La profezia della Roccia

Di Valenti Francesco
03 Marzo 2005
«è L’UOMO CHE HA ABBANDONATO LA CHIESA O è LA CHIESA CHE HA ABBANDONATO L’UOMO?» SI CHIEDEVA ELIOT. UNA NUOVA E BELLA TRADUZIONE DEL CAPOLAVORO DEL PIù GRANDE POETA DEL NOVECENTO

«E la Chiesa deve sempre costruire, e sempre / degenerare, e sempre venire restaurata». È una delle acute e drammatiche verità, formulate nel suo tipico blank verse rivisitato, che il più grande poeta del Novecento, Thomas Stearns Eliot, esprime nei Choruses from the Rock.
Le edizioni Biblioteca di via Senato pubblicano ora, con testo a fronte e in versione integrale per la prima volta in Italia, l’intera sacra rappresentazione The Rock, traducendone il titolo, con felice scelta linguistica, La Roccia. Il testo venne scritto da Eliot nel 1934, per essere recitato in diverse serate dal 28 maggio al 9 giugno, al fine di raccogliere denaro a favore della costruzione di nuove chiese nella diocesi di Londra; del libro, sino ad oggi, erano stati pubblicati i soli celebri Cori. La traduzione del titolo con “roccia” sottolinea con grande vigore il fatto che Pietro – la Chiesa – la roccia è presenza in mezzo alla sua gente, come una pietra nel deserto, che può sembrare arida, ma che dona certezza nella costruzione, laddove la traduzione con “rocca” esprimerebbe l’idea di una fortezza elevata. “Roccia” inoltre si ricollega alla ben precisa sua presenza di “pietra” nel paese guasto, cioè The Waste Land (1922). The Rock è un testo particolarissimo del poeta anglo-americano, in quanto da lui scritto per buona parte sotto “regia” di altri. Nella prefazione Eliot si attribuisce, quasi a innalzare il valore dei suoi “dettatori”, la responsabilità individuale dei meri Cori, ed è per questo motivo che da allora solo quelli si è scelto di pubblicare, anche da parte dello stesso poeta.

ARIA DA MUSIC-HALL SACRO
I Cori sono inseriti in una storia composta da diversi “quadri”, la cui cornice consiste nella progressiva edificazione di una chiesa da parte di alcuni pittoreschi operai su di un terreno ostile. Si rievocano perciò la storia dell’Inghilterra, della sua conversione, della sua umanità, del suo tempo e del suo amore alla Chiesa di Roma. Gli operai richiamano in scena alcuni protagonisti della storia remota e recente, da San Mellito, terzo vescovo di Canterbury, al giullare di Enrico I, Rahere, ai primi crociati inglesi, a Christopher Wren, al vescovo Blomfield; ma emergono altresì altre figure, quella biblica di Neemia, gli agitatori comunisti e nazisti, il plutocrate che offre alla chiesa il potere, il sindaco e il vescovo di Londra, lo stesso San Pietro, cui la chiesa è consacrata. La valida traduzione e le precise note di Marco Respinti guidano il lettore con intelligenza. Colpisce del testo completo l’aria da music-hall sacro – e non vuole essere irriverente la nostra osservazione, se consideriamo la profondità teatrale e lo strepitoso successo che in anni recenti hanno accompagnato l’eliotiano Cats.
Avendo origine da un intento letteralmente edificante, la poesia si svolge cogliendo i termini oscuri di anni tragici che sono ancora i nostri, descrivendo la relazione tra il tempo e il tempio, tra la storia e l’eterno, tra la verità e la via, e si capisce bene che abbia potuto tanto colpire l’intelligenza di fede di don Giussani. In The Rock, Eliot ricerca sovente la parola profetica, che è una delle voci che la poesia autentica possiede, come espressione di qualcosa che va al di là di ciò che un autore si propone di scrivere; perché certamente, se non tutta la poesia è di per sé profezia, tutta l’autentica profezia è espressa poeticamente. E la profezia di Eliot è uno sguardo amaro sulla condizione del tempo che ha dimenticato «tutti gli dèi, salvo la Lussuria, l’Usura e il Potere»: «Avete bisogno che vi dica che persino le modeste conoscenze / di cui vi potete vantare nella società perbene / difficilmente sopravviveranno alla Fede a cui debbono il loro significato?». Perché «Dove il mio Verbo non viene pronunciato, / nella terra delle lobelie e delle flanelle da tennis / il coniglio s’intanerà e il pruno tornerà a far visita, / l’ortica fiorirà nell’aiuola di ghiaia, / e il vento dirà: “Qui vi furono dei dignitosi senzadio: / loro unico monumento la strada d’asfalto / e un migliaio di palline da golf smarrite”». E come si può «reggere la City che il Signore non regge con voi?».

IL POPOLO DIMENTICO E DIMENTICATO
Sembra che il genere umano abbia davvero abbandonato la Chiesa, come affermano i due versi della parte seconda (VII coro), vera chiave di volta dell’intera rappresentazione, per seguire quella «malattia che chiamano mentalità moderna» e che consiste nell’angustiarsi «a spiegare ciò che qualsiasi uomo assennato semplicemente crederebbe e prenderebbe per vero».
Il genere umano ha davvero abbandonato la Chiesa, limitandosi a un di meno di umanità: «Dov’è la Vita che abbiamo perduto vivendo? / Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nella conoscenza? / Dov’è la conoscenza che abbiamo perduto nell’informazione?… Gli uomini non hanno bisogno della Chiesa / là dove lavorano, ma dove trascorrono le domeniche». E la Chiesa, che cosa ha fatto la Chiesa? Ha anch’essa davvero abbandonato il genere umano? Sembrerebbe di sì: «Attendiamo agli angoli, e non abbiamo altro che le canzoni / che possiamo cantare e che nessuno vuole sentire; / aspettando al fine di essere gettati via sopra un cumulo meno utile dello sterco». O ancora: «Lascerete il mio popolo dimentico e dimenticato / all’inanità, alla fatica e allo stupore delirante?».
La Chiesa davvero non considera Cristo un di più di umanità e, dunque, nessuno più s’incarica di lottare e contribuire all’opera di Dio? È a partire da questa analisi drammatica e ricerca essenziale delle piaghe che The Rock si occupa della medicina del mondo e della Chiesa: «La nostra epoca è un’epoca di virtù moderata / e di vizio moderato / in cui gli uomini non deporranno la Croce / perché mai se la caricheranno / Eppure nulla è impossibile, nulla / agli uomini di fede e di convinzione». Ed è sempre il tempo in cui gli uomini da Cristo vengono «salvati a dispetto del loro essere negativo; / bestiali come sempre prima, carnali e opportunisti come sempre / prima, egoisti e ottusi come da sempre prima, / eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere / la propria marcia sulla via che era illuminata dalla luce; / spesso fermandosi, indugiando, sviando, ritardando, tornando, eppure / mai seguendo alcun’altra via».

C’è SOLO DA TENTARE
Che è poi l’esperienza stessa di The Rock, visto che da essa Eliot volle iniziare un’altra via e chiudere definitivamente l’esperienza dei tarocchi, del bric-à-brac indifferente ed estetico, del puzzle inarticolato al quale anche la sua poesia, ingiustamente, era fatta appartenere, anche se qualcuno lo avrebbe voluto per sempre nevrotico, vagamente gay, aristocratico, amico di Bertrand Russell e Virginia Woolf, e seguace dei circoli intellettuali d’avanguardia della Londra borghese. Volle semplicemente ribadire quanto aveva già ampiamente fatto intravedere già dai tempi di The Waste Land, e cioè che la vera arte si riallaccia alla tradizione e «obbliga l’uomo a scrivere non meramente con la propria generazione nel sangue, ma sentendo che l’intera letteratura europea da Omero ha un’esistenza simultanea». L’aristocratico poeta divenne il poeta del popolo; alla voce che chiedeva egli rispose “eccomi”. Come dirà nei Quattro Quartetti «c’è solo la lotta per recuperare ciò che è stato perduto / e trovato e perduto, ancora e ancora: e ora in circostanze / che sembrano non favorevoli. Ma forse non c’è guadagno o perdita, / per noi, c’è solo da tentare. Il resto non ci riguarda».

AVERE VERGOGNA DI CRISTO
La frase di Eliot «È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?» è una critica alla Chiesa o all’umanità?
Tutte e due, tutte e due, perché innanzitutto è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa, perché se io ho bisogno di una cosa, le corro dietro, se quella cosa va via. Nessuno correva dietro.
E la Chiesa quando ha abbandonato l’umanità?
La Chiesa ha cominciato ad abbandonare l’umanità secondo me, secondo noi, perché ha dimenticato chi era Cristo, non ha poggiato su… ha avuto vergogna di Cristo, di dire chi è Cristo.

Don Luigi Giussani, intervistato da Roberto Fontolan in occasione del video per i cinquant’anni di Comunione e Liberazione (Rai1, 10 settembre 2004)

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