988-1990), nel solco della macabra tradizione dei massacri di Shushi del 1920.

La distruzione del patrimonio cristiano

Durante il convegno non è stato fatto neanche un accenno al genocidio culturale di Nakhichevan, dove interi cimiteri e monumenti armeni sono stati cancellati dalla faccia della terra. Nessuna menzione della sistematica distruzione delle chiese come la Zoravor Surb Astvatsatsin di Mekhakavan, la Surb Hambardzum di Berdzor o la Surb Hovhannes Mkrtich di Shushi, tutte testimonianze millenarie della presenza cristiana armena, oggi ridotte a rovine o completamente scomparse a causa del regime azero.

La conferenza che si è svolta presso la Pontificia Università Gregoriana è un insulto al mondo cristiano, alla memoria delle vittime del genocidio di Maragha e al patrimonio culturale armeno, oggi violentato e manipolato sotto gli occhi di un’Europa troppo spesso silenziosa. Un patrimonio deturpato, svuotato delle sue iscrizioni armene plurisecolari, privato della sua identità per essere arbitrariamente attribuito ad altri popoli che, storicamente, sono sempre stati minoranze nella regione dell’Artsakh.

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La menzogna diventa realtà

Ospitando simili convegni, le strutture accademiche si trasformano in megafoni della propaganda di Stato azera.
Scribacchini e sedicenti studiosi, alimentati dai petrodollari della Fondazione Aliyev, cercano di riscrivere la storia dell’Artsakh armeno, ignorando deliberatamente le ricchissime testimonianze storiche, archeologiche e culturali che ne attestano l’identità armena cristiana.

La storia di città armene come Stepanakert, Shushi, Hadrout, Shahumyan, Yeghegnut e molte altre viene ignorata dagli studiosi al soldo di Baku, al pari di monumenti secolari come Gandzasar, Dadivank, Amaras, tra centinaia di altri oggi caduti sotto l’occupazione azera a seguito della pulizia etnica.
Un’aggressione alla verità, alla storia, all’umanità.

Non possiamo restare in silenzio mentre si consuma la seconda delle tre tappe dell’annientamento dei popoli e delle loro culture: dopo il genocidio, la damnatio memoriae e infine il negazionismo. La prima fase è la realizzazione del crimine stesso; la seconda è il soffocamento della memoria, il controllo della narrazione, l’eliminazione di ogni forma di commemorazione; la terza è la menzogna elevata a verità, l’assoluzione dei carnefici, la cancellazione definitiva.

Come scrisse George Orwell in 1984: «Il passato veniva cancellato, la cancellazione dimenticata e la menzogna diventava realtà». È questo il mondo che vogliamo consegnare alle nuove generazioni? Un mondo dove la verità è sacrificabile, dove la storia può essere riscritta da chi ha più potere, più soldi, più petrolio?

La favola dell’Albania Caucasica

Il dittatore azero Ilham Aliyev continua a definire gli armeni «nemici». Questo linguaggio affonda le sue radici nell’ideologia promossa dal padre, Heydar Aliyev, attraverso la teoria dell’azerbaigianismo: una costruzione ideologica elaborata come risposta alla crisi identitaria dei tatari del Caucaso, ribattezzati “azerbaigiani” da Stalin nel 1936. Con il tempo, questa dottrina si è trasformata in una macchina propagandistica che ha alimentato odio e fanatismo anti-armeno, diventando il collante identitario di un mosaico etnico privo di una coesione storica e culturale autentica.

Oggi la narrazione forzata dell’Albania Caucasica – esagerata e manipolata dal regime degli Aliyev – serve a legittimare l’appropriazione della cultura armena. Per rafforzare un’identità fittizia l’Azerbaigian ha il bisogno costante di trovare un nemico. E in questo schema, gli armeni sono il bersaglio perfetto. Accusati di complotti internazionali, tradimenti, infiltrazioni religiose, fino a far apparire l’odio xenofobo come legittima difesa patriottica.

È per questo che appaiono ipocrite e nauseanti le maschere di “multiculturalismo” e “dialogo interreligioso” organizzate dall’ambasciata azera presso la Santa Sede e ospitate da un importante istituto vaticano come la Pontificia Università Gregoriana.

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